Beata Vergine
near Beata Vergine, Lombardia (Italia)
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Frati tedeschi colle cappe corte,
panìco sodo e noce malïose,
ricotte crude e succiole pietose
corsono a Siena insino in sulle porte, 4
tutti gridando «Alla morte, alla morte!».
E mona Ciola colle man callose
disse lor «No’ siàn vaghi di duo cose,
d’aceto dolce e di finocchio forte». 8
Di poco s’eran chiuse le lumache
per vergogna che vidono al posciaio
dondolare el battaglio sanza brache; 11
e Giusaffà l’ave[v]a nel mortaio
che le pestava per farne utriache,
avendo intorno al viso un gran vespaio, 14
ch’erano più d’un migliaio
che ’l domandavan pur quel che quell’era
e che ’l volean per lor per farne cera. 17
La glorïosa fama di Davitti
che Minerva cantò con dolci versi,
sendo gli Ebrei spiriti perversi
dal malvagio Fiton morsi e trafitti. 4
E perché e granchi son miglior rifritti,
pietà mi venne e sì gli ricopersi
in Galilëa ubi Petro spersi
ante musica gal ter negavitti. 8
Coche dabosior stinch[e] tralech
fest istu mitaur guzinon
irabi[si]ster zucche sanza sprech. 11
Allabismile talabal meon
leïselem scasach salem malech
algul ganzir marai gracalbeon; 14
e disse «Non[ne] non»,
– al general che stava con riguardi –
Non sunt non sunt[i] pisces pro Lumbardi». 17
Tre fette di popone e duo di seta
e mestole forate bergamasche
e costole di cavoli e di lasche
si fuggiron nel porto di Gaeta; 4
e mona Ciola, come mal discreta,
s’empiè di berricuocoli le tasche
sotto un tetto di tegoli di frasche
dove fu la question fra ’l Biria e ’l Geta. 8
E Siena è vecchia e porta ancor coralli,
e ’l duca delle rape ha la pipita,
e Vulcano ha le man piene di calli. 11
E così truovo [che], ab Urbe condìta,
che Camillo sconfisse i fieri Galli
di meza notte, e tolse lor la vita; 14
perdio, siemi chiarita
da te questa quistion, e poi risposto:
s’e’ gli fè lessi, o veramente arrosto. 17
Ghiere di cacio e bubbole salvatiche,
stadere, specchi, canovacci e stocchi,
dossi di granchi e pance di ranocchi
son buon per farinata da volatiche. 4
Eran le gente antiche sì mal pratiche
che Argo che ave[v]a ben cent’occhi
per ‘tulluru luru’, suon de’ balocchi,
perdette le sette arte methamatiche. 8
Pertanto lo sciloppo de’ bizarri,
sì come ne cinguetta Tholomeo,
tolse a’ Romani il triomphar de’ carri; 11
ma della fiera bestia di Perseo
si dolfe Balaam quando disse «Arri!»,
che mal ci nacque Cesare o Pompeo, 14
e, come dice Orpheo,
sol d’allegreza la bertuccia toma
portar veggendo agli asin sì gran soma. 17
Fiacco magogo, barba di cipolla
che aprir si possa il capo di Medusa,
po’ che m’ha’ fatto star tanto alla musa
per uno orlicciuzzin di pan di lolla. 4
El re Prïam perdette l’alta bolla
nel modo che a passare Stige s’usa,
onde il falso Sinon trovò la scusa
per lo greco caval nella midolla. 8
Volse Androgeo l’alma di Calisto,
Cecina e Philomena per Megera
a Marzia feron fare il pianto tristo, 11
e quando Phebo rinovò suo spera
s’aperse il maladetto Papalisto
avacci’ e tardi fra mattina e sera; 14
ma nella primavera,
sì come dice Seneca a Lucillo,
la salsa nihil val senza serpillo. 17
L’alma che Giove scelse fra ’ mortali
per soccorrer Dïana nel diserto
è fatta luce, onde si rende merto
de’ tre pungenti et amorosi strali: 4
non disïate seguitar su’ ali
perché fortuna ha già nel mondo offerto
la speranza e ’l disir che mostra certo
gli stremi fati miseri infernali. 8
Arda la fiamma dell’eccelsa rota
tanto che ’l pigro ballo si disciolga
dalla catena onde si sciolse Giuda: 11
chi renderà la glorïosa dota
ch’aperse el limbo e chi fia che si dolga
veggendo la mia donna pianger nuda? 14
E quando un uovo suda,
to’ di quell’acqua e fregatela agli occhi
e vedrai saltellar mille ranocchi. 17
MEDESIME corone fi veggono intorno la Luna,& intorno à certe Stela
LE
le fille più nobili. 'Intorno al Sole apparse vn'arco essendo Consoli Lucio Opinio, & Q.Fabio; & vn cerchio esiindo Cócoli L.Portio, & M. Atilio. De arculı repentini.
