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Sneakers 3 :Venezia

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Trail stats

Distance
5.69 mi
Elevation gain
3 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
3 ft
Max elevation
313 ft
TrailRank 
65
Min elevation
-14 ft
Trail type
Loop
Moving time
one hour 48 minutes
Time
6 hours 24 minutes
Coordinates
1367
Uploaded
December 24, 2021
Recorded
December 2021
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near Santa Croce, Veneto (Italia)

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Itinerary description

Venezia è un comune italiano di 254 932 abitanti,[ il cui centro storico (limitato ai sestieri della città lagunare) al 1º novembre 2017 ne contava 53 609, capoluogo dell'omonima città metropolitana e della regione Veneto. Secondo comune della regione per popolazione dopo Verona e primo in Veneto per superficie,[9] comprende sia territori insulari sia di terraferma ed è articolato attorno ai due principali centri di Venezia (al centro dell'omonima laguna) e di Mestre (nella terraferma).

La città è stata per 1100 anni la capitale della Serenissima Repubblica di Venezia ed è conosciuta a questo riguardo come la Serenissima, la Dominante e la Regina dell'Adriatico: per le peculiarità urbanistiche e per il suo patrimonio artistico, è universalmente considerata una tra le più belle città del mondo, dichiarata, assieme alla sua laguna, patrimonio dell'umanità dall'UNESCO,[10] che ha contribuito a farne la seconda città italiana dopo Roma con il più alto flusso turistico.

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Chiesa Santa Maria di Nazharet

La chiesa di Santa Maria di Nazareth, o chiesa degli Scalzi, è un edificio religioso della città di Venezia dei primi del XVIII secolo. Opera di Baldassarre Longhena ma con la facciata di Giuseppe Sardi, è situata nel sestiere di Cannaregio in prossimità della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia. La chiesa di Santa Maria di Nazareth deve la sua origine all'insediamento dei Carmelitani scalzi nella città lagunare. Fu edificata da Baldassarre Longhena in un'unica navata, con due cappelle laterali, ognuna a sua volta affiancata da due cappelle minori. Dopo l'arco trionfale, l'aula si immette nel presbiterio, rialzato e dotato di una cupola. Nell'abside, si nota il coro dei frati. Venne consacrata nel 1705, ma subì un importante restauro fra il 1853 e il 1862 da parte del governo austriaco. Al suo interno l'11 febbraio 1723 venne tumulato Ferdinando II Gonzaga, quinto e ultimo principe di Castiglione[1]. Oggi è monumento nazionale. Al suo interno marmi colorati e sfarzosi corinzi danno una sensazione di opulenza e di meraviglia al visitatore. La facciata, finanziata dal nobile Gerolamo Cavazza, venne eretta da Giuseppe Sardi, fra il 1672 e il 1680. Lo stile è un tardo barocco veneziano, diviso in due ordini e scandito da colonne binate. Le quattro statue del primo ordine, la Madonna col Bambino collocata sul fastigio, e Santa Caterina da Siena nella nicchia a sinistra della Madonna sono di Bernardo Falconi. La nicchia a destra era occupata da una statua di San Tommaso d'Aquino dello stesso Falconi. L'opera Trasporto della casa di Loreto, un affresco di Giambattista Tiepolo del 1743, andò distrutta durante un bombardamento austriaco il 24 ottobre 1915[2]. Fu nel tentativo di riparare a questo danno, che, nel periodo 1929-1933, Ettore Tito dipinse per la chiesa due opere: una tela di 100 metri quadrati, ed un affresco di 400 metri quadrati. I resti del Trasporto della casa di Loreto e altri frammenti superstiti del soffitto sono oggi conservati alle Gallerie dell'Accademia, dove è conservato anche uno dei due bozzetti (olio su tela) dipinti da Tiepolo come modelli preparatori per il grande affresco perduto[3]. Esiste anche una fotografia del soffitto di James Anderson e una copia di Mariano Fortuny al museo Correr. L'organo è stato costruito agli inizi del '900 dai Fratelli Pugina di Padova; sopra Santa Teresa incoronata dal Salvatore da Gregorio Lazzarini. L'altare maggiore è opera di Jacopo Antonio Pozzo (ovvero fra Giuseppe Pozzo) come anche il parato ligneo della sacrestia.[4] Il presbiterio è sovrastato da un baldacchino sorretto da colonne tortili. Il fastoso tabernacolo della mensa, vede la statua della Madonna con putto e profeti, proveniente dall'isola di Santa Maria di Nazareth, poi Lazzaretto. Le statue di dodici Sibille, opera di Giuseppe Torretto, Giovanni Marchiori, Pietro Baratta, Giuseppe e Paolo Groppelli, stanno distribuite, cinque per parte, sulle pareti laterali e due giacenti sull'arco del baldacchino[5]. Assegnato alla famiglia Giovanelli, è caratterizzata da un ricco altare del Seicento da Ludovico David. La pala d'altare mostra una statua di San Giovanni della Croce (uno dei fondatori dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi) di Bernardo Falcone. Sulla guida di sedia: tre virtù cardinali statue di Tommaso Ruer. Assegnato alla famiglia Ruzzini. L'altare è stato costruito e progettato da Giuseppe Pozzo. La pala d'altare: Estasi di Santa Teresa (1697) di Heinrich Meyring. Sulla volta un affresco di Santa Teresa La Gloria (1720-1725) di Giambattista Tiepolo. Pareti laterali: due dipinti di Niccolò Bambini; La tabella a sinistra San Giuseppe sembra S. Teresa e salva un incontro pericoloso e destra: il miracolo dell'Ostia, l'Ostia consacrata miracolosamente staccato dalle mani del sacerdote e attendere Santa Teresa (fine del XVII secolo). Cappella Lumaca, o il Crocifisso È stata assegnata alla famiglia Lumaca. Sull'altare un grande crocifisso in marmo del XVIII secolo, attribuito a Giovanni Maria Morlaiter. Cristo che cade sotto la croce è anche attribuito a Giovanni Maria Morlaiter. una cera scultura colorata raffigurante Cristo fra i ladri, opera anonima dei fratelli. Nella volta un affresco Cristo nel Getsemani (1732), creazione di Giambattista Tiepolo. Assegnato alla famiglia Mora. Costruito da Baldassare Longhena. La pala con quattro colonne di diaspro nero mostra una statua di San Giovanni Battista in marmo di Carrara (fine del XVII secolo) da Melchior Barthel. Un affresco sul soffitto rappresenta il Padre Eterno in gloria (XVII secolo) a Pietro Liberi. Giambattista Mora è sepolto ai piedi dell'altare. Qui è sepolto l'ultimo doge di Venezia, Ludovico Manin, che morì il 23 ottobre 1802. La cappella fu costruita dal fratello Giuseppe Pozzo. La pala mostra una scultura di Madonna col Bambino e San Giuseppe tra le nuvole di Giuseppe Torretto, che è l'autore di due angeli. Sulle pareti laterali delle statue cappella, Michele e Gabriele, lo stesso Giuseppe Torretto. I due lampadari in vetro blu sono vetrerie di Murano. Costruita da Sebastiano Venier (da non confondere con il Doge Sebastiano Venier), abate e protonotario apostolico, che vi è sepolto († 1664) insieme al fratello Angelo. La pala d'altare mostra una statua di San Sebastiano (1669) di Bernardo Falconi. L'altare è arricchito da bassorilievi in bronzo con scene della vita di San Sebastiano dello stesso Bernardo Falconi. Statue della Fede, Speranza e Carità nella Cappella di San Giovanni della Croce di Tommaso Rues. Nella chiesa furono tumulati due dogi: nella cappella di Santa Teresa, Carlo Ruzzini, morto nel 1735; nella cappella della Sacra Famiglia, Lodovico Manin, l'ultimo doge della Repubblica di Venezia, morto nel 1802. fonte : wikipedia

