Rodano
near Lucino-Rodano, Lombardia (Italia)
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Itinerary description
Albizo, se tu hai potentia in Arno,
tra’mi della farsata a Fallalbacchio,
a Lisca, Caporosso e Zufolacchio
che s’immolloron tutti iersera indarno: 4
atorno atorno a’ Banchi mi cercarno
et io poppavo allor com’un orsacchio
quivi in un magazin col gran Cornacchio,
le cui parole spalle mi fidarno. 8
E portandomi e diavoli a Minosso,
e’ mi potrebbe ben examinare
ch’e’ mi trovasse in ciò cagione adosso. 11
Però dè non t’incresca di pescare,
e s’e’ ti domandasse com’io posso,
digli ch’un cieco mi potre’ seccare. 14
Se stasera al cenare
di pesci non mi rechi pien la zucca,
i’ fuggirò la mortalità a Lucca. 17
Raggiunsi andando al bagno un fra minore
colla cappa alta infin sopra ’l ginocchio
sì ch’io vedevo il fiero scatapocchio
il quale era dell’ordine maggiore. 4
Scappucciato era per lo gran calore
e ’ntorno al collo portava un mazocchio
di cacio fresco e pien di cispa all’occhio,
donde stillava il suo frigido omore. 8
Battaglio non sonò sì a martello
quanto ne’ panni dinanzi e dirieto
la ’gnuda fava di quel gran baccello. 11
Non vidi mai maggior contradivieto
e la coglia pare[v]a un otricello
di cornamusa, e ’l suo bordone il vieto. 14
Drieto gli andavo cheto,
et e’ per fuggir otio in quel vïaggio
sempre parlò col cul d’ogni linguaggio. 17
Studio Büezio di sconsolazione
qui in Vinegia in casa un degli Alberti,
e per dirti ’ mie versi più coperti
mangio sol carne di tuo gonfalone; 4
e, perch’e’ fu di grossa conditione
e già dimesticò molti diserti,
sempre adosso gli sto cogli occhi aperti
cercando del più tenero boccone. 8
Levandomi il bicchier del vin da bocca,
lassando il ciantellin, ché son toscano,
sempre alla lingua mi riman la cocca; 11
e fila come cacio parmigiano,
e come lin si filerebbe a rocca,
e di comino ha un sapore strano. 14
Non vermiglio o trebbiano,
ma cocitura par di marron lessi
e non si versa mai ne’ bicchier fessi. 17
Limatura di corna di lumaca,
vento di fabbro, d’organo e di rosta,
perché mosca giamai non vi s’accosta
mette mastro Marian nell’utrïaca. 4
O Roma fresca, quando il manto vaca
faresti bene a metterlo in composta
e fare al Culiseo una sopposta
di pastural, non pur di pastinaca. 8
Nebrotto fe’ la torre di Babello
per ghuardare l’oche dal falcon celesto
che di state non porta mai cappello. 11
E se tu non intendi questo testo,
gìttati nelle braccia a Mongibello
come chi dorme e sogna d’esser desto. 14
E truovo nel Digesto
che chiocciole, testuggine né granchi
mai si conoscono quando sono stanchi. 17
Il nobil cavalier messer Marino,
questi sei mesi podestà passato
dal magno Re Alfonso electionato,
e’ par venuto d’India un babbuino. 4
In Città, in Camollia, in san Martino
un capo di castron non ha lassato,
e ’l cavolo c’è per lui sì rincarato
che non se ne dà più per un quattrino. 8
Cavoli marci in tutto questo ufitio
hanno mangiato conditi in dì neri,
col cuffion del notaio del malifitio. 11
E quel palazo è pien di cimiteri
con tanti testi ’ quali al dì giuditio
‘be be’ belando torneranno interi. 14
E birri e ’ cavalieri,
lui, el colletterale e l’assessore
risuciteran tutti a quel romore 17
in un tino di savore,
siché, Signori, dè dategli il pennone
dipinto a corna e capi di castrone. 20
effere oppreffa dalle tempeste, nè solamente dalle piogge,& tempelte:ma ancora per molti esperimenti de' corpi,& delle terre. Alcuni sono come percof fi dalla ftella; alcuni altri in certi tempi determinati fentono mutationi nel venire,ne'neniti,nel capo,& nella mente. L'olivo, l'oppio bianco,e i salci nel folftitio girano le lor foglie. L'herba secca del puleggio appiccata sotto i setti Puleggio fiorisce il di proprio della bruma:& romponli le carte pergamene gofiate. Ma secco quan
do Gorisce. rauiglisi di questo,chi nó l'ha esperimentato ogni di,che vi'herba, che si chia ma Heliotropio,guarda sempre il Sole,quando ci si parte, & di cótinuo fivol ge insieme con esso,béche sia coperto da nugoli. La Luna ancora ba possanza Alterationi di far crescere,& fcemari corpi dell'ostriche,& de' granchi. Et quei che sono in diuerli
animali per Aati più diligenti,dicono che le venoline del fegato de'topi rispondono al nu conto della mero della Luna:& la formica,animal cosi piccolo fente le forze della Lu- Lens. na; percioche quando la Luna non si vede nevecchia, ne nuoua, li rimane dal fuo lanoro.Et è tanto più bruitta l'ignorantia dell'huomo, ilquale confe dla che ne gl’occhi d'alcune bestic crescono,& scemano imali insieme con la Luna. Aiutaci la smisurata grandezza del cielo con la sua altitudine partita in quarantadue segni. Et tiitti quefti sono figure di cose, o d'animali, nellequali gli huomini scientiati hanno compartito il cielo. In questi segni alcuni hanno no tate mille feicento stelle;cioè,le più eccellenti,& per effetto,& per apparen tia. Come per effempio. effempio, nella coda del Tauro setre, lequali chiamarono Vergilie: nella fronte sono le Suoole. Er Boote , che seguita i settentrioni. :)
Le cagioni delle pioggie, de venti, o delle nugole. Cap. XLII.
