Canonica
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Rime (Berni)/XXXVIII. Sonetto a Papa Chimente
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XXXVIII. Sonetto a Papa Chimente [VII malato]
Informazioni sulla fonte del testo
◄XXXVII. A Giovan Mariani congratulandosi che sia vivoXXXIX. Di Papa Clemente VII malato►
Fate a modo de un vostro servidore,
el qual vi dà consigli sani e veri:
non vi lassate metter più cristieri,
4che, per Dio, vi faranno poco onore.
Padre santo, io vel dico mo’ de cuore:
costor son macellari e mulattieri
e vi tengon nel letto volentieri,
8perché si dica: "Il papa ha male, e’ more";
e che son forte dotti in Galïeno,
per avervi tenuto all’ospitale,
11senza esser morto, un mese e mezzo almeno.
E fanno mercanzia del vostro male:
han sempre il petto di polizze pieno,
14scritte a questo e a quell’altro cardinale.
Pigliate un orinale
e date lor con esso nel mostaccio:
17levate noi di noia e voi d’impaccio.
◄XXXVII. A Giovan Mariani congratulandosi che sia vivo▲XXXIX. Di Papa Clemente VII malato►
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Rime (Berni)/XXXIX. Di Papa Clemente VII malato
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
XXXIX. [Di Papa Clemente VII malato]
Informazioni sulla fonte del testo
◄ XXXVIII. Sonetto a Papa Chimente XL. Voto di Papa Clemente VII ►
"Il papa non fa altro che mangiare",
"Il papa non fa altro che dormire",
quest’è quel che si dice e si può dire
a chi del papa viene a dimandare.
Ha buon occhio, buon viso, buon parlare,
bella lingua, buon sputo, buon tossire:
questi son segni ch’e’ non vuol morire,
ma e medici lo voglion amazzare,
perché non ci sarebbe il lor onore,
s’egli uscisse lor vivo delle mani,
avendo detto: "Gli è spacciato, e’ more".
Trovan cose terribil, casi strani:
egli ebbe ’l parocismo alle due ore,
o l’ha avut’oggi e non l’avrà domani.
Farien morire i cani,
non che ’l papa; e alfin tanto faranno,
ch’a dispetto d’ogniun l’amazzeranno.
◄ XXXVIII. Sonetto a Papa Chimente ▲ XL. Voto di Papa Clemente VII ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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Rime (Berni)/LXVII. Sonetto della massara
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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXVII. Sonetto della massara
Informazioni sulla fonte del testo
◄ LXVI. LXVIII. Sonetto delli bravi ►
Io ho per cameriera mia l’Ancroia,
madre di Ferraù, zia di Morgante,
arcavola maggior dell’Amostante,
balia del turco e suocera del boia.
È la sua pelle di razza di stoia,
morbida come quella del leofante:
non credo che si trovi al mondo fante
più orrenda, più sucida e squarquoia.
Ha del labro un gheron, di sopra, manco:
una sassata glie lo portò via
quando si combatteva Castelfranco.
Pare il suo capo la cosmografia,
pien d’isolette d’azzurro e di bianco,
commesse dalla tigna di tarsìa.
Il dì de Befanìa
vo’ porla per befana alla finestra,
perché qualch’un le dia d’una balestra;
ché l’è sì fiera e alpestra
che le daran nel capo d’un bolzone,
in cambio di cicogna e d’airone.
S’ella andasse carpone,
parrebbe una scrofaccia o una miccia,
ch’abbia le poppe a guisa di salciccia;
vieta, grinza e arsiccia,
secca dal fumo e tinta in verde e giallo,
con porri e schianze suvi e qualche callo.
Non li fu dato in fallo
la lingua e i denti di mirabil tempre,
perché ella ciarla e mangia sempre sempre.
Convien ch’io mi distempre
a dir ch’uscisse di man di famigli;
e che la trentavecchia ora mi pigli.
Fûr de’ vostri consigli,
compar, che per le man me la metteste
per una fante dal dì delle feste;
credo che lo faceste
con animo d’andarvene al vicario
et accusarme per concubinario.
◄ LXVI. ▲ LXVIII. Sonetto delli bravi ►
Edizione: "Rime" di Francesco Berni
a cura di Danilo Romei
Collezione GUM. N. S
Mursia editore S.p.A.
Milano, 1985
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Rime (Berni)/XXXVIII. Sonetto a Papa Chimente
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el qual vi dà consigli sani e veri:
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4che, per Dio, vi faranno poco onore.
Padre santo, io vel dico mo’ de cuore:
costor son macellari e mulattieri
e vi tengon nel letto volentieri,
8perché si dica: "Il papa ha male, e’ more";
e che son forte dotti in Galïeno,
per avervi tenuto all’ospitale,
11senza esser morto, un mese e mezzo almeno.
E fanno mercanzia del vostro male:
han sempre il petto di polizze pieno,
14scritte a questo e a quell’altro cardinale.
Pigliate un orinale
e date lor con esso nel mostaccio:
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"Il papa non fa altro che mangiare",
"Il papa non fa altro che dormire",
quest’è quel che si dice e si può dire
a chi del papa viene a dimandare.
Ha buon occhio, buon viso, buon parlare,
bella lingua, buon sputo, buon tossire:
questi son segni ch’e’ non vuol morire,
ma e medici lo voglion amazzare,
perché non ci sarebbe il lor onore,
s’egli uscisse lor vivo delle mani,
avendo detto: "Gli è spacciato, e’ more".
Trovan cose terribil, casi strani:
egli ebbe ’l parocismo alle due ore,
o l’ha avut’oggi e non l’avrà domani.
Farien morire i cani,
non che ’l papa; e alfin tanto faranno,
ch’a dispetto d’ogniun l’amazzeranno.
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Io ho per cameriera mia l’Ancroia,
madre di Ferraù, zia di Morgante,
arcavola maggior dell’Amostante,
balia del turco e suocera del boia.
È la sua pelle di razza di stoia,
morbida come quella del leofante:
non credo che si trovi al mondo fante
più orrenda, più sucida e squarquoia.
Ha del labro un gheron, di sopra, manco:
una sassata glie lo portò via
quando si combatteva Castelfranco.
Pare il suo capo la cosmografia,
pien d’isolette d’azzurro e di bianco,
commesse dalla tigna di tarsìa.
Il dì de Befanìa
vo’ porla per befana alla finestra,
perché qualch’un le dia d’una balestra;
ché l’è sì fiera e alpestra
che le daran nel capo d’un bolzone,
in cambio di cicogna e d’airone.
S’ella andasse carpone,
parrebbe una scrofaccia o una miccia,
ch’abbia le poppe a guisa di salciccia;
vieta, grinza e arsiccia,
secca dal fumo e tinta in verde e giallo,
con porri e schianze suvi e qualche callo.
Non li fu dato in fallo
la lingua e i denti di mirabil tempre,
perché ella ciarla e mangia sempre sempre.
Convien ch’io mi distempre
a dir ch’uscisse di man di famigli;
e che la trentavecchia ora mi pigli.
Fûr de’ vostri consigli,
compar, che per le man me la metteste
per una fante dal dì delle feste;
credo che lo faceste
con animo d’andarvene al vicario
et accusarme per concubinario.
◄ LXVI. ▲ LXVIII. Sonetto delli bravi ►
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