Misericordia
near Misericordia, Lombardia (Italia)
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sonetti del Burchiello
LXXXVIII
Messer Anselmo al Burchiello.
Parmi risuscitato quell’Orgagna
che quando que’ dell’abbaco avien festa
tanta rema abondava alla suo testa
che ne scriveva [a] tucta la compagna, 4
faccendo salti da Roma alla Magna,
mettendo granchi per cipolle in resta,
ch’a’ topi faceva trovar la pesta
delle formiche ch’eran nella Spagna. 8
Però, Burchiello, i’ ti vo’ me’ che prima,
priegoti segui la tuo fantasia
e pigliane piacer di fare in rima, 11
perché seguendo la tuo melodia
ne sarà fatto al mondo tanta stima
che la tuo fronte laurëata fia. 14
Priegoti in cortesia
che mi rispondi col tuo dolce suono,
ché non potrei ricever maggior dono. 17
messer Anselmo alle consonanze.
Messer Anselmo, e’ non è mie magagna,
né mi tengo sì alto aver la testa
ch’a chi mi scrive con sustanza presta
la man non porga gratïosa e magna; 4
se pur di ciò alcun di me si lagna,
son gente che mi danno pur molesta
scrivendomi lor sogni, onde a sol questa
turba plebea il mio inchiostro stagna. 8
Ma ringratiando tua loda sublima,
uomo degno di tal cavalleria,
non merta tanto onor mie bassa clima; 11
e quando alcun commendi, guarda pria
suo proprio stato e non lo por più in cima
né in più alto seggio ch’e’ si sia. 14
Farei gran villania
non rispondendo a te, che certo sono
non se’ degli ignoranti ch’io ragiono. 17
Apro la bocca secondo e bocconi
e s’io non posso aver del pesce grosso,
i’ mangio del minuto che ha men osso
toccando mona menta co’ bastoni. 4
Talor quel dipintor co’ suo prigioni,
che niun per povertà fu mai riscosso,
quando quel calzaiuolo, il me’ ch’i’ posso
salgo con pena quaranzei scaglioni; 8
E alcuna volta un micolin di muggine
ch’a un bollor nel pentolin si sgretola,
lustra di fuori e dentro è pien di ruggine: 11
scipito è più che pastinaca o bietola,
e per trarlo tra’ denti e le capruggine
convien ch’io gli scardassi colla setola. 14
Da Legnaia e Peretola
mangio l’anguille, e dal Galluzo e Portico,
che son più tenere quanto più le scortico. 17
E mezuli eran già nelle capruggine
volendo il trentatre lassar per arra
colui per cui si fa sì spesso sciarra
e mette al fine del carcer la caluggine; 4
quando in coraza coperta di ruggine
vidi villan partiti dalla marra,
qual col falcione, qual colla scimitarra,
qual col targone parea una testuggine. 8
Così feroce el nuovo Balugazo,
cadde una lancia strofinando il muro
che fe’ fuggire que’ trilli il popolazo: 11
io fui de’ primi e mai non fui sicuro
ch’io fui drento alla porta del Palazo,
temendo di morir nel caso scuro. 14
Un berricuocol duro
si mosse per piatà, ch’era già morto,
e venne al buco a porgermi conforto. 17
contro a’ studianti.
Questi che hanno studiato il Pecorone
coronià.
gli di foglie di radice
poiché son giunti al tempo lor felice,
e facciasi per man di Guasparrone. 4
Il primo sia Anselmo Calderone,
che non [i]scrive mai sanza vernice:
costui esser ben dotto in ciò mi dice,
e che fece di Lucca le canzone; 8
L’altro sarà Giovanni mio da Prato,
che l’apparò insieme col Vannino
Âthene dove a studio fu mandato; 11
e’ si chiama in battaglia l’Acquettino,
così è degno d’esser coronato
e poi pel più antico Baiardino. 14
Facciasi in san Martino
dal Pisanello il dì di san Brancatio,
e vedra’ poi da’ diavoli che stratio. 17
Va’ in mercato, Giorgin, tien qui un grosso:
togli una libbra e mezo di castrone,
dallo spicchio del petto o dall’arnione,
di’ a Peccion che non ti dia tropp’osso. 4
[I]spacciati, sta’ su, mettiti in dosso,
e fa’ di comperare un buon popone:
fiutal, che non sia zucca né mellone,
to’lo dal sacco, che non sia percosso. 8
Se de’ buoni non avessino e foresi,
ingegnati averne un da’ pollaiuoli,
costi che vuole, ch’e’ son bene spesi. 11
Togli un mazo tra cavoli e fagiuoli,
un mazo, non dir poi «I’ non ti intesi»,
e del resto to’ fichi castagnuoli, 14
colti sanza picciuoli,
che la balia abbi tolto loro il latte
e painsi azuffati colle gatte. 17
LXXXVIII
Messer Anselmo al Burchiello.