O NON negherò già, che fuor di queste cagioni nó pofiano offer le pioggie,
eivéri:percioche egli è cosa chiara,che dalla terra eshala ceria caligine bu mida,e alcuna volta ancora per li vapori fumicofa. Onde & per l'humidità; che móra in alto,ò per l'aria condensata in liquore, li genėraro le rugcle. Et la dengà, e il corpo di quelle & vede cetto, percioch'ellectioprono il Sole:&
Bciò vedono anco quei che si tuffano in qual fi voglia profonda altezza daca
qua,
De' tnoni, o folgori.
Cap. XLIII.
.
On negherò adunque poier cadere in queste nugole di sopra fuochi dal
le stelle quali spesso veggiamo nel sereno, dal percot méro de quali e co-
molla l'aria,come quãdo le saette lăciate fi sentono ftridere. Quando dunque
quei fuochi giungono alla nugola generano vapore diffonāte, fi come ferro ro
uéte tuffato null'acqua
uéte tuffato null'acqua,& gira intorno vna certa riuolutione di fumo. Diqui
Tempette
ondenfica nascono le tépefte Et le nella nugola combatte il vento, o il uapore,fi fanno i
tuoni,ma s'egli esce ardéte,nascono le faette,& se per lúgo fpatio fa tal forza,-
végono i baleni.Percioche quefti fendono le nagolc,e quci le rõpono. E ito
ni sono le percosse,che fanno i fuochi,che Battono nelle nugole, & perciò su
bito le focose feffure loro végono à lāpeggiare. Può benanco talvolta lo spiri
fo,che & leuò da terra,rispinto in giù dalla forza delle stelle, e ristretto nella
nugola,ionare, strāgoládo la natura il suono,métre che
tra’mi della farsata a Fallalbacchio,
a Lisca, Caporosso e Zufolacchio
che s’immolloron tutti iersera indarno: 4
atorno atorno a’ Banchi mi cercarno
et io poppavo allor com’un orsacchio
quivi in un magazin col gran Cornacchio,
le cui parole spalle mi fidarno. 8
E portandomi e diavoli a Minosso,
e’ mi potrebbe ben examinare
ch’e’ mi trovasse in ciò cagione adosso. 11
Però dè non t’incresca di pescare,
e s’e’ ti domandasse com’io posso,
digli ch’un cieco mi potre’ seccare. 14
Se stasera al cenare
di pesci non mi rechi pien la zucca,
i’ fuggirò la mortalità a Lucca. 17
Raggiunsi andando al bagno un fra minore
colla cappa alta infin sopra ’l ginocchio
sì ch’io vedevo il fiero scatapocchio
il quale era dell’ordine maggiore. 4
Scappucciato era per lo gran calore
e ’ntorno al collo portava un mazocchio
di cacio fresco e pien di cispa all’occhio,
donde stillava il suo frigido omore. 8
Battaglio non sonò sì a martello
quanto ne’ panni dinanzi e dirieto
la ’gnuda fava di quel gran baccello. 11
Non vidi mai maggior contradivieto
e la coglia pare[v]a un otricello
di cornamusa, e ’l suo bordone il vieto. 14
Drieto gli andavo cheto,
et e’ per fuggir otio in quel vïaggio
sempre parlò col cul d’ogni linguaggio. 17
Studio Büezio di sconsolazione
qui in Vinegia in casa un degli Alberti,
e per dirti ’ mie versi più coperti
mangio sol carne di tuo gonfalone; 4
e, perch’e’ fu di grossa conditione
e già dimesticò molti diserti,
sempre adosso gli sto cogli occhi aperti
cercando del più tenero boccone. 8
Levandomi il bicchier del vin da bocca,
lassando il ciantellin, ché son toscano,
sempre alla lingua mi riman la cocca; 11
e fila come cacio parmigiano,
e come lin si filerebbe a rocca,
e di comino ha un sapore strano. 14
Non vermiglio o trebbiano,
ma cocitura par di marron lessi
e non si versa mai ne’ bicchier fessi. 17
Limatura di corna di lumaca,
vento di fabbro, d’organo e di rosta,
perché mosca giamai non vi s’accosta
mette mastro Marian nell’utrïaca. 4
O Roma fresca, quando il manto vaca
faresti bene a metterlo in composta
e fare al Culiseo una sopposta
di pastural, non pur di pastinaca. 8
Nebrotto fe’ la torre di Babello
per ghuardare l’oche dal falcon celesto
che di state non porta mai cappello. 11
E se tu non intendi questo testo,
gìttati nelle braccia a Mongibello
come chi dorme e sogna d’esser desto. 14
E truovo nel Digesto
che chiocciole, testuggine né granchi
mai si conoscono quando sono stanchi. 17
Il nobil cavalier messer Marino,
questi sei mesi podestà passato
