Paderno- Brivio anello sulle due sponde dell'Adda
near Paderno d'Adda, Lombardia (Italia)
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Rime (Berni)/XIV. Capitolo della primiera
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XIV. Capitolo della primiera
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Citazioni di questo testo
◄XIII. Capitolo dell'agoXV. Sonetto contra la primiera►
Tutta l’età d’un uomo intera intera,
se la fusse ben quella di Titone,
3non basterebbe a dir della primiera;
non ne direbbe affatto Cicerone,
né colui ch’ebbe, come dice Omero,
6voce per ben nove millia persone:
un che volesse dirne daddovero,
bisognere’ ch’avesse più cervello
9che chi trovò gli scacchi e ’l tavoliero.
La primiera è un gioco tanto bello
e tanto travagliato, tanto vario,
12che l’età nostra non basta a sapello;
non lo ritroverebbe il calendario
né ’l messal ch’è sì lungo, né la messa,
15né tutto quanto insieme il brevïario.
Dica le lode sue dunque ella stessa,
però ch’un ignorante nostro pari
18oggi fa ben assai se vi s’appressa;
e chi non ne sa altro, almanco impari
che colui ha la via vera e perfetta
21che gioca a questo gioco i suoi danari.
Chi dice egli è più bella la bassetta
per esser presto e spacciativo gioco,
24fa un gran male a giocar se gli ha fretta.
Questa fa le sue cose a poco a poco;
quell’altra, perché ell’è troppo bestiale,
27pone ad un tratto troppo carne a foco,
come fanno color c’han poco sale
e que’ che son disperati e falliti
30e fanno conto di capitar male.
Nella primiera è mille buon partiti,
mille speranze da tenere a bada,
33come dire "carte a monte" e "carte e ’nviti",
"hi l’ha" e "chi non l’ha", "vada" e "non vada",
star a flusso, a primiera e dire: "A voi",
36e non venir al primo a mezza spada:
ché, se tu vòi tener l’invito, puoi;
se tu no ’l vuoi tener, lasciarlo andare,
39metter forte e pian pian, come tu vuoi;
puoi far con un compagno anche a salvare,
se tu avessi paura del resto,
42et a tua posta fuggire e cacciare.
Puossi far a primiera in quinto e ’n sesto,
che non avvien così ne gli altri giochi,
45che son tutte novelle a petto a questo;
anzi son proprio cose da dapochi,
uomini da nïente, uomini sciocchi,
48come dir messi e birri et osti e cuochi.
S’io perdessi a primiera il sangue e gli occhi
non me ne curo; dove a sbaraglino
51rinnego Dio s’io perdo tre baiocchi.
Non è uom sì fallito e sì meschino,
che s’egli ha voglia di fare a primiera,
54non truovi d’accattar sempre un fiorino.
Ha la primiera sì allegra cera
che la si fa per forza ben volere
57per la sua grazia e per la sua maniera.
Et io per me non truovo altro piacere
che, quando non ho il modo da giocare,
60star dirieto ad un altro per vedere;
e stare’vi tre dì senza mangiare,
dico bene a disagio, ritto ritto,
63come s’io non avessi altro che fare;
e per suo amore andrei fin in Egitto
et anche credo ch’io combatterei,
66defendendola a torto et a diritto.
Ma s’io facessi e dicessi per lei
tutto quel ch’io potessi fare e dire,
69non arei fatto quel ch’io doverei;
però, s’a questo non si può venire,
io per me non vo’ innanzi per sì poco
72durar fatica per impoverire:
basta che la primiera è un bel gioco.
◄XIII. Capitolo dell'ago▲XV. Sonetto contra la primiera►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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Rime (Berni)/XV. Sonetto contra la primiera
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XV. Sonetto contra la primiera
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◄XIV. Capitolo della primieraXVI. Capitolo di papa Adriano►
Può far la Nostra Donna ch’ogni sera
i’ abbia a star a mio marcio dispetto
in fin all’undeci ore andarne al letto,
4a petizion de chi gioca a primiera?