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Ponte degli Scalzi

Il ponte degli Scalzi è, assieme al Ponte di Rialto, al Ponte dell'Accademia e al Ponte della Costituzione, uno dei quattro ponti che attraversano il Canal Grande a Venezia. Il ponte prende il nome dalla vicina chiesa di Santa Maria di Nazareth, meglio nota come chiesa degli Scalzi. L'opera è chiamata ponte della stazione o della ferrovia a causa della vicinanza della stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia. Un primo ponte fu realizzato nel 1858 dall'ingegnere inglese Alfred Neville sotto la dominazione asburgica, per migliorare l'accesso alla stazione ferroviaria recentemente costruita. Si trattava di un ponte in ghisa a struttura rettilinea, molto simile a quello eretto pochi anni prima dallo stesso Neville all'Accademia. L'altezza limitata (4 metri) impediva il passaggio di imbarcazioni alberate e lo stile dichiaratamente "industriale" mal si conciliava esteticamente con le strutture circostanti. La ghisa inoltre cominciò dopo pochi anni a dare segni di cedimento strutturale in alcuni punti, per cui il Comune di Venezia fu costretto nei primi anni trenta del novecento a prendere una rapida decisione riguardo alla sua sostituzione. La realizzazione del ponte di pietra davanti alla stazione ferroviaria di Venezia è strettamente legata a quelle della stazione stessa e di piazzale Roma. L'ipotesi di un nuovo ponte che, scavalcando il Canal Grande nel luogo dove sorge oggi il ponte della Costituzione, mettesse in comunicazione il terminal ferroviario con quello automobilistico tramontò però velocemente davanti all'intricata situazione del progetto per la stazione, per la quale si prospettarono tempi molto lunghi e quindi un altrettanto prolungato periodo di inutilizzazione del ponte stesso. Senza modificare la situazione esistente, Eugenio Miozzi propose allora un progetto da realizzare al posto del ponte in ferro ottocentesco che sorgeva davanti alla chiesa degli Scalzi.[1] Il ponte in metallo venne pertanto sostituito da un nuovo ponte a singola arcata interamente in pietra d'Istria, su progetto dell'ingegnere Eugenio Miozzi (1889-1979). I lavori di costruzione iniziarono il 4 maggio 1932 e il ponte fu inaugurato appena due anni dopo, il 28 ottobre 1934. Edificato in conci di pietra d'Istria senza impiego di armature, cemento armato o parti in ferro, il ponte venne messo in opera con l'utilizzo di una speciale centina metallica e applicando il metodo delle cosiddette "lesioni sistematiche". Il parapetto, internamente cavo e apribile, contiene le tubazioni.[1] L'attenzione di Miozzi per l'inserimento del nuovo ponte nel contesto urbano di Venezia è testimoniata dall'incisione commissionata dallo stesso architetto nel 1952, nella quale il ponte è inserito in una veduta di chiaro stile settecentesco.[1]

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Chiesa di San Giacomo dell'Orio

La chiesa di San Giacomo dall'Orio è un edificio religioso della città di Venezia, situato nel sestiere di Santa Croce. Fondata probabilmente nel IX-X secolo[1], è comunque tra le chiese più antiche di Venezia. Una vecchia tradizione ne anticipava di molto la fondazione facendola risalire al 555. Si basava su un'antica iscrizione «VVV» presente un tempo in facciata; Marin Sanudo precisò che la data era da intendersi come dalla fondazione di Venezia, secondo il vecchio more veneto, e la corresse al 975. Lo stesso ci informava anche che la chiesa di San Giacomo fu fabbricata dalle famiglie Campoli di Oderzo e Da Mula dalle Contrade[2]. Tuttavia le prime notizie archivistiche sulla chiesa sono più tarde: per la chiesa risalgono al 1089 e per la parrocchia al 1130 Durante i restauri del 1903 si scoprirono i resti di un edificio circolare al di fuori della chiesa (probabilmente un battistero analogo a quello di Torcello) e la data 555. Si trovarono inoltre frammenti di pavimento, a 60 centimetri al di sotto dell'attuale superficie calpestabile, assai simili a quelli delle basiliche di San Marco e di Santa Maria Assunta di Torcello.[senza fonte] Piuttosto incerta l'etimologia: secondo alcuni derivante da una famiglia Orio, secondo altri più probabilmente da luprio, palude (e infatti l'isola era circondata da una zona paludosa poi bonificata), secondo altri ancora da un riferimento all'antistante rio, verso cui è rivolta la facciata (dal rio)[4]. Il Lorenzetti riporta che l'origine del nome fosse legato al fatto che l'isola in cui venne edificata la chiesa era infestata dai lupi, da cui de lupio o de lupao poi storpiata in dall'Orio, oppure sarebbe un riferimento a un albero di alloro (lauro), probabilmente situato vicino alla chiesa stessa[5]. Investita dal fuoco del 1149,[6] venne riedificata nel 1225 a cura delle nobili famiglie Badoer e Da Mula conservando le forme basilicali[6], con ulteriori lavori durante i periodo gotico e poi rimaneggiata internamente nel XVI secolo[7]. Dapprima soggetta al vescovo di Castello dal 1200 fu invece soggetta direttamente al patriarca di Grado e alla sua sede veneziana di San Silvestro come chiesa matrice. Nel 1451,, con l'istituzione del patriarcato di Venezia e la soppressione di quello gradense tornò sotto l'autorità locale castellana[8]. Conservata come parrocchia dai provvedimenti napoleonici del 1807 e 1810, assorbì i territori di San Boldo, e Sant'Agostin (con le loro chiese poi condannate all demolizione) oltre a quelli di San Zan Degolà, e San Stae. Per effetto gli stessi provvedimenti cedette parte del suo originario assetto alle parrocchie di San Cassiano e San Simeon Grando[9], Questa chiesa era uno dei punti di partenza dei pellegrinaggi per Santiago di Compostela, come testimonia l'immagine di un uomo che porta una conchiglia, posta sul campanile[10]. La chiesa fa parte dell'associazione Chorus Venezia. L'interno è caratterizzato dalla sovrapposizione di vari stili architettonici, legati agli interventi susseguitesi nel corso del tempo: della costruzione duecentesca rimane la torre campanaria e la pianta basilicale a tre navate, mentre la copertura "a carena di nave" è di impronta gotica e le decorazioni dell'altare maggiore e della navata centrale sono lombardesche. In particolare, il soffitto utilizza le tecniche di costruzione navali tipiche dell'Arsenale di Venezia. Alla parete dell'ingresso si trova l'organo con tre dipinti cinquecenteschi sul parapetto della cantoria attribuibili ad Andrea Schiavone, la Disputa di Gesù, la Chiamata degli Apostoli e il Martirio di san Giacomo, più altri due dipinti dello stesso autore ai lati della porta raffiguranti i Profeti. Dopo la Sacrestia Nuova, si trova la Cappella del Sacramento, risalente alla seconda metà del XVI secolo e successivamente ristrutturata nel 1753, nella quale si trovano dipinti di Alessandro Varotari (Gli Evangelisti), Tizianello (La flagellazione), Giulio Del Moro (Ecce Homo) e Jacopo Palma il Giovane (La salita al Calvario e La deposizione nel Sepolcro). Gli affreschi della cupola, ornata con decorazioni a stucco, risalgono alla ristrutturazione settecentesca e sono attribuiti a Jacopo Guarana. La pala dell'altare maggiore raffigurante La Vergine col Putto fra i santi Andrea, Giacomo, Cosma e Damiano, più nota come Pala di San Giacomo da l'Orio, è opera di Lorenzo Lotto, eseguita nel 1546. Nella cappella dell'abside si trovano altri dipinti di scuola veneziana e il dipinto su tela L'Addolorata di Lorenzo Gramiccia. Dopo la Sacrestia Vecchia, si trova la Cappella di San Lorenzo, decorata da una Vergine in gloria e Santi, del XVIII secolo, San Lorenzo benefica i poveri - Martirio del Santo, opera giovanile di Jacopo Palma il Giovane e sopra l'altare la pala Madonna e Santi attribuita a Giovanni Battista Pittoni. La tomba di Pittoni è conservata nella chiesa.[11] A lato della cappella si trova il battistero e subito a fianco, sulle pareti, un altro lavoro di Palma il Giovane (Cristo confortato dall'angelo) e la Presentazione della Vergine al tempio di Francesco Zugno. Altre opere importanti sono conservate nelle sacrestie, in particolare nella Sacrestia Nuova a lato del presbiterio sono conservate opere di Paolo Veronese: Allegoria della Fede, al centro del soffitto, i Quattro Dottori della Chiesa ai lati e la pala San Lorenzo, San Giuliano e San Prospero, datata 1573 e originariamente usata come pala per l'altare della cappella di San Lorenzo. Sovrasta la porta della sacrestia il quadro San Sebastiano fra san Rocco e san Lorenzo di Giovanni Buonconsiglio, opera eseguita tra il 1498 e il 1500 che in precedenza ornava l'altare della chiesa di San Sebastiano. Sono presenti infine due tele di Francesco da Ponte, La predicazione del Battista e La Vergine in gloria con san Giovanni e san Nicolò, una Cena di Emmaus del primo Cinquecento e una piccola Crocifissione di Palma il Giovane e un intaglio in legno dorato su fondo blu anch'esso risalente al primo Cinquecento. Completa la decorazione della sacrestia, sopra all'ingresso esterno, un altro quadro della scuola del Veronese raffigurante L'ultima cena. Anche nella Sacrestia Vecchia sono presenti diverse tele di Jacopo Palma il Giovane, databili al 1575: La Vergine e i Santi, Il castigo del Serpente, La raccolta della manna, Elia e un angelo, Sacrificio ebraico pasquale, Il passaggio del Mar Rosso e al soffitto Il Santissimo Sacramento adorato dai quattro Evangelisti. Fonte : wikipedia