Сар. XXX color effendo Consoli L.Giulio& Publio V Rutilico Pannofi alcuna volta l'ecclilfidel Sole prodigiore, & molto reclisi pro lunghe, fi come fu quella,quando fu morto Cesare Dittatore, & nella guerra sole,
digioso del di M. Antonio, che'l Sole quasi tutto vn'anno fù pallido, & ofcuro.
Più Foli. Сар. . xxxІ.
A mai ne notte il mai ne notte il
PPARISCONO ancora più Soli infieme, ne sopra esso, ne fotro, ma atraletè in Leuante, o in Ponente. Dicefi pure,che vna volta furono veduti da me zogiorno in Bosforo,iquali durorno dalla mattina, fino à sera. Gli antichi vid dero (peffevolte tre Soli,ti coine fu essédo Sp.Pofthumio, Q.Mutio,& Q Mar tig, M.Portio, & M.Antonio, Pub. Dofabella, & M.Lepido, L.Planco Conso li. Et l'età noftra ancora ha veduto il medesimo al tempo di Claudio Imperadore,esendo egli Confolo,& Cornelio Orfito fuo collega.Ma insino à quefto giorno non G troua, che ne fieno mai fati veduti più che tre à vn tratto. Pri Lane.
Cap. XXXII. ONOSI viste ancora tre Lune, fi come fu al tempo, che Gn.Vomitio, &G. Apparuero Fannio furono Consoli iqualifurono chiamatida molti soli notturni.
più moderLuce dide nella notte, , Сар. XXXII. V.VEDÝTO lume di cielo efsendo di notte tempo, quando era Consoli G. neal tempo F Cecilio,& Gn. Papirio, & di molte altre volce ; dimaniera ch'egli era det meget
dell'impera chiaro di notte, come fe fuffe ftato di giorno.
Setcimo,
& Scudi ardenti, Cap. XXXI 111.
di Papa Cle Eyno fcudo
ardente sfauillando da Ponente à Lelante. SSENDO L. Valerio, & G.Mario Confoti,nel tramontar del Sole, scorse mente Quia
Prodigio del Cielo. Cap: XXXV.
ADDE già vna fauilla da vna ftella, & crebbe nell'appreffarsi alla terra;
ADDE già vna fauilla da vna ftella, & crebbe nell'appreffarsi alla terra;
della Luna
to e di giorno, quando è nugolo; dipoi quando ritornò in cielo, diuentò vna
lampada: & ciò fu effendo Consoli Gn. Otrauio, & G. Scribonio. Questo
fu veduto da Licinio Sillano Proconsolo con la sua compagnia.
Del discorrimento delle Stelle. Сар. XXXVI EGGONSI fare i discorrimnenti delle stelle,ne mai senza cagione; perche

aamente in ciclo tre mare & in terra.
G. Plinio,


si.
Delle Stelle di Castore. Cap. XXXVII.
O Ho già veduto, quando i soldati fanno le guardie in campo di notte,in sà
le punte delle lancie come splédore di baleno, e in quella guisa ancora sù lc an:enne de' nauiganti, e in altre parti de' nauili;& quiuistarlifacérdo vn cer to suon di voce, si come fanno gli vccegli, quádo fi mutano da luogo à luogo. Se vígono lole, sono pericolose,& fanno affogar i nauili;e se cascano nelfon do della carena,ardono la naue sono due sono salutifere, & promettono
bilon viaggio; e per la loro venuta dicefi,che si mette in fuga quella crudele,et Helena cru- minaccio a ftella,che si chiama Helena, Et perciò attribuiscono questa deità dele a i naui à Pollace, & Castore, & gl'inuocano in mare come Dei.I capi de gli uomini ganti& Ca mare, ancora,nell'hora della sera, risplédono có gran prodigio.E di tutte quelle cose More,& Pol fuce' beni- nõ si può réder cagione alcuna, perch'elle lon polte nella macltà della natura. pui.