Dirà forse qualch’un: "Ei si dispera,
et a’ maggior di sé non ha rispetto".
Potta di Jesu Cristo (io l’ho pur detto!),
8hassi a giocar la notte intera intera?
Viemmene questo per la mia fatica
ch’io ho durato a dir de’ fatti tuoi,
11che tu mi se’, Primiera, sì nemica?
Ben che bisognaria voltarsi a voi,
signor; che se volete pur ch’io ’l dica,
14volete poco ben a voi et a noi.
Et inanzi cena e poi
giocate e giorno e notte tuttavia,
17senza sapere che restar si sia.
Questa è la pena mia:
ch’io veggio e sento, e non posso far io;
20e non volete ch’i’ rineghi Dio?
◄XIV. Capitolo della primiera▲XVI. Capitolo di papa Adriano►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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crittori si nazionali che stranieri narrarono l'origine ed i primordi della città di Milano, e quanto in essa accadde poscia di memorabile per vizi e virtù cittadine, e pel volgere delle umane sorti. Noi pure imprendemmo, non ha molto, a trattare questa storia, esponendo in trenta libri molti avvenimenti degni di ricor
danza. E in vero, dopo l'epoca romana, e quel Senato che goveroava il mondo, non fuvvi, a mio credere, repubblica o popolo alcuno che più del milanese offrisse esempi di beni e di mali, e un più continuo avvicendarsi di paci, di guerre e di studj civili. A Milano fiorirono, più che altrove, codesti studj, e gli scrittori qui
Il primo capo di ciascun libro non ha l'argomento, essendo una specie di prologo al libro medesimo.
(11 Trad.)
volsero l'ingegno alla istruzione degli uomini. Tutte le quali cose credo averle esposte nella citata mia storia.
Ma ora che m’accingo a narrare le orrende stragi della peste, la città stremnata dalle morti, e i diritti più sacri di natura violati, m'è d'uopo impetrare indulgenza dai lettori, i quali, nella loro politica gravità, forse spregeranno me ed il mio racconto al leggere codesta atroce e mesta storia simile a squallido deserto. Però non fia inutile rivolgervi la mente: gli uomini onesti, stanchi delle frodi e delle tristizie che deturpano i nostri annali, vedranno in questo racconto il gastigo dei vizj, e stimeranno adequatamente cose che loro danno sì gran pensiero, qualora vedano tante migliaja di uomini essere periti pel loro alito avvelenato, tante famiglie rimaste senza eredi; la metropoli fatta deserta, e insultata la gloria e la rivoinanza del nome. Da ultimo, per mostrare quanto più sia fatalecodesta rinomanza, di cui taluni cotanto insuperbiscono, e perchè viemeglio si conosca la fierezza della pestilenza, e da quali principi originata, grado a grado diventasse così desolatrice, io premetterò alcuni cenni sulla posizione e lo stato di Milano prima della catastrofe che per poco non la distrusse.
Posizione e stato della città avanti la Peste.
Milano, situata in un'aperta pianura, riceve purissimi i raggi del sole, vantaggio non comune ad ogni città. L'aria salubre non è contaminata dai vapori degli irrigati terreni, i quali danno abbondanti raccolti, laonde il mite clima e
il suolo ubertoso nulla lasciano desiderare di quanto serve a nutrire gli uomini ed a rendere loro piacevole l'esistenza; nè più lunga, nè più felice scorre altrove la vita, purchè l'intemperanza non distrugga l'effetto di tanti doni di natura. Buona copia di frumento si esporta fra gli Svizzeri, i Gri. gioni ed altre genti che scarseggiano di terre coltivabili; e con tal mezzo si riesce spesso ad averli alleati, e si ottiene dai medesimi pegno di fede che non apriranno al nemico i passi dei loro monti verso la Lombardia. Così anche il principe, per rimunerarli della fedeltà, concede talvolta agli stessi licenza di estrarre granaglie, dividendo a metà il guadagno dei trasporti. I governatori poi adoperarono sovente questo modo speditissimo di far denari, sì grande è l'esuberanza dei grani nell' ubertoso agro inilanese.