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Sito religioso

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Campo San Zandegola

Campo San Zan Degolà è un piccolo campo nel Sestiere di Santa Croce, non molto distante dalla Ferrovia, ma dall'altra parte del Canal Grande. Sul campo, bagnato appunto dal Rio di San Zan Degolà si affaccia l'antica Chiesa di San Zan Degolà, San Giovanni Decollato del XII, XIII secolo. La prima sensazione che suscita questo campo è quella di luogo appartato, solitario, quasi segreto. Per questa sua atmosfera è uno dei campi meno noti del Sestiere di Santa Croce. Il campo risulta isolato verso il Canal Grande in mezzo tra i territori delle parrocchie di San Simeon Grande, San Giacomo dall'Orio e San Stae. I confini erano ben definiti da due rii: Rio Terà San Biasio, che risulta ridotto in piscina nel 1349, e dal Rio San Johannis Decollati, rio che nel suo proseguo bagna il Campo San Giacomo dell'Orio. Il campo era anche toccato da un'ampia piscina che esisteva fin dal 1351, ora diventata la Salizada del Fontego dei Turchi. Circondato da questi rii, erano modestissime le comunicazioni con le parrocchie confinanti, per questo motivo questo nucleo abitativo erra sostanzialmente dipendente dal centro importante di San Giacomo dell'Orio. Se chiedete ad un veneziano dove si trovi il Campo di San Giovanni Decollato è probabile che non ve lo sappia dire perchè, in realtà, a Venezia è a tutti noto nella terminologia dialettale come Campo e Chiesa de San Zan Degolà. Il campo ha mantenuto, nel tempo, le stesse caratteristiche del passato. L'unico grande cambiamento è stato il campanile, ben visibile nella pianta di Jacopo de Barbari del 1500, che era situato al centro del campo, in cotto, a base quadrata e cuspidato. L'odierno campanile risale al 1700 e sostituisce l'antico manufatto del XIII secolo, che, come dicevano, si ergeva al centro del campo. Ora è ancorato alla zona absidale, ma è un semplice, basso e tozzo campanile che si innalza solo per pochi metri sopra i tetti delle case adiacenti. Al centro del campo si trova l'immancabile vera da pozzo in pietra d'Istria, decorata con foglie acquatiche e fregio a punta di diamante, come gran parte delle vere da pozzo a Venezia. Porta l'iscrizione di un anno, il 1725, in caratteri antichi, ma per fortuna non ancora dimenticati

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Ponte Rialto

Il ponte di Rialto è uno dei quattro ponti, insieme al ponte dell'Accademia, al ponte degli Scalzi e al ponte della Costituzione, che attraversano il Canal Grande, nella città di Venezia. Dei quattro, il ponte di Rialto è quello più antico. A detta delle cronache, il primo passaggio sul Canal Grande era costituito da un ponte di barche. Un ponte vero e proprio, poggiante su pali in legno, fu costruito da Nicolò Barattiero sotto il dogado di Sebastiano Ziani o di Orio Mastropiero (seconda metà del XII secolo)[1] ed assunse il nome di "ponte della Moneta", dato che, presso l'estremità orientale dell'opera, sorgeva l'antica zecca. Secondo il Chronicon di Andrea Dandolo, l'evento avvenne nel 1264 sotto il dogato di Renier Zen (1252-1268): «La città rivoaltina, fino a quel tempo divisa nel mezzo dal canale, fu allora unita dalla costruzione di un ponte di legno, ponte che fu detto "quello della moneta" perché, prima che fosse costruito, coloro che attraversavano pagavano ai traghettatori una moneta chiamata "quartarolo" del valore della quarta parte di un denaro veneto.» ((Anno 1264): Andrea Dandolo, Chronicon, L. X, c. VII, p. XXXI. In L.A. Muratori, Rerum italicarum scriptores etc. T. XII. Milano, 1728.) La crescente importanza del mercato di Rialto, sulla sponda orientale del canale, fece aumentare il traffico sul ponte galleggiante. Attorno al 1250, esso fu sostituito da un ponte di legno strutturale. La struttura era costituita da due rampe inclinate, che si congiungevano presso una sezione centrale mobile, la quale poteva essere sollevata per consentire il passaggio delle navi più alte. Data la stretta associazione con il mercato, il ponte cambiò nome e diventò Ponte di Rialto. Nella prima metà del XV secolo, lungo i lati del ponte vennero costruite due file di negozi; i proventi derivanti dagli affitti, riscossi dalla Tesoreria di Stato, contribuivano alla manutenzione del ponte. Nel 1310 il ponte fu danneggiato nel corso della ritirata dei rivoltosi guidati da Bajamonte Tiepolo. Nel 1444, invece, crollò sotto il peso della grande folla radunata per assistere al passaggio del corteo della sposa del Marchese di Ferrara. Nel 1503 venne proposta per la prima volta la costruzione di un ponte in pietra. Nei decenni successivi vennero valutati diversi progetti. Il primo progetto venne eseguito nel 1514 da fra' Giovanni Giocondo per il rifacimento del mercato di Rialto. Un altro crollo avvenne nel 1524. Nel 1551 le autorità veneziane indissero un bando per il rifacimento del ponte; venne nominata una commissione di tre provveditori sopra il ponte e le fabbriche di Rialto, costituita da Antonio Cappello, Tommaso Contarini e Vettor Grimani. A partire dal 1554 vennero presentati altri progetti dagli architetti più famosi del tempo, ma solo alla fine del XVI secolo il doge Pasquale Cicogna bandì un concorso. Arrivarono proposte da architetti come Jacopo Sansovino, Andrea Palladio e Giacomo Barozzi da Vignola, ma tutti proposero un approccio classico con molti archi. Di Palladio esistono due proposte:[2] entrambe prevedono la razionalizzazione dell'intera area di Rialto, con due fori commerciali alle teste del ponte. Il concorso venne riproposto nel 1587 e vi parteciparono Vincenzo Scamozzi e Antonio da Ponte: ebbe la meglio il Da Ponte; il suo progetto venne scelto, il 9 giugno 1588, perché propose una sola arcata[3][4]. L'opera venne compiuta nel 1591, con l'aiuto degli architetti Antonio[5] e Tommaso Contin (da Besso, oggi quartiere di Lugano), che erano suoi nipoti, in quanto figli del genero Bernardino Contin. Fonte : wikipedia