Dell'arit.
Cap. XXXVIII.
IO
Nsino à qui habbiamo ragionato del inondo,& delle stelle. Restano hora
da dire l'altre cose notabili del cielo. Percioche i nostri antichi chiamarono questo ci lo,che per altro nome li donanda aria; tutto quello che simile al vano,manda fuori questo spirito vitale. Et quefta fiede e dalla Luna in giù,& molto più balla (li come io considero effer quafi manifesto mescolādo l'infini
dire l'altre cose notabili del cielo. Percioche i nostri antichi chiamarono questo ci lo,che per altro nome li donanda aria; tutto quello che simile al vano,manda fuori questo spirito vitale. Et quefta fiede e dalla Luna in giù,& molto più balla (li come io considero effer quafi manifesto mescolādo l'infini
to della natura luperio e dell'aria, & l'infinito dell'halito terreno, fi cofonde Nagole,tuo con luna, & l'allra forte. Di qui végonol nugole, i tuoni,& gli altri folg n!; & folyo Di qui legragnuole, le brine,l. pioggie,le procelle,& tépefte. Diqui procedo
no lein in te sciagure delle persone,e'l contrasto delle cose della natura. La forza delle stelle reprime le cose terrene,che tendono al Cielo; & l'ifteffeti cano à se quelle cose che no salgano da loro Cascan le pioggie;le pebbie ral gono;
fiuni si seccano, ruinano le gragnuolezi raggi abbrózano,& d'ogni par
telpingono la terra in mezo. Quciinedefini perriuerberatione tornano in si; Vapore, & e por ano seco quellecole,che possono.ll vapore cadead alto,& di nuouo tor
na in su. I veti soprastánno alla terra vanige i medefimi ritornano că ruina. Et ta'i animali che sono sopra la terra,tirano lo spirito da alto.Ma eso repugna, & la terra come à vano in cielo infonde lo spirito. Eccoli andando quà, & là la natura,come da qualche stroinétoda láciare, con la prestezza del módo la diicordia s'accéde. Ne può star falda al cótralto,ma continuamére rapita s'aggira,& covnquali infini.oglobo di cose téde intorno la terra,dipoi per le netgole ci cu pre l'altro cielo Quetto
panìco sodo e noce malïose,
ricotte crude e succiole pietose
corsono a Siena insino in sulle porte, 4
tutti gridando «Alla morte, alla morte!».
E mona Ciola colle man callose
disse lor «No’ siàn vaghi di duo cose,
d’aceto dolce e di finocchio forte». 8
Di poco s’eran chiuse le lumache
per vergogna che vidono al posciaio
dondolare el battaglio sanza brache; 11
e Giusaffà l’ave[v]a nel mortaio
che le pestava per farne utriache,
avendo intorno al viso un gran vespaio, 14
ch’erano più d’un migliaio
che ’l domandavan pur quel che quell’era
e che ’l volean per lor per farne cera. 17
La glorïosa fama di Davitti
che Minerva cantò con dolci versi,
sendo gli Ebrei spiriti perversi
dal malvagio Fiton morsi e trafitti. 4
E perché e granchi son miglior rifritti,
pietà mi venne e sì gli ricopersi
in Galilëa ubi Petro spersi
ante musica gal ter negavitti. 8
Coche dabosior stinch[e] tralech
fest istu mitaur guzinon
irabi[si]ster zucche sanza sprech. 11
Allabismile talabal meon
leïselem scasach salem malech
algul ganzir marai gracalbeon; 14
e disse «Non[ne] non»,
– al general che stava con riguardi –
Non sunt non sunt[i] pisces pro Lumbardi». 17
Tre fette di popone e duo di seta
e mestole forate bergamasche
e costole di cavoli e di lasche
si fuggiron nel porto di Gaeta; 4
e mona Ciola, come mal discreta,
s’empiè di berricuocoli le tasche
sotto un tetto di tegoli di frasche
dove fu la question fra ’l Biria e ’l Geta. 8
E Siena è vecchia e porta ancor coralli,
e ’l duca delle rape ha la pipita,
e Vulcano ha le man piene di calli. 11
E così truovo [che], ab Urbe condìta,
che Camillo sconfisse i fieri Galli