I dne celebri fiumi, l'Adda e il Ticino, agevolano l'importazione e l'esportazione. Uscendo il primo dal Verbano, il secondo dal Lario, abbracciano, in tutta la sua larghezza, il milanese territorio andando a gettarsi per diversa via nel Po, il quale mette foce nell'Adriatico, avvicinano in certo modo l'Oceano alla città nostra. Inperocchè ogni merce che o viene dal mare o ad esso si deve condurre, trasportasi per un canale navigabile, che, estratto dall'Adda e dal Ticino, fa il giro delle mura, e la congiunge co' due fiumi anzidetti.
Milano, potente per uomini, armi e ingegni, non è soltanto dominatrice de' confinanti popoli, ma nutrice altresì di estranee genti. E l'essere non ultima cura del re Cattolico cui è suddita, accresce vieppiù lo splendore del suo nome, che in uno coll'Italia è il più bell' ornamento e la forza dell'impero di lui, che si estende su due mondi. Non ha Milano più di sette mila passi in circuito, ma fu tanto popolata, che molti de' suoi quartieri somiglierebbero ad altrettante città qualora venissero isolati. Contava un lempo trecento mila abitanti ; duecento mila avanti la peste, cui mi sono proposto descrivere. Le abitazioni ed il vestire dei cittadini erano tali, che appalesavano ricchezza principesca; i grandi poi imitavano il fasto reale: i negozianti ed i banchieri erano divenuti sì ricchi, che, abbandonato il commercio e sprezzando ulteriori guadagni, innalzavano l'aniino al dominare, e molti ambivano fregiarsi di coronati stemmi, ignoti ai loro oscuri antenati. Il mediatore si faceva coraggio di occupare i luoghi da essi abbandonati, l'infima plebe deponeva i cenci, e il marito spregiava la moglie se non indossava veste di seta ricamata in oro. L'abito di pura seta veniva ormai lasciato ai mendichi; il portar gemme, anello di gran valore in dito o orecchini direnne oslentazione spregiata , e le nobili matrone, cui tali ornamenti erano venuti a noja, quasi per soverchiare le donne del volgo
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Tutta l’età d’un uomo intera intera,
se la fusse ben quella di Titone,
3non basterebbe a dir della primiera;
non ne direbbe affatto Cicerone,
né colui ch’ebbe, come dice Omero,
6voce per ben nove millia persone:
un che volesse dirne daddovero,
bisognere’ ch’avesse più cervello
9che chi trovò gli scacchi e ’l tavoliero.
La primiera è un gioco tanto bello
e tanto travagliato, tanto vario,
12che l’età nostra non basta a sapello;
non lo ritroverebbe il calendario
né ’l messal ch’è sì lungo, né la messa,
15né tutto quanto insieme il brevïario.
Dica le lode sue dunque ella stessa,
però ch’un ignorante nostro pari
18oggi fa ben assai se vi s’appressa;
e chi non ne sa altro, almanco impari
che colui ha la via vera e perfetta
21che gioca a questo gioco i suoi danari.
Chi dice egli è più bella la bassetta
per esser presto e spacciativo gioco,
24fa un gran male a giocar se gli ha fretta.
Questa fa le sue cose a poco a poco;
quell’altra, perché ell’è troppo bestiale,
27pone ad un tratto troppo carne a foco,
come fanno color c’han poco sale
e que’ che son disperati e falliti
30e fanno conto di capitar male.