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Ponte

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Chiesa di San Lio

La chiesa di San Lio è un edificio di culto della città di Venezia, situato nel sestiere di Castello. Sorge sull'omonimo campo, nella direttrice Rialto-San Zaccaria. Fu eretta nel IX secolo dalla famiglia patrizia veneziana dei Badoer e venne intitolata a santa Caterina d'Alessandria. Nel 1054 fu intitolata a san Leone IX (san Lio in lingua veneta), in onore del papa che aveva appoggiato la causa di Venezia nella rivendicazione della tutela sul patriarcato di Grado nella contesa contro il patriarcato di Aquileia sorta nel 1043, quando il doge Domenico I Contarini aveva sottratto Grado al patriarca di Aquileia Poppone di Carinzia. Nel XV secolo venne riedificato il presbiterio e ai suoi lati vennero eretti due altari. La chiesa subì alcuni rimaneggiamenti e venne radicalmente trasformata nel 1783. La chiesa aveva in origine forme bizantine, con schema basilicale a tre navate, che furono abolite nella trasformazione settecentesca, a favore di un'unica grande aula interna; in tale occasione fu inoltre abbattuto il campanile. All'interno si conservano alcuni dipinti e sculture: Apostolo Giacomo di Tiziano Vecellio (del 1540 circa); Angeli e virtù, affresco di Giandomenico Tiepolo sul soffitto; Al di sopra della porta della cappella a sinistra della maggiore si trova il monumento funebre del "capitano da mar" Andrea Pisani, morto nel 1718. La chiesa conserva inoltre un organo del Settecento (costruito da Gaetano Callido nel 1784, op. 212) e dipinti di scuola veneziana con Fatti della vita di David e Vergine con putto. Presbiterio Cristo morto sostenuto da angeli e santi di Jacopo Palma il Giovane sull'altare maggiore Il soffitto: Un angelo scende a confortare Elia di Pietro Moro Cappella Gussoni Quattro evangelisti e la Pietà e santi, opera dello scultore Pietro Lombardo, forse aiutato dal figlio Tullio, nella cappella della nobile famiglia Gussoni, capolavoro della prima architettura rinascimentale veneziana. Nella chiesa nella quale era stato battezzato, sotto il pavimento della stessa cappella, fu sepolto il Canaletto.