di meza notte, e tolse lor la vita; 14
perdio, siemi chiarita
da te questa quistion, e poi risposto:
s’e’ gli fè lessi, o veramente arrosto. 17
Ghiere di cacio e bubbole salvatiche,
stadere, specchi, canovacci e stocchi,
dossi di granchi e pance di ranocchi
son buon per farinata da volatiche. 4
Eran le gente antiche sì mal pratiche
che Argo che ave[v]a ben cent’occhi
per ‘tulluru luru’, suon de’ balocchi,
perdette le sette arte methamatiche. 8
Pertanto lo sciloppo de’ bizarri,
sì come ne cinguetta Tholomeo,
tolse a’ Romani il triomphar de’ carri; 11
ma della fiera bestia di Perseo
si dolfe Balaam quando disse «Arri!»,
che mal ci nacque Cesare o Pompeo, 14
e, come dice Orpheo,
sol d’allegreza la bertuccia toma
portar veggendo agli asin sì gran soma. 17
Fiacco magogo, barba di cipolla
che aprir si possa il capo di Medusa,
po’ che m’ha’ fatto star tanto alla musa
per uno orlicciuzzin di pan di lolla. 4
El re Prïam perdette l’alta bolla
nel modo che a passare Stige s’usa,
onde il falso Sinon trovò la scusa
per lo greco caval nella midolla. 8
Volse Androgeo l’alma di Calisto,
Cecina e Philomena per Megera
a Marzia feron fare il pianto tristo, 11
e quando Phebo rinovò suo spera
s’aperse il maladetto Papalisto
avacci’ e tardi fra mattina e sera; 14
ma nella primavera,
sì come dice Seneca a Lucillo,
la salsa nihil val senza serpillo. 17
L’alma che Giove scelse fra ’ mortali
per soccorrer Dïana nel diserto
è fatta luce, onde si rende merto
de’ tre pungenti et amorosi strali: 4
non disïate seguitar su’ ali
perché fortuna ha già nel mondo offerto
la speranza e ’l disir che mostra certo
gli stremi fati miseri infernali. 8
Arda la fiamma dell’eccelsa rota
tanto che ’l pigro ballo si disciolga
dalla catena onde si sciolse Giuda: 11
chi renderà la glorïosa dota
ch’aperse el limbo e chi fia che si dolga
veggendo la mia donna pianger nuda? 14
E quando un uovo suda,
to’ di quell’acqua e fregatela agli occhi
e vedrai saltellar mille ranocchi. 17
MEDESIME corone fi veggono intorno la Luna,& intorno à certe Stela
LE
le fille più nobili. 'Intorno al Sole apparse vn'arco essendo Consoli Lucio Opinio, & Q.Fabio; & vn cerchio esiindo Cócoli L.Portio, & M. Atilio. De arculı repentini.
Сар. XXX color effendo Consoli L.Giulio& Publio V Rutilico Pannofi alcuna volta l'ecclilfidel Sole prodigiore, & molto reclisi pro lunghe, fi come fu quella,quando fu morto Cesare Dittatore, & nella guerra sole,
digioso del di M. Antonio, che'l Sole quasi tutto vn'anno fù pallido, & ofcuro.
Più Foli. Сар. . xxxІ.
A mai ne notte il mai ne notte il
PPARISCONO ancora più Soli infieme, ne sopra esso, ne fotro, ma atraletè in Leuante, o in Ponente. Dicefi pure,che vna volta furono veduti da me zogiorno in Bosforo,iquali durorno dalla mattina, fino à sera. Gli antichi vid dero (peffevolte tre Soli,ti coine fu essédo Sp.Pofthumio, Q.Mutio,& Q Mar tig, M.Portio, & M.Antonio, Pub. Dofabella, & M.Lepido, L.Planco Conso li. Et l'età noftra ancora ha veduto il medesimo al tempo di Claudio Imperadore,esendo egli Confolo,& Cornelio Orfito fuo collega.Ma insino à quefto giorno non G troua, che ne fieno mai fati veduti più che tre à vn tratto. Pri Lane.
Cap. XXXII. ONOSI viste ancora tre Lune, fi come fu al tempo, che Gn.Vomitio, &G. Apparuero Fannio furono Consoli iqualifurono chiamatida molti soli notturni.
più moderLuce dide nella notte, , Сар. XXXII. V.VEDÝTO lume di cielo efsendo di notte tempo, quando era Consoli G. neal tempo F Cecilio,& Gn. Papirio, & di molte altre volce ; dimaniera ch'egli era det meget
dell'impera chiaro di notte, come fe fuffe ftato di giorno.