dal magno Re Alfonso electionato,
e’ par venuto d’India un babbuino. 4
In Città, in Camollia, in san Martino
un capo di castron non ha lassato,
e ’l cavolo c’è per lui sì rincarato
che non se ne dà più per un quattrino. 8
Cavoli marci in tutto questo ufitio
hanno mangiato conditi in dì neri,
col cuffion del notaio del malifitio. 11
E quel palazo è pien di cimiteri
con tanti testi ’ quali al dì giuditio
‘be be’ belando torneranno interi. 14
E birri e ’ cavalieri,
lui, el colletterale e l’assessore
risuciteran tutti a quel romore 17
in un tino di savore,
siché, Signori, dè dategli il pennone
dipinto a corna e capi di castrone. 20
effere oppreffa dalle tempeste, nè solamente dalle piogge,& tempelte:ma ancora per molti esperimenti de' corpi,& delle terre. Alcuni sono come percof fi dalla ftella; alcuni altri in certi tempi determinati fentono mutationi nel venire,ne'neniti,nel capo,& nella mente. L'olivo, l'oppio bianco,e i salci nel folftitio girano le lor foglie. L'herba secca del puleggio appiccata sotto i setti Puleggio fiorisce il di proprio della bruma:& romponli le carte pergamene gofiate. Ma secco quan
do Gorisce. rauiglisi di questo,chi nó l'ha esperimentato ogni di,che vi'herba, che si chia ma Heliotropio,guarda sempre il Sole,quando ci si parte, & di cótinuo fivol ge insieme con esso,béche sia coperto da nugoli. La Luna ancora ba possanza Alterationi di far crescere,& fcemari corpi dell'ostriche,& de' granchi. Et quei che sono in diuerli
animali per Aati più diligenti,dicono che le venoline del fegato de'topi rispondono al nu conto della mero della Luna:& la formica,animal cosi piccolo fente le forze della Lu- Lens. na; percioche quando la Luna non si vede nevecchia, ne nuoua, li rimane dal fuo lanoro.Et è tanto più bruitta l'ignorantia dell'huomo, ilquale confe dla che ne gl’occhi d'alcune bestic crescono,& scemano imali insieme con la Luna. Aiutaci la smisurata grandezza del cielo con la sua altitudine partita in quarantadue segni. Et tiitti quefti sono figure di cose, o d'animali, nellequali gli huomini scientiati hanno compartito il cielo. In questi segni alcuni hanno no tate mille feicento stelle;cioè,le più eccellenti,& per effetto,& per apparen tia. Come per effempio. effempio, nella coda del Tauro setre, lequali chiamarono Vergilie: nella fronte sono le Suoole. Er Boote , che seguita i settentrioni. :)
Le cagioni delle pioggie, de venti, o delle nugole. Cap. XLII.
O NON negherò già, che fuor di queste cagioni nó pofiano offer le pioggie,
eivéri:percioche egli è cosa chiara,che dalla terra eshala ceria caligine bu mida,e alcuna volta ancora per li vapori fumicofa. Onde & per l'humidità; che móra in alto,ò per l'aria condensata in liquore, li genėraro le rugcle. Et la dengà, e il corpo di quelle & vede cetto, percioch'ellectioprono il Sole:&
Bciò vedono anco quei che si tuffano in qual fi voglia profonda altezza daca
qua,
De' tnoni, o folgori.
Cap. XLIII.
.
On negherò adunque poier cadere in queste nugole di sopra fuochi dal
le stelle quali spesso veggiamo nel sereno, dal percot méro de quali e co-
molla l'aria,come quãdo le saette lăciate fi sentono ftridere. Quando dunque
quei fuochi giungono alla nugola generano vapore diffonāte, fi come ferro ro
uéte tuffato null'acqua
uéte tuffato null'acqua,& gira intorno vna certa riuolutione di fumo. Diqui
Tempette
ondenfica nascono le tépefte Et le nella nugola combatte il vento, o il uapore,fi fanno i
tuoni,ma s'egli esce ardéte,nascono le faette,& se per lúgo fpatio fa tal forza,-
végono i baleni.Percioche quefti fendono le nagolc,e quci le rõpono. E ito
ni sono le percosse,che fanno i fuochi,che Battono nelle nugole, & perciò su
bito le focose feffure loro végono à lāpeggiare. Può benanco talvolta lo spiri
fo,che & leuò da terra,rispinto in giù dalla forza delle stelle, e ristretto nella
nugola,ionare, strāgoládo la natura il suono,métre che
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