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Ponte

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Basilica San Marco

La prima chiesa dedicata a san Marco fu costruita nell’820 per accogliere il corpo del Santo che, secondo la tradizione, due mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, avevano trafugato da Alessandria d’Egitto. Terminata la sua costruzione sotto il dogado di Giovanni Partecipazio, nell'832 la Basilica fu consacrata con la proclamazione di san Marco come patrono e protettore della città, al posto del precedente san Teodoro (Todaro per i veneziani), particolarmente onorato in Oriente. Questa prima struttura, distrutta da un incendio nel 976, durante l’insurrezione contro il doge Pietro Candiano IV, venne ricostruita in pochi anni e riconsacrata dal doge Pietro Orseolo il Santo. A partire dal 1063, sotto il dogado di Domenico Contarin fu nuovamente demolita per lasciare il posto alla terza basilica, quella l’attuale, edificata prendendo a modello due edifici di Costantinopoli: la chiesa dei Dodici Apostoli e Santa Sofia. Fu consacrata nel 1094, anno in cui, secondo una leggenda, sarebbe stato miracolosamente ritrovato in un pilastro il corpo del santo, che era stato nascosto durante i lavori e poi dimenticato. Da quella data l’impianto originale in mattoni a vista e cupole basse fu ininterrottamente impreziosito con elementi architettonici, scultorei e ornamentali che rispecchiavano il gusto e lo stile delle varie epoche. Nella sua pianta a croce greca si riconosce la matrice stilistica orientale bizantina, in cui ognuno dei quattro bracci uguali è concluso da una cupola (più una al centro che eccede il tetto per 12 metri). .L’esterno diviso in tre differenti registri: piano inferiore, terrazza e cupole, si presenta più sviluppato in larghezza, probabilmente per distribuire i pesi, appoggiati su un terreno sabbioso, in modo equilibrato. L'edificio è infatti lungo 76.5 metri e largo 62.60, mentre la cupola centrale è alta 43 metri (28,15 all'interno). Le cinque grandi cupole emisferiche, raccordate da pennacchi, sono sostenute da un doppio ordine di arconi a tutto sesto. Da questa, attraverso profondi portali ad arco, si entra nel nartece che gira intorno ai fianchi della chiesa permettendo ai fedeli una sosta per un raccoglimento quasi mistico in un luogo inondato da soffusa luce d’oro. Presenta due ordini, uno al pian terreno, scandito da cinque grandi portali strombati che conducono all'atrio interno. Il secondo ordine forma una terrazza percorribile con quattro arcate cieche, più una centrale, in cui si apre una loggia che ospita la quadriga. Submitted by Evenice.iton 15/03/2018 - 20:51. san_marco Basilica di San Marco La Cattedrale che troneggia in Piazza san Marco è uno dei più ammirati simboli della bellezza artistica ed architettonica dell’Italia. Riassume in sé, con opulenta eleganza, stili differenti impreziositi ed armonizzati da sontuose decorazioni di mosaici, marmi, colonne e sculture… STORIA ARCHITETTURA LA FACCIATA L'INTERNO I MOSAICI DELLA FACCIATA I MOSAICI DELL'INTERNO ORARI di APERTURA PRENOTA LA VISITA ruskin_san_marco.jpg ruskin_san_marco Il poeta inglese John Ruskin così la descrive: “...una folla di pilastri e un gruppo di cupole bianche che formano una piramide bassa che sfuma in un tono colorato, simile ad un cumulo di tesori, d’oro, d’opale e di madreperla, sotto il quale si aprono cinque grandi portali a volta, rivestiti di superbi mosaici e ornati da sculture di un alabastro brillante come l’ambra e delicato come l’avorio… Attorno ai portali s’innalzano pilastri di pietre diverse: di aspro porfido, serpentino verde cupo screziato di bianco, marmi capricciosi… di cui l’ombra, ritirandosi, lascia vedere le ondulazioni celesti, allo stesso modo che la bassa marea lascia allo scoperto le sabbie striate dalle onde”. STORIA La prima chiesa dedicata a san Marco fu costruita nell’820 per accogliere il corpo del Santo che, secondo la tradizione, due mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, avevano trafugato da Alessandria d’Egitto. Terminata la sua costruzione sotto il dogado di Giovanni Partecipazio, nell'832 la Basilica fu consacrata con la proclamazione di san Marco come patrono e protettore della città, al posto del precedente san Teodoro (Todaro per i veneziani), particolarmente onorato in Oriente. Questa prima struttura, distrutta da un incendio nel 976, durante l’insurrezione contro il doge Pietro Candiano IV, venne ricostruita in pochi anni e riconsacrata dal doge Pietro Orseolo il Santo. A partire dal 1063, sotto il dogado di Domenico Contarin fu nuovamente demolita per lasciare il posto alla terza basilica, quella l’attuale, edificata prendendo a modello due edifici di Costantinopoli: la chiesa dei Dodici Apostoli e Santa Sofia. Fu consacrata nel 1094, anno in cui, secondo una leggenda, sarebbe stato miracolosamente ritrovato in un pilastro il corpo del santo, che era stato nascosto durante i lavori e poi dimenticato. Da quella data l’impianto originale in mattoni a vista e cupole basse fu ininterrottamente impreziosito con elementi architettonici, scultorei e ornamentali che rispecchiavano il gusto e lo stile delle varie epoche. ARCHITETTURA Nella sua pianta a croce greca si riconosce la matrice stilistica orientale bizantina, in cui ognuno dei quattro bracci uguali è concluso da una cupola (più una al centro che eccede il tetto per 12 metri). L’esterno diviso in tre differenti registri: piano inferiore, terrazza e cupole, si presenta più sviluppato in larghezza, probabilmente per distribuire i pesi, appoggiati su un terreno sabbioso, in modo equilibrato. L'edificio è infatti lungo 76.5 metri e largo 62.60, mentre la cupola centrale è alta 43 metri (28,15 all'interno). cupola_san_marco.jpg cupola_san_marco Le cinque grandi cupole emisferiche, raccordate da pennacchi, sono sostenute da un doppio ordine di arconi a tutto sesto. La facciata Una vera e propria ‘foresta di colonne’ composta da più di quattrocento elementi, ricopre la stupenda facciata. basilica-di-san-marco.jpg basilica_san_marco Da questa, attraverso profondi portali ad arco, si entra nel nartece che gira intorno ai fianchi della chiesa permettendo ai fedeli una sosta per un raccoglimento quasi mistico in un luogo inondato da soffusa luce d’oro. nartece_san_marco.jpg nartece_san_marco Presenta due ordini, uno al pian terreno, scandito da cinque grandi portali strombati che conducono all'atrio interno. Il secondo ordine forma una terrazza percorribile con quattro arcate cieche, più una centrale, in cui si apre una loggia che ospita la quadriga. L’Interno La navata maggiore si prolunga nel presbiterio sopraelevato sulla cripta e separato dall’aula, e quindi dai fedeli, da un’iconostasi decorata con le statue dei dodici Apostoli, capolavoro della scultura gotica di Jacobello e Pier Paolo delle Masegne. Al piano superiore si osservano i matronei: ballatoi da cui le donne assistevano al rito. Sull’altare maggiore si trova l’inestimabile Pala d’Oro, decorata da più di ottanta smalti e centinaia di pietre preziose, un tempo esibita solo in occasione delle maggiori festività religiose. Il blocco massiccio è trecentesco, alcuni smalti risalgono però al X-XI secolo. L’opera fa parte del ‘Tesoro di san Marco’, esposto in un ambiente ricavato in una torre medievale dell’antico castello ducale. Custodisce una rara collezione di icone, calici, ornamenti e reliquiari. Tra gli arredi della Basilica il ciborio è il più visibile e inosservato. Sostenuto da quattro colonne completamente rivestite di sculture, è adorno di meravigliose lastre di marmo verde di Tessaglia. Al piano superiore, corrispondente alla logge, si affacciano sulla Piazza le copie dei quattro cavalli di bronzo, diventati uno degli emblemi di Venezia (gli originali sono custoditi all’interno). L’origine di questa stupenda quadriga è incerta, greca e databile tra il IV o il III secolo a.C. secondo alcuni, oppure di fattura romana di epoca di costantiniana (III-IV secolo d. C.) secondo altri. I cavalli furono probabilmente trasportati a Costantinopoli in seguito alla vittoria di Costantino in Occidente e ornavano l’ippodromo della nuova capitale dell’Impero. Da qui, durante la IV crociata (1204) furono prelevati dai veneziani ed andarono ad abbellire la facciata della Basilica ancora priva delle numerose sculture che la ornano ora, come si può osservare nell’immagine rappresentata nel mosaico dell’arcone di sant’Alipio, nella parte settentrionale. Nel 1797, per volontà di Napoleone, furono portati a Parigi e istallati sull'Arc du Carrousel. Fu grazie all'eccezionale ruolo di intermediazione di Antonio Canova, incaricato di recarsi in Francia per recuperare tutte le opere d'arte razziate, che furono restituiti alla Basilica e alla città nel 1815. Lo scultore infatti, sebbene adorato da Napoleone, era sempre stato critico nei confronti delle vergognose spoliazioni artistiche da lui perpetrate. Suo pertanto il merito di aver riportato in Patria la gran parte di un inestimabile patrimonio, altrimenti disperso. Mosaici della facciata Rivestono le lunette diventando parte integrante della sua architettura e restituendo un effetto di leggerezza ed eleganza all’impianto massiccio della fabbrica. Tra i mosaici originali che ornavano l’esterno della chiesa di san Marco solo quello sovrastante il portale settentrionale di sant’Alipio è del XIII secolo e raffigura la chiesa stessa come era prima delle sovrapposizioni gotiche. I rivestimenti musivi delle altre lunette sono di fattura successiva, sostituiti ai perduti originali tra il XVII e il XIX secolo, compreso quello del Giudizio Universale del lunettone centrale. Al piano inferiore della facciata sono rappresentate le storie del trasporto del corpo del santo: la Traslazione, in quella superiore le Feste della Chiesa. I Mosaici all'interno Sviluppano il tema della Gloria della Chiesa, che secondo un antico schema bizantino serviva ad accompagnare e completare le cerimonie liturgiche. I colori dominanti sono quelli caldi, in particolare l'oro, che paiono smaterializzare le pareti proiettando lo sguardo del visitatore nella luce straniante e totalizzante dei luoghi descritti dalle Sacre Scritture. A fianco delle navate sono rappresentate le storie di san Marco e dei maggiori santi locali, vere e proprie ‘biografie per immagini’. Questo incredibile rivestimento musivo di ben quattromila metri quadrati, fu iniziato alla fine del XII secolo e terminato dopo cento anni. Fu eseguito da maestranze organizzate in botteghe con tecniche apprese da artigiani bizantini. I soggetti dei mosaici sono tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento ed è possibile seguire la narrazione come se si trattasse di un enorme Bibbia spalancata per poter essere compresa dai fedeli. Nel Nartece si trovano rappresentati gli episodi che vanno dalla creazione del mondo e di Adamo ed Eva fino alla vita di Giuseppe passando per le storie dell’Arca di Noè, della Torre di Babele, di Mosè. La visita a questo monumento Patrimonio dell'Umanità non è solo una preziosa occasione di approfondimento culturale, ma una vera e propria esperienza immersiva nella bellezza che nutre lo spirito. Fonti: Le Chiese di Venezia a cura di S. Vianello edizione Electa