Nella primiera è mille buon partiti,
mille speranze da tenere a bada,
33come dire "carte a monte" e "carte e ’nviti",
"hi l’ha" e "chi non l’ha", "vada" e "non vada",
star a flusso, a primiera e dire: "A voi",
36e non venir al primo a mezza spada:
ché, se tu vòi tener l’invito, puoi;
se tu no ’l vuoi tener, lasciarlo andare,
39metter forte e pian pian, come tu vuoi;
puoi far con un compagno anche a salvare,
se tu avessi paura del resto,
42et a tua posta fuggire e cacciare.
Puossi far a primiera in quinto e ’n sesto,
che non avvien così ne gli altri giochi,
45che son tutte novelle a petto a questo;
anzi son proprio cose da dapochi,
uomini da nïente, uomini sciocchi,
48come dir messi e birri et osti e cuochi.
S’io perdessi a primiera il sangue e gli occhi
non me ne curo; dove a sbaraglino
51rinnego Dio s’io perdo tre baiocchi.
Non è uom sì fallito e sì meschino,
che s’egli ha voglia di fare a primiera,
54non truovi d’accattar sempre un fiorino.
Ha la primiera sì allegra cera
che la si fa per forza ben volere
57per la sua grazia e per la sua maniera.
Et io per me non truovo altro piacere
che, quando non ho il modo da giocare,
60star dirieto ad un altro per vedere;
e stare’vi tre dì senza mangiare,
dico bene a disagio, ritto ritto,
63come s’io non avessi altro che fare;
e per suo amore andrei fin in Egitto
et anche credo ch’io combatterei,
66defendendola a torto et a diritto.
Ma s’io facessi e dicessi per lei
tutto quel ch’io potessi fare e dire,
69non arei fatto quel ch’io doverei;
però, s’a questo non si può venire,
io per me non vo’ innanzi per sì poco
72durar fatica per impoverire:
basta che la primiera è un bel gioco.
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Può far la Nostra Donna ch’ogni sera
i’ abbia a star a mio marcio dispetto
in fin all’undeci ore andarne al letto,
4a petizion de chi gioca a primiera?
Dirà forse qualch’un: "Ei si dispera,
et a’ maggior di sé non ha rispetto".
Potta di Jesu Cristo (io l’ho pur detto!),
8hassi a giocar la notte intera intera?
Viemmene questo per la mia fatica
ch’io ho durato a dir de’ fatti tuoi,
11che tu mi se’, Primiera, sì nemica?
Ben che bisognaria voltarsi a voi,
signor; che se volete pur ch’io ’l dica,
14volete poco ben a voi et a noi.
Et inanzi cena e poi
giocate e giorno e notte tuttavia,
17senza sapere che restar si sia.
Questa è la pena mia:
ch’io veggio e sento, e non posso far io;
20e non volete ch’i’ rineghi Dio?
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danza. E in vero, dopo l'epoca romana, e quel Senato che goveroava il mondo, non fuvvi, a mio credere, repubblica o popolo alcuno che più del milanese offrisse esempi di beni e di mali, e un più continuo avvicendarsi di paci, di guerre e di studj civili. A Milano fiorirono, più che altrove, codesti studj, e gli scrittori qui
Il primo capo di ciascun libro non ha l'argomento, essendo una specie di prologo al libro medesimo.
(11 Trad.)
volsero l'ingegno alla istruzione degli uomini. Tutte le quali cose credo averle esposte nella citata mia storia.
