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Groppello d'Adda

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Trail stats

Distance
15.39 mi
Elevation gain
187 ft
Technical difficulty
Moderate
Elevation loss
187 ft
Max elevation
555 ft
TrailRank 
64
Min elevation
292 ft
Trail type
Loop
Moving time
3 hours 17 minutes
Time
3 hours 43 minutes
Coordinates
4101
Uploaded
February 3, 2023
Recorded
February 2023
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near Fara Gera d'Adda, Lombardia (Italia)

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Rime (Berni)/LXX. Capitolo in lamentazion d'amore
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXX. Capitolo in lamentazion d'amore
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◄ LXIX. LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata ►

In fe’ di Cristo, Amor, che tu hai torto,
assassinar in questo modo altrui
e volermi amazzar quand’io son morto.

Tu m’imbarcasti prima con colui,
or vorresti imbarcarmi con colei:
io vo’ che venga il morbo a lei e a lui,

e presso ch’io non dissi a te e a lei;
se non perch’io non vo’ che tu t’adiri,
ad ogni modo io te l’appiccherei:

sappi quel c’ho a far co’ tuoi sospiri;
perch’era avezzo a rider tuttavia,
or bisogna ch’io pianga e ch’io sospiri.

Quand’io trovo la gente per la via,
ogniun mi guarda per trassecolato
e dice ch’io sto male e ch’io vo via.

Io me ne torno a casa disperato,
e poi ch’io m’ho veduto nello specchio,
conosco ben ch’io son transfigurato:

parmi esser fatto brutto, magro e vecchio;
e gran mercé, ch’io non mangio più nulla
e non chiudo né occhio né orecchio.

Quando ogniun si solazza e si trastulla,
io attendo a trar guai a centinaia,
e fàmegli tirar una fanciulla.

Guarda se la fortuna vòl la baia:
la m’ha lasciato star insin ad ora,
or vòl ch’i’ m’inamori in mia vecchiaia.

Io non volevo inamorarmi ancora,
ché, poi ch’i’ m’era inamorato un tratto,
mi pareva un bel che esserne fòra.

Ad ogni modo, Amor, tu hai del matto,
e credi a me, se tu non fussi cieco,
io te farei veder ciò che m’hai fatto.

Or se costei l’ha finalmente meco,
questa rinegataccia della Mea,
di grazia, fa ancor ch’io l’abbia seco;

poi che tu hai disposto ch’io la bea,
se la mi fugge, ch’io le sia nemico,
e sia turco io, s’ella è ancor giudea;

altrimenti, Cupido, io te lo dico
in presenza di questi testimoni,
pensa ch’io t’abbia ad esser poco amico;

e se tu mi percuoti ne gli ugnioni,
rinego Dio s’io non ti do la stretta
e s’io non ti fornisco a mostaccioni.

Prega pur Cristo ch’io non mi vi metta:
tu non me n’arai fatto però sei,
ch’io ti farò parer una civetta.

Non potendo valermi con costei,
per vendicarmi de’ miei dispiaceri,
farotti quello ch’arei fatto a lei.

E non varràti ad esser balestrieri,
o scusarti co l’esser giovanetto:
allor faròtel io più volontieri.

Non creder ch’io ti vogli aver rispetto;
io te lo dico: se nulla t’aviene,
non dir dapoi ch’io non te l’abbia detto.

Cupido, se tu sei un uom da bene
e servi altrui quando tu se’ richiesto,
abbi compassïon delle mie pene;

non guardar perch’i’ t’abbia detto questo:
la troppa stizza me l’ha fatto dire;
un’altra volta io sarò più onesto.

A dirti il vero, io non vorrei morire:
ogn’altra cosa si pò sopportare,
questa non so come la s’abbia ad ire.

Se costei mi lasciassi manicare,
io li farei di drieto un manichino
e mostrarei di non me ne curare;

ma chi non mangia pane e non bee vino
io ho sentito dir che se ne more,
e quasi quasi ch’io me lo ’ndovino.

Però ti vo’ pregar, o dio d’amore:
s’io ho pur a morir per man di dame,
tira anco a lei un verretton nel core;

fa’ ch’ella mora d’altro che di fame.

◄ LXIX. ▲ LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
Ultima modifica 12 anni fa di CandalBot
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Rime (Berni)/LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata
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◄ LXX. Capitolo in lamentazion d'amore LXXII. Capitolo secondo alla sua innamorata ►

Quand’io ti sguardo ben dal capo a’ piei
e ch’io contemplo la cima e ’l pedone,
mi par aver acconcio i fatti miei.

Alle guagnel, tu sei un bel donnone,
da non trovar nella tua beltà fondo,
tanto capace sei con le persone.

Credo che chi cercasse tutto ’l mondo
non troveria la più grande schiattona:
sempre sei la maggior del ballo tondo.

Io vedo chiar che tu saresti buona
ad ogni gran refugio e naturale,
sol con l’aiuto della tua persona.

Se tu fussi la mia moglie carnale,
noi faremmo sì fatti figliuoloni
da compensarne Bacco e Carnevale.