Parmi risuscitato quell’Orgagna
che quando que’ dell’abbaco avien festa
tanta rema abondava alla suo testa
che ne scriveva [a] tucta la compagna, 4
faccendo salti da Roma alla Magna,
mettendo granchi per cipolle in resta,
ch’a’ topi faceva trovar la pesta
delle formiche ch’eran nella Spagna. 8
Però, Burchiello, i’ ti vo’ me’ che prima,
priegoti segui la tuo fantasia
e pigliane piacer di fare in rima, 11
perché seguendo la tuo melodia
ne sarà fatto al mondo tanta stima
che la tuo fronte laurëata fia. 14
Priegoti in cortesia
che mi rispondi col tuo dolce suono,
ché non potrei ricever maggior dono. 17
messer Anselmo alle consonanze.
Messer Anselmo, e’ non è mie magagna,
né mi tengo sì alto aver la testa
ch’a chi mi scrive con sustanza presta
la man non porga gratïosa e magna; 4
se pur di ciò alcun di me si lagna,
son gente che mi danno pur molesta
scrivendomi lor sogni, onde a sol questa
turba plebea il mio inchiostro stagna. 8
Ma ringratiando tua loda sublima,
uomo degno di tal cavalleria,
non merta tanto onor mie bassa clima; 11
e quando alcun commendi, guarda pria
suo proprio stato e non lo por più in cima
né in più alto seggio ch’e’ si sia. 14
Farei gran villania
non rispondendo a te, che certo sono
non se’ degli ignoranti ch’io ragiono. 17
Apro la bocca secondo e bocconi
e s’io non posso aver del pesce grosso,
i’ mangio del minuto che ha men osso
toccando mona menta co’ bastoni. 4
Talor quel dipintor co’ suo prigioni,
che niun per povertà fu mai riscosso,
quando quel calzaiuolo, il me’ ch’i’ posso
salgo con pena quaranzei scaglioni; 8
E alcuna volta un micolin di muggine
ch’a un bollor nel pentolin si sgretola,
lustra di fuori e dentro è pien di ruggine: 11
scipito è più che pastinaca o bietola,
e per trarlo tra’ denti e le capruggine
convien ch’io gli scardassi colla setola. 14
Da Legnaia e Peretola
mangio l’anguille, e dal Galluzo e Portico,
che son più tenere quanto più le scortico. 17
E mezuli eran già nelle capruggine
volendo il trentatre lassar per arra
colui per cui si fa sì spesso sciarra
e mette al fine del carcer la caluggine; 4
quando in coraza coperta di ruggine
vidi villan partiti dalla marra,
qual col falcione, qual colla scimitarra,
qual col targone parea una testuggine. 8
Così feroce el nuovo Balugazo,
cadde una lancia strofinando il muro
che fe’ fuggire que’ trilli il popolazo: 11
io fui de’ primi e mai non fui sicuro
ch’io fui drento alla porta del Palazo,
temendo di morir nel caso scuro. 14
Un berricuocol duro
si mosse per piatà, ch’era già morto,
e venne al buco a porgermi conforto. 17
contro a’ studianti.
Questi che hanno studiato il Pecorone
coronià.
gli di foglie di radice
poiché son giunti al tempo lor felice,
e facciasi per man di Guasparrone. 4
Il primo sia Anselmo Calderone,
che non [i]scrive mai sanza vernice:
costui esser ben dotto in ciò mi dice,
e che fece di Lucca le canzone; 8
L’altro sarà Giovanni mio da Prato,
che l’apparò insieme col Vannino
Âthene dove a studio fu mandato; 11
e’ si chiama in battaglia l’Acquettino,
così è degno d’esser coronato
e poi pel più antico Baiardino. 14
Facciasi in san Martino
dal Pisanello il dì di san Brancatio,
e vedra’ poi da’ diavoli che stratio. 17
Va’ in mercato, Giorgin, tien qui un grosso:
togli una libbra e mezo di castrone,
dallo spicchio del petto o dall’arnione,
di’ a Peccion che non ti dia tropp’osso. 4
[I]spacciati, sta’ su, mettiti in dosso,
e fa’ di comperare un buon popone:
fiutal, che non sia zucca né mellone,
to’lo dal sacco, che non sia percosso. 8
Se de’ buoni non avessino e foresi,
ingegnati averne un da’ pollaiuoli,
costi che vuole, ch’e’ son bene spesi. 11
Togli un mazo tra cavoli e fagiuoli,
un mazo, non dir poi «I’ non ti intesi»,
e del resto to’ fichi castagnuoli, 14
colti sanza picciuoli,
che la balia abbi tolto loro il latte
e painsi azuffati colle gatte. 17
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