Ma ora che m’accingo a narrare le orrende stragi della peste, la città stremnata dalle morti, e i diritti più sacri di natura violati, m'è d'uopo impetrare indulgenza dai lettori, i quali, nella loro politica gravità, forse spregeranno me ed il mio racconto al leggere codesta atroce e mesta storia simile a squallido deserto. Però non fia inutile rivolgervi la mente: gli uomini onesti, stanchi delle frodi e delle tristizie che deturpano i nostri annali, vedranno in questo racconto il gastigo dei vizj, e stimeranno adequatamente cose che loro danno sì gran pensiero, qualora vedano tante migliaja di uomini essere periti pel loro alito avvelenato, tante famiglie rimaste senza eredi; la metropoli fatta deserta, e insultata la gloria e la rivoinanza del nome. Da ultimo, per mostrare quanto più sia fatalecodesta rinomanza, di cui taluni cotanto insuperbiscono, e perchè viemeglio si conosca la fierezza della pestilenza, e da quali principi originata, grado a grado diventasse così desolatrice, io premetterò alcuni cenni sulla posizione e lo stato di Milano prima della catastrofe che per poco non la distrusse.
Posizione e stato della città avanti la Peste.
Milano, situata in un'aperta pianura, riceve purissimi i raggi del sole, vantaggio non comune ad ogni città. L'aria salubre non è contaminata dai vapori degli irrigati terreni, i quali danno abbondanti raccolti, laonde il mite clima e
il suolo ubertoso nulla lasciano desiderare di quanto serve a nutrire gli uomini ed a rendere loro piacevole l'esistenza; nè più lunga, nè più felice scorre altrove la vita, purchè l'intemperanza non distrugga l'effetto di tanti doni di natura. Buona copia di frumento si esporta fra gli Svizzeri, i Gri. gioni ed altre genti che scarseggiano di terre coltivabili; e con tal mezzo si riesce spesso ad averli alleati, e si ottiene dai medesimi pegno di fede che non apriranno al nemico i passi dei loro monti verso la Lombardia. Così anche il principe, per rimunerarli della fedeltà, concede talvolta agli stessi licenza di estrarre granaglie, dividendo a metà il guadagno dei trasporti. I governatori poi adoperarono sovente questo modo speditissimo di far denari, sì grande è l'esuberanza dei grani nell' ubertoso agro inilanese.
I dne celebri fiumi, l'Adda e il Ticino, agevolano l'importazione e l'esportazione. Uscendo il primo dal Verbano, il secondo dal Lario, abbracciano, in tutta la sua larghezza, il milanese territorio andando a gettarsi per diversa via nel Po, il quale mette foce nell'Adriatico, avvicinano in certo modo l'Oceano alla città nostra. Inperocchè ogni merce che o viene dal mare o ad esso si deve condurre, trasportasi per un canale navigabile, che, estratto dall'Adda e dal Ticino, fa il giro delle mura, e la congiunge co' due fiumi anzidetti.
Milano, potente per uomini, armi e ingegni, non è soltanto dominatrice de' confinanti popoli, ma nutrice altresì di estranee genti. E l'essere non ultima cura del re Cattolico cui è suddita, accresce vieppiù lo splendore del suo nome, che in uno coll'Italia è il più bell' ornamento e la forza dell'impero di lui, che si estende su due mondi. Non ha Milano più di sette mila passi in circuito, ma fu tanto popolata, che molti de' suoi quartieri somiglierebbero ad altrettante città qualora venissero isolati. Contava un lempo trecento mila abitanti ; duecento mila avanti la peste, cui mi sono proposto descrivere. Le abitazioni ed il vestire dei cittadini erano tali, che appalesavano ricchezza principesca; i grandi poi imitavano il fasto reale: i negozianti ed i banchieri erano divenuti sì ricchi, che, abbandonato il commercio e sprezzando ulteriori guadagni, innalzavano l'aniino al dominare, e molti ambivano fregiarsi di coronati stemmi, ignoti ai loro oscuri antenati. Il mediatore si faceva coraggio di occupare i luoghi da essi abbandonati, l'infima plebe deponeva i cenci, e il marito spregiava la moglie se non indossava veste di seta ricamata in oro. L'abito di pura seta veniva ormai lasciato ai mendichi; il portar gemme, anello di gran valore in dito o orecchini direnne oslentazione spregiata , e le nobili matrone, cui tali ornamenti erano venuti a noja, quasi per soverchiare le donne del volgo
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