Quando io ti veggio in sen que’ dui fiasconi,
oh mi vien una sete tanto grande
che par ch’io abbia mangiato salciccioni;

poi, quand’io penso all’altre tue vivande,
mi si risveglia in modo l’appetito
che quasi mi si strappan le mutande.

Accettami, ti prego, per marito,
ché ti trarrai con me tutte le voglie,
perciò ch’io son in casa ben fornito.

Io non aveva il capo a pigliar moglie,
ma quand’io veggio te, giglio incarnato,
son come uno stallon quando si scioglie,

che vede la sua dama in sur un prato,
e balla e salta come un paladino;
così fo io or ch’io ti son allato.

Io ballo, io canto, io sòno il citarino,
e dico all’improvista de’ sonetti
che non gli scoprirebbe un cittadino.

Se vòi che ’l mio amor in te rimetti,
èccome in punto apparecchiato e presto,
pur che di buona voglia tu l’accetti.

E se ancor non ti bastasse questo,
che tu voglia di me meglio informarti,
infórmatene, ché gli è ben onesto.

In me ritrovarai di buone parti,
ma la meglior io non te la vo’ dire:
s’io la dicessi, farei vergognarti.

Or se tu vòi alli effetti venire,
stringiamo insieme le parole e’ fatti,
e da uom discreto chiamami a dormire;

e se poi il mio esser piaceratti,
ci accordaremo a far le cose chiare,
ché senza testimon non voglio gli atti.

Io so che presso me arai a durare
e che tu vòi un marito galante:
adunque piglia me, non mi lasciare.

Io ti fui sempre sviscerato amante;
di me resti a veder sol una prova:
da quella in fuor, hai visto tutte quante.

Sappi che di miei par non se ne trova,
perch’io lavoro spesso e volentieri
fo questo e quello ch’alla moglie giova.

Con me dar ti potrai mille piaceri,
di Marcon ci staremo in santa pace,
dormirem tutti due senza pensieri,

perché ’l fottere a tutti sempre piace.

◄ LXX. Capitolo in lamentazion d'amore ▲ LXXII. Capitolo secondo alla sua innamorata ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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Rime (Berni)/LXXII. Capitolo secondo alla sua innamorata
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXXII. Capitolo secondo alla sua innamorata
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◄ LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata LXXIII. ►

Tu se’ disposta pur ch’io mora affatto,
prima che tu mi voglia soccorrire,
e farmi andar in frega com’un gatto;

ma se per tuo amor ho a morire,
io t’entrarò col mio spirito adosso
e sfamarommi inanzi al mio uscire.

E’ non ti varrà dir: "Non vo’; non posso":
cacciato ch’io t’avrò il mio spirto drento,
non t’avedrai che ’l corpo sarà grosso.

Al tuo dispetto anche sarò contento,
e mi starò nel tuo ventre a sguazzare,
come se fussi proprio l’argumento.

Se’ preti mi vorranno discacciare,
non curarò minaccie né scongiuri:
ti so dir, avranno agio di gracchiare.

Quando avran visto ch’io non me ne curi,
crederanno che sia qualche malìa,
presa a mangiar gli scaffi troppo duri,

e chi dirà che venghi da pazzia;
così alla fin non mi daranno impaccio
e caverommi la mia fantasia.

Ma s’io piglio coi denti quel coraccio,
io gli darò de’ morsi come cane
e insegnarògli ad esser sì crudaccio.

Tel dico, ve’, mi amazzarò domane,
per venir presto con teco a dormire;
et intrarotti dove t’esce il pane.

Sì che vedi or se tu ti puoi pentire:
io ti do tempo sol per tutta sera;
altramente, diman mi vo’ morire.

Non esser, come suoli, cruda e fiera,
perché, s’io ci mettessi poi le mani,
ti faria far qualche strania matera.

Farotti far certi visacci strani
che, specchiandoti, avrai maggior paura
che non ebbe Atteon in mezzo a’ cani.

Se tu provassi ben la mia natura,
tu teneresti via di contentarmi
e non saresti contra me sì dura.

In fine son disposto d’amazzarmi,
perché ti voglio ’n corpo un tratto intrare,
ch’altro modo non ho da vendicarmi.

S’io v’entro, i’ ti vo’ tanto tribulare!
Io uscirò poi per casa la notte
e ciò che trovarò ti vo’ spezzare.

Quand’io t’avrò tutte le veste rotte,
io ti farò ancor maggior dispetto,
e caverotti il cìpol dalla botte,

e levarotti il pannel di sul letto,
e ti farò mostrar quell’infernaccio
ov’entra et esce ’l diavol maladetto:

darotti tanto affanno e tant’impaccio
che non sarai mai più per aver bene,
s’io non mi scioglio di questo legaccio.

Sì che, stu vuoi uscir d’affanni e pene
e se non vuoi diventar spiritata,
accordarti con meco ti conviene.

Ma io ti veggio star tant’ostinata
e non aver pietà de’ miei gran guai,
ch’è forza farti andar co i panni alzata

e di farti mostrar quel che tu hai.

◄ LXXI. Capitolo primo alla sua innamorata ▲ LXXIII. ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
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Milano, 1985
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