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San Marco

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Pala d'oro

La Pala d'oro, conservata nel presbiterio della basilica di San Marco a Venezia, è un grande paliotto in oro, argento, smalti e pietre preziose (212x334 cm)[1]. Il corredo dei suoi smalti è tra i più rilevanti nel suo genere. Alcuni risalgono alla metà del XII secolo (il Pantocratore, gli arcangeli, le feste) e sono pezzi pregiatissimi, tra i vertici dell'arte bizantina del tempo. Grande è l'eleganza del disegno delle figure e la loro realizzazione richiese un notevole virtuosismo tecnico, con l'uso della tecnica cloisonné. La grandiosa opera di oreficeria venne prodotta appositamente per la basilica nel X secolo ed arricchita fino al XIV. La prima pala marciana di cui si ha notizia fu commissionata a Costantinopoli nel 976 dal doge Pietro Orseolo I (976-978). La seconda pala fu commissionata a Costantinopoli dal doge Ordelaffo Falier (1102-1118) nel 1105. Venne ancora modificata nel 1209, dopo la conquista di Costantinopoli da parte della quarta crociata (1204), su incarico di Pietro Ziani: a questa fase appartengono i sette grandi smalti del registro superiore provenienti forse dal monastero del Pantocrator a Costantinopoli. L'ultimo intervento fu ordinato dal doge Andrea Dandolo nel 1342, incaricando l'orafo veneziano Giovanni Paolo Boninsegna[2]: venne rifatta la cornice e riordinati gli smalti in un insieme di gusto gotico. Ci informa su queste tre fasi di realizzazione la notizia che si conserva in epigrafe nella stessa Pala e nella Chronica di Dandolo stesso. La firma dell'orefice venne riscoperta nel restauro del 1847[1]. All'ultimo intervento risale la creazione della struttura gotica in argento dorato, arricchita da perle, smalti, pietre preziose. Vi si notano due registri principali, uno maggiore in basso (il paliotto) e uno più sottile superiore (la predella), a loro volta spartiti in uno o più ordini. Le due parti della pala vennero definitivamente unite fra il 1836-1847 con l'ultimo restauro di Lorenzo e Piero Favro. All'interno dello spazio vennero incastonati gli straordinari smalti bizantini, risalenti a più epoche, dal X al XII secolo. Secondo l'inventario del 1796, la pala ha 1300 perle, 400 granati, 300 zaffiri, 300 smeraldi, 90 ametiste e poi 75 balasci[3], 15 rubini, 4 topazi, 2 cammei, in tutto 1927 gemme[1]. L'insieme della parte inferiore appare come la città di cui parla l'Apocalisse di san Giovanni al capitolo 21: "…le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro simile a terso cristallo, le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose"[4]. Il Doge Falier e l'imperatrice Irene Le due figure poste ai lati della Vergine si identificano, grazie alle iscrizioni che le accompagnano, con il Doge Ordelaffo Falier ("Ordelaffo Faletrus Dei gracia Venecie dux") e un'imperatrice bizantina di nome Irene (in greco: "Irene Augusta"). Nello smalto del doge Falier, la testa evidentemente troppo piccola in proporzione al corpo e tracce che rivelano un intervento di sostituzione della testa stessa hanno indotto gli studiosi a ritenere che in origine la figura rappresentata non fosse il doge, ma un imperatore bizantino, identificato con Alessio I Commeno o con suo figlio Giovanni II. Entrambi ebbero mogli di nome Irene: se lo smalto appartiene, come pare, all'originaria pala commissionata nel 1105, l'identificazione con Irene moglie di Alessio è la più probabile. Secondo una diffusa e autorevole interpretazione, la pala del 1105 doveva comprendere alcuni smalti oggi perduti, disposti in questo modo: al centro la Vergine orante, alla sua destra il doge Ordelaffo nelle vesti di protosebasto (smalto perduto) e Alessio I Comneno (smalto perduto), alla sua sinistra Irene e il figlio Giovanni nell'abbigliamento di coimperatore (questo sarebbe dunque lo smalto poi trasformato nel doge Falier). Studi più recenti hanno proposto una diversa ricostruzione, sulla base di molteplici argomenti[5]. Dal punto di vista tecnico, si è verificato che l'unico intervento effettuato sulla placchetta è la sostituzione della testa. Altre modifiche, in particolare dell'iscrizione con il nome del doge, avrebbero richiesto un intervento difficile, potenzialmente distruttivo per lo smalto. Il nome del doge è, dunque, originale. Altri elementi portano ad escludere che in origine la placchetta raffigurasse un imperatore bizantino: la corona non ha i prependulia (fili di perle ai lati della corona), i calzari non sono rossi, ma neri, l'abbigliamento non corrisponde a quello, ben noto, che indossano gli imperatori di età comnena (loros o clamide). L'abito si adatta invece a un dignitario della corte bizantina, quale era il doge in virtù del titolo di protospatharios, di cui Falier era stato insignito, secondo quanto attestano documenti veneziani coevi. L'intervento sulla placchetta del doge riguardò quindi solamente la testa, che fu sostituita probabilmente per introdurre il nimbo o aureola, che doveva mancare nella figura originale: la presenza dello scettro impose però di ridurre le dimensioni della testa (che risulta quindi troppo piccola) per fare spazio al nimbo. Con l’aggiunta di un nimbo la figura del doge acquisiva uno status imperiale (il nimbo è riservato ai santi e agli imperatori), che non poteva essere rivendicato nel 1105, quando la pala fu commissionata a Costantinopoli. In quest'epoca, la posizione più elevata dell'imperatore non poteva essere messa in discussione: anche nella corona del re Géza di Ungheria (Costantinopoli, XI sec.), l'imperatore bizantino Michele VII Duca e suo figlio sono raffigurati con il nimbo, mentre il re Géza ne è privo. La modifica del testa del doge Falier si spiega bene, invece, nel 1209, dopo la conquista di Costantinopoli, quando l’imperatore diviene “dominator quartae partis et dimidiae totius imperii Romaniae”, inizia a portare scarpe rosse e Venezia vanta pretese “imperiali”, illustrate anche nel nuovo allestimento della Piazza (con i cavalli, i tetrarchi ecc.). Il Procuratore di San Marco incaricato del restauro nel 1209 è Angelo Falier, che poteva ben essere interessato a interpretare il nuovo spirito dei tempi attribuendo al suo antenato doge un più alto prestigio. L'intervento si limitò al nimbo (e non, per es., all'abito, alla corona o alle scarpe) forse a causa delle difficoltà tecniche. fonte : wikipedia