Setcimo,
& Scudi ardenti, Cap. XXXI 111.
di Papa Cle Eyno fcudo
ardente sfauillando da Ponente à Lelante. SSENDO L. Valerio, & G.Mario Confoti,nel tramontar del Sole, scorse mente Quia
Prodigio del Cielo. Cap: XXXV.
ADDE già vna fauilla da vna ftella, & crebbe nell'appreffarsi alla terra;
ADDE già vna fauilla da vna ftella, & crebbe nell'appreffarsi alla terra;
della Luna
to e di giorno, quando è nugolo; dipoi quando ritornò in cielo, diuentò vna
lampada: & ciò fu effendo Consoli Gn. Otrauio, & G. Scribonio. Questo
fu veduto da Licinio Sillano Proconsolo con la sua compagnia.
Del discorrimento delle Stelle. Сар. XXXVI EGGONSI fare i discorrimnenti delle stelle,ne mai senza cagione; perche

aamente in ciclo tre mare & in terra.
G. Plinio,


si.
Delle Stelle di Castore. Cap. XXXVII.
O Ho già veduto, quando i soldati fanno le guardie in campo di notte,in sà
le punte delle lancie come splédore di baleno, e in quella guisa ancora sù lc an:enne de' nauiganti, e in altre parti de' nauili;& quiuistarlifacérdo vn cer to suon di voce, si come fanno gli vccegli, quádo fi mutano da luogo à luogo. Se vígono lole, sono pericolose,& fanno affogar i nauili;e se cascano nelfon do della carena,ardono la naue sono due sono salutifere, & promettono
bilon viaggio; e per la loro venuta dicefi,che si mette in fuga quella crudele,et Helena cru- minaccio a ftella,che si chiama Helena, Et perciò attribuiscono questa deità dele a i naui à Pollace, & Castore, & gl'inuocano in mare come Dei.I capi de gli uomini ganti& Ca mare, ancora,nell'hora della sera, risplédono có gran prodigio.E di tutte quelle cose More,& Pol fuce' beni- nõ si può réder cagione alcuna, perch'elle lon polte nella macltà della natura. pui.
Dell'arit.
Cap. XXXVIII.
IO
Nsino à qui habbiamo ragionato del inondo,& delle stelle. Restano hora
da dire l'altre cose notabili del cielo. Percioche i nostri antichi chiamarono questo ci lo,che per altro nome li donanda aria; tutto quello che simile al vano,manda fuori questo spirito vitale. Et quefta fiede e dalla Luna in giù,& molto più balla (li come io considero effer quafi manifesto mescolādo l'infini
dire l'altre cose notabili del cielo. Percioche i nostri antichi chiamarono questo ci lo,che per altro nome li donanda aria; tutto quello che simile al vano,manda fuori questo spirito vitale. Et quefta fiede e dalla Luna in giù,& molto più balla (li come io considero effer quafi manifesto mescolādo l'infini
to della natura luperio e dell'aria, & l'infinito dell'halito terreno, fi cofonde Nagole,tuo con luna, & l'allra forte. Di qui végonol nugole, i tuoni,& gli altri folg n!; & folyo Di qui legragnuole, le brine,l. pioggie,le procelle,& tépefte. Diqui procedo
no lein in te sciagure delle persone,e'l contrasto delle cose della natura. La forza delle stelle reprime le cose terrene,che tendono al Cielo; & l'ifteffeti cano à se quelle cose che no salgano da loro Cascan le pioggie;le pebbie ral gono;
fiuni si seccano, ruinano le gragnuolezi raggi abbrózano,& d'ogni par
telpingono la terra in mezo. Quciinedefini perriuerberatione tornano in si; Vapore, & e por ano seco quellecole,che possono.ll vapore cadead alto,& di nuouo tor
na in su. I veti soprastánno alla terra vanige i medefimi ritornano că ruina. Et ta'i animali che sono sopra la terra,tirano lo spirito da alto.Ma eso repugna, & la terra come à vano in cielo infonde lo spirito. Eccoli andando quà, & là la natura,come da qualche stroinétoda láciare, con la prestezza del módo la diicordia s'accéde. Ne può star falda al cótralto,ma continuamére rapita s'aggira,& covnquali infini.oglobo di cose téde intorno la terra,dipoi per le netgole ci cu pre l'altro cielo Quetto
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