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Cavalli di San Marco

l gruppo scultoreo dei Cavalli di San Marco si compone di quattro statue di cavalli in lega bronzea, in origine appartenute a una quadriga in trionfo collocata all'ippodromo di Costantinopoli, oggi visibili nella Basilica di San Marco di Venezia, nella quale furono traslati dall'inizio del XIII secolo in seguito al saccheggio della città ad opera dei crociati. La realizzazione di questa scultura unica pervenuta dall'epoca antica potrebbe risalire all'epoca romana (alcuni la datano dalla metà del II secolo al III secolo d.C.) o, più probabilmente, a quella ellenistica (comunque non prima del II secolo a.C., in base alla datazione al radiocarbonio), sebbene alcuni autori moderni propendono per una collocazione temporale ben più alta, al IV secolo a.C., con attribuzione allo scultore greco Lisippo. È possibile che, a prescindere dalla loro origine, i cavalli abbiano ornato il Mausoleo di Adriano fino all’epoca delle guerre gotiche, da quando per l’appunto si ha la certezza della loro presenza a Costantinopoli. L'analisi chimico-fisica dell'opera suggerisce che la lega bronzea fu realizzata con l'impiego di un'altissima percentuale di rame, almeno il 96,67% di rame,[1] non quindi di bronzo. L'alto contenuto di rame avrebbe incrementato la temperatura di fusione fino a 1200-1300 °C.[2] La grande purezza del rame fu scelta per dare una più soddisfacente doratura col mercurio.[3] Questo metodo produttivo suggerisce che la realizzazione dell'opera sia avvenuta in epoca romana, piuttosto che in quella ellenistica.[4] I quattro cavalli hanno un'altezza massima di 238 cm, con 131 cm di altezza al garrese; sono lunghi 252 cm e pesano tra gli 8,5 e i 9 quintali ciascuno. È certo che i cavalli, insieme con la quadriga, erano stati posti nel grande ippodromo di Costantinopoli, probabilmente sopra i carceres (da dove partivano le bighe per le corse nel circo); giunsero in città, forse dall'isola di Chios, sotto l'imperatore Teodosio II (408-450), come raccontano le fonti dell'VIII secolo.[5] Furono trasportati nella città lagunare nel 1204, sottratti a Costantinopoli dalla Repubblica di Venezia in seguito all'assedio e saccheggio della città avvenuto l'anno prima durante la IV crociata. Poco dopo la fine della crociata, Enrico Dandolo, doge di Venezia, inviò i cavalli nella Serenissima, dove furono installati sulla terrazza della facciata della Basilica di San Marco nel 1254. Petrarca li poté ammirare quando fece visita alla città nel 1364.[6][7] Nel 1797, Napoleone Bonaparte rimosse i cavalli e li portò a Parigi come oggetto delle spoliazioni francesi della Repubblica di Venezia durante l'occupazione napoleonica, dove li utilizzò per disegnare la sua quadriga per l'arco di Trionfo del Carrousel. Curioso l'aneddoto relativo alle restituzioni dei cavalli in bronzo di San Marco raccontato dei giornali dell'epoca. Secondo il corrispondente del Courier di Londra: "Ho appena visto gli austriaci togliere i cavalli dall'arco. L'intera corte delle Tuileries, piazza de Carrousel sono piene di fanti austriaci e di cavalleria armata, e nessuno è autorizzato ad avvicinarsi, le truppe ammontano a diverse migliaia, con folle di francesi in tutte le vie che guardano e danno sfogo alle loro emozioni con grida ed imprecazioni...". Nel 1815 i cavalli tornarono a Venezia grazie al capitano Dumaresq. Quest'ultimo aveva combattuto nella file della settima coalizione anti-francese nella battaglia di Waterloo ed era con le forze alleate a Parigi dove fu incaricato dall'Imperatore d'Austria di prelevare i quattro cavalli dall'Arco di Trionfo parigino e condurli a San Marco a Venezia. Per aver portato a termine il compito ricevette dall'Imperatore una tabacchiera d'oro con le sue iniziali in diamanti.[8] Tranne che in periodi di conflitti bellici, quando furono trasferiti in luoghi sicuri per sottrarli a eventuali danni da bombardamenti, i cavalli sono rimasti sulla terrazza della basilica fino agli anni '80 del Novecento, quando si decise di porli nel Museo della basilica per proteggerli dai danni degli agenti atmosferici e dello smog, sostituendoli con copie identiche.

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Piazzetta san Marco e Campanile

Delimitata dalla Libreria Sansoviniana e Palazzo Ducale e affacciata sul bacino di San Marco, è un luogo di grande fascino. Sul molo si trovano due alte colonne portate dall’Oriente nel XII sec. Di granito, sono coronate da capitelli in stile veneto-bizantino su cui poggiano il Leone di San Marco (sulla colonna verso il Palazzo Ducale) e San Teodoro (o Todaro, sulla colonna verso la Libreria Sansoviniana, copia dell’originale custodito all’interno del cortile di Palazzo Ducale). Prima del leggendario trafugamento del corpo di San Marco, era infatti San Teodoro il santo patrono della città lagunare. Il campanile di San Marco è uno dei simboli più importanti della città di Venezia. Assieme all'omonima basilica e all'omonima piazza sottostante, da cui prende il nome, è il principale monumento di Venezia e uno dei simboli d'Italia. I veneziani lo chiamano affettuosamente El parón de casa[1] (Il padrone di casa). Alto 98,6 metri[2], è uno dei campanili più alti d'Italia, ergendosi, isolato, in un angolo di piazza San Marco di fronte alla basilica. Di forma semplice, si compone di una canna di mattoni a pianta quadrata, scanalata, avente un lato di 12 metri e alta circa 50 metri, sopra la quale si trova la cella campanaria, ad archi. La cella campanaria è a sua volta sormontata da un dado, sulle cui facce sono raffigurati alternativamente due leoni andanti e le figure femminili di Venezia (la Giustizia). Il tutto è completato dalla cuspide, di forma piramidale, sulla cui sommità, montata su una piattaforma rotante per funzionare come segnavento, è posta la statua dorata dell'arcangelo Gabriele. La base della costruzione è impreziosita, dal lato rivolto verso la basilica, dalla loggetta del Sansovino. Il campanile è stato fonte di ispirazione di diversi edifici tra cui la Sather Tower nel campus di Berkeley University, il Metropolitan Life Insurance Company Tower a New York e la Torre commemorativa di Himmelbjerg in Danimarca.

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piazza san marco

Piazza San Marco, situata a Venezia in Veneto, è una delle più importanti piazze monumentali italiane, rinomata in tutto il mondo per la sua bellezza e integrità architettonica. È l'unico spazio urbano di Venezia che assume propriamente il nome di piazza, in quanto tutti gli altri spazi in forma di piazza sono propriamente definiti campi. Il suo corpo principale ha forma trapezoidale ed è lunga 170 metri: su di esso si innestano altre aree. È anche nota come "la Piazza" o "il salotto d'Europa". La Piazza propriamente detta, cioè la zona racchiusa tra le Procuratie vecchie e nuove e quelle "nuovissime", presenta uno sviluppo architettonico di rara suggestione sul complesso monumentale dell'omonima basilica e l'appena prospiciente, svettante, campanile di San Marco. La Basilica prospetta sulla piazza con una facciata marmorea che risale al XIII secolo, in cui furono inseriti mosaici, bassorilievi ed una grande quantità di materiale di spoglio eterogeneo. Ciò diede la caratteristica policromia, che si combina con i complessi effetti di chiaroscuro dovuti alle multiformi aperture ed al gioco dei volumi. Le due porte di ingresso alle estremità (quella meridionale, dedicata a san Clemente, risalente all'XI secolo e quella centrale a quello successivo) vennero realizzate con timpani ad arco inflesso, di ispirazione araba, forse volute anche per ricordare Alessandria d'Egitto, dove era avvenuto il martirio dell'evangelista Marco. Le porte minori sono successive, realizzate in gusto antico. L'unico mosaico originale delle lunette della facciata è quello sopra al primo portale a sinistra: gli altri risalgono al XVII e al XIX secolo e imitano i soggetti di quelli che andarono a sostituire. Tra la piazzetta dei Leoncini e le Procuratie si trova la Torre dell'Orologio, ultimata nel 1499, che segna l'inizio della Merceria, calle lungo la quale sono presenti i principali negozi della città. Costituisce tramite un sottoportico l'accesso di terra alla Piazza. La piccola chiesa di San Basso, suo annesso sulla destra, è stata sconsacrata: progettata da Baldassare Longhena, viene usata per mostre. Ai piedi della torre si trova dal 1750 il Caffè Lavena. Proseguendo verso ovest, incontriamo le Procuratie Vecchie, sedi ufficiali dei Procuratori di San Marco ai tempi della serenissima. Vennero costruiti nella prima parte del XVI secolo: il porticato del pianterreno è ricco di negozi e ristoranti, mentre anche oggi i piani superiori ospitano uffici. Sotto a questi archi si trova pure il Caffè Quadri, fondato nel 1755 e contrapposto al Caffè Florian, che si trova dall'altra parte della Piazza. Chiude la piazza la cosiddetta Ala Napoleonica, che congiunge le Procuratie Vecchie a quelle Nuove: prende questa denominazione dal fatto che fu ristrutturata nel 1810 per volontà di Napoleone. Progettata in origine come sede di rappresentanza, vi si trova il Museo Correr. Di fronte alle Procuratie Vecchie sono site quelle dette Nuove: disegnate da Jacopo Sansovino in pieno XVI secolo, necessitarono tra il 1582 e il 1586 di una ristrutturazione, che fu curata prima da Vincenzo Scamozzi e quindi da Baldassare Longhena, che fece chiudere il cantiere solo attorno al 1640. Come per le procuratie dirimpettaie, il porticato del pianterreno ospita locali, tra i quali il Caffè Florian, inizialmente noto come Alla Venezia trionfante, luogo di ritrovo dei venetisti al tempo delle lotte contro la dominazione austriaca. Il palazzo sarebbe dovuto diventare secondo Napoleone la sede di Eugenio di Beauharnais. L'estremità orientale di questo edificio tocca la Libreria marciana, progettata dal Sansovino, prospiciente la piazzetta. Vicino al punto di contatto tra questi due massicci edifici si trova il Campanile di San Marco, edificato tra il 1156 e il 1173 in una prima forma, ristrutturato nel 1514 e ricostruito senza alterazioni nel 1902 dopo un crollo. Vicino al campanile, in linea con la Porta della Carta, ingresso monumentale del Palazzo Ducale, si trova la Loggetta, progettata dal Sansovino e costruita tra il 1537 e il 1546.

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Palazzo Ducale

Il Palazzo Ducale, anticamente anche Palazzo Dogale in quanto sede del doge, uno dei simboli della città di Venezia e capolavoro del gotico veneziano, è un edificio che sorge nell'area monumentale di piazza San Marco, nel sestiere di San Marco, tra l'omonima piazzetta e il molo di Palazzo Ducale, contiguamente alla basilica di San Marco. Contraddistinto da uno stile che, traendo spunto dall'architettura bizantina e da quella orientale, ben esemplifica di quale intensità fossero i rapporti commerciali e culturali tra la Serenissima e gli altri Stati europei, la sua bellezza si basa su un astuto paradosso estetico e fisico, connesso al fatto che la pesante mole del corpo principale è sorretta da colonnati intarsiati apparentemente esili. Gli interni, oggi in parte privati delle opere che un tempo li decoravano, conservano ancora un'ampia pinacoteca, che comprende opere realizzate dai più famosi maestri veneziani, tra i quali Jacopo e Domenico Tintoretto, Tiziano Vecellio, Francesco Bassano, Paolo Veronese, Giambattista Zelotti, Jacopo Palma il Giovane, Andrea Vicentino e Antonio Vassilacchi. Antica sede del doge e delle magistrature veneziane, fondato dopo l'812, più volte colpito da incendi e di conseguenza ricostruito, ha seguito la storia della Serenissima, dagli albori sino alla caduta: annessa Venezia al Regno d'Italia e passato l'edificio sotto la giurisdizione di quest'ultimo, esso divenne sede museale. Oggi ospita il Museo civico di Palazzo Ducale, parte della Fondazione Musei Civici di Venezia (MUVE). Nel 2018 ha registrato 1 405 439 visitatori.[4]

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Museo

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Ponte dei Sospiri, interno

Il ponte dei Sospiri è costruito in pietra d'Istria, stile barocco, e fu realizzato agli inizi del XVII secolo su progetto dell'architetto Antonio Contin,[1] figlio di Bernardino Contin e nipote di Antonio Da Ponte: il costruttore del ponte di Rialto, per ordine del doge Marino Grimani, il cui stemma vi è scolpito. Questo caratteristico ponte di Venezia, situato a poca distanza da piazza San Marco, scavalca il rio di Palazzo collegando, con un doppio passaggio, il Palazzo Ducale alle Prigioni Nuove. Serviva da passaggio per i reclusi dalle suddette prigioni agli uffici degli Inquisitori di Stato per essere giudicati.[2] Conosciuto a livello globale, è fotografato dai turisti provenienti da ogni parte del mondo. Gli è stato attribuito questo nome perché la tradizione vuole che, ai tempi della Serenissima, i prigionieri, attraversandolo, sospirassero davanti alla prospettiva di vedere per l'ultima volta il mondo esterno.[3] L'appellativo di "Ponte dei Sospiri" è attestato già alla fine del Settecento.[4]

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Ponte dei Sospiri

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Ponte dei Sospiri

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Palazzo Ducale

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Ponte

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Panorama

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Palazzo Ferro Fini

Palazzo Ferro Fini è un palazzo di Venezia che si trova nel sestiere di San Marco, affacciato sul Canal Grande di fianco al Rio dell'Alboro. Quasi di fronte, sull'altra riva del Canal Grande, c'è la basilica di Santa Maria della Salute. È sede del Consiglio regionale del Veneto. Palazzo Manolesso Ferro, facciata È formato dall'unione di due distinti edifici: Palazzo Flangini Fini[1], più largo, e Palazzo Manolesso Ferro[2]. Percorrendo il Canal Grande verso il Bacino di San Marco si trova sulla sinistra, dopo il Palazzo Pisani Gritti e prima di Palazzo Contarini Fasan.

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Ponte

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Ponte

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Palazzo Grimani

Palazzo Grimani di Santa Maria Formosa è un museo statale, ubicato a Venezia nel sestiere di Castello, vicino al campo di Santa Maria Formosa. Si può raggiungere da terra da Ruga Giuffa. L'ingresso d'acqua, molto usato anticamente, lo si ha dal canale di San Severo. Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale del Veneto, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.

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Panorama

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Ponte

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Palazzo Michiel delle Colonne

Palazzo Michiel dalle Colonne è un palazzo di Venezia, situato nel sestiere di Cannaregio e affacciato sul Canal Grande, accanto a palazzo Michiel del Brusà e poco distante da Santa Sofia. Di fronte al palazzo c'è Campo della Pescaria, l'area dove si tiene il mercato di Rialto.

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Casinò di Venezia

Il Casinò di Venezia è stato fondato nel 1638 ed è riconosciuto come la casa da gioco più antica al mondo.

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Chiesa dei Santi Geremia e Lucia

Il santuario di Lucia, originariamente avente il titolo di San Geremia profeta, dopo la demolizione della chiesa di Santa Lucia e la traslazione del corpo della santa ha assunto il nome di chiesa dei Santi Geremia e Lucia. Si trova a Venezia nel sestiere di Cannaregio. È un importante edificio di culto, che custodisce numerose opere d'arte e i resti mortali di santa Lucia da Siracusa, alla quale è dedicata insieme a San Geremia.

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