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Trail stats

Distance
8.12 mi
Elevation gain
69 ft
Technical difficulty
Moderate
Elevation loss
69 ft
Max elevation
339 ft
TrailRank 
61
Min elevation
137 ft
Trail type
Loop
Moving time
2 hours 55 minutes
Time
3 hours 15 minutes
Coordinates
2191
Uploaded
December 13, 2021
Recorded
December 2021
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near Complesso Agave, Puglia (Italia)

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Itinerary description

Lecce è un comune capoluogo dell'omonima provincia della Puglia. Situata in posizione pressoché centrale della penisola salentina, tra la costa adriatica e quella ionica, è il capoluogo di provincia più orientale d'Italia.

Le antiche origini messapiche e i resti archeologici della dominazione romana la inseriscono tra le città d'arte d'Italia[7]. Lecce si distingue per la ricchezza e l'esuberanza del barocco tipicamente seicentesco delle chiese e dei palazzi del centro, costruiti nella locale pietra leccese, calcare molto adatto alla lavorazione con lo scalpello. Lo sviluppo architettonico e l'arricchimento decorativo delle facciate fu particolarmente curato durante il Regno di Napoli e caratterizza la città in modo talmente originale da dar luogo alla definizione di barocco leccese.

È sede dell'Università del Salento ed è stata capitale italiana della cultura nel 2015.

Il palazzo dei Celestini, per tre secoli sede del convento dei padri celestini, è un monumento barocco di Lecce. Il palazzo e la basilica di Santa Croce costituiscono un unico complesso.
Il monastero venne istituito già nel 1352 dal conte di Lecce e duca di Atene, Gualtieri VI di Brienne. Tale complesso, affidato fin dall'inizio ai celestini, era situato sull'area occupata oggi dal castello. Nel 1549, infatti, in seguito alla volontà di Carlo V di ampliare le mura e di costruire una nuova fortezza, il convento fu abbattuto e i celestini si stabilirono nell'attuale sito.
Il nuovo complesso venne costruito a partire dal 1549, su progetto del Riccardi, al quale si deve l'originario chiostro e il portale dell'annessa Basilica di Santa Croce.

I maggiori lavori furono realizzati nel '600. Il lungo prospetto (1659-1695) fu opera di due architetti leccesi; Giuseppe Zimbalo e Giuseppe Cino, i quali edificarono rispettivamente il primo e il secondo ordine.

Gli ordini della facciata risultano spartiti verticalmente da lesene. Il prospetto è arricchito da due loggette poste sui lati, da numerose finestre decorate da elaborate cornici e da un fregio ornato con scudi araldici. Il portale d'ingresso , posto al centro, presenta una decorazione di putti e grappoli di frutta.

Dopo la soppressione degli ordini, avvenuta nel 1807, il monastero divenne palazzo del Governo. Attualmente ospita gli uffici della Prefettura e della Provincia.

La basilica di Santa Croce è una chiesa del centro storico di Lecce, in via Umberto I. Insieme all'attiguo ex convento dei Celestini costituisce la più elevata manifestazione del barocco leccese. Ha la dignità di basilica minore.
Nell'area dell'attuale basilica, Gualtieri VI di Brienne aveva già fondato un monastero nel XIV secolo, ma fu solo dopo la metà del XVI secolo che si decise di trasformare l'area in una zona monumentale. Per reperire il terreno si requisirono case e proprietà degli ebrei, cacciati dalla città nel 1510. I lavori per la costruzione della basilica si prolungarono per due secoli, fra il XVI e il XVII secolo, e videro coinvolti i più importanti architetti cittadini dell'epoca.

La prima fase della costruzione, cominciata nel 1549, terminò entro il 1582 e vide la costruzione della zona inferiore della facciata, fino all'enorme balconata sostenuta da telamoni raffiguranti uomini e animali. La cupola venne completata nel 1590. Secondo lo storico dell'arte Vincenzo Cazzato questa prima fase vide l'emergere della personalità di Gabriele Riccardi. Una successiva fase dei lavori, a partire dal 1606, durante la quale vennero aggiunti alla facciata i tre portali decorati, è marcata dall'impegno di Francesco Antonio Zimbalo. Al completamento dell'opera lavorarono successivamente Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo. Al primo è dovuta la costruzione della parte superiore della facciata e dello stupendo rosone (vicino al quale è scolpita la data 1646), al secondo va probabilmente attribuito il fastigio alla sommità della struttura.
La facciata è composta da sei colonne a fusto liscio che sostengono la trabeazione e suddividono la struttura in cinque aree. Il portale maggiore, costruito nel 1606, presenta coppie di colonne corinzie ed espone le insegne di Filippo III di Spagna, di Maria d'Enghien e di Gualtieri VI di Brienne. Sulle porte laterali sono esposti gli stemmi della Congregazione dei Celestini. La trabeazione è sormontata da una successione di telamoni raffiguranti figure grottesche o animali fantastici e allegorici che sorreggono la balaustra, ornata di tredici putti abbracciati ai simboli del potere temporale (la corona) e spirituale (la tiara).

Il secondo ordine della facciata è dominato dal grande rosone centrale di ispirazione romanica. Profilato da foglie di alloro e bacche presenta tre ordini a bassorilievo. Il rosone è ben evidenziato da due colonne corinzie, che separano la zona centrale da quelle laterali in cui sono delle nicchie con le statue di san Benedetto e Papa Celestino V. Guardando il rosone, alla sua sinistra (esattamente alle ore nove), si nota l'autoritratto di Antonio Zimbalo. Agli estremi, a chiudere il profilo del secondo ordine, si ergono due grandi statue femminili, simboleggianti la Fede e la Fortezza. Il timpano, col trionfo della Croce al centro, chiude superiormente la facciata.

Seguendo il programma iconografico tipico della spiritualità benedettina (a cui i Celestini appartenevano) e agostiniana, la facciata, così come riportato dal cartiglio dedicatorio posto sul portale maggiore, raffigura il trionfo del Vessillo della Croce, con allusione, quindi all'esaltazione del sacro legno, la cui reliquia è conservata all'altare del transetto sinistro. Il complesso sistema figurativo dei telamoni che racchiude in sé tutte le culture e le provenienze umane (è raffigurata la Lupa capitolina, il dragone dei papa Borghese, soldati aragonesi e turchi) sottolinea la cattolicità della Chiesa e la potenza redentrice del Cristo su tutta l'umanità.
L'interno, a croce latina, era originariamente ripartito in cinque navate, due delle quali furono successivamente riassorbite in cappelle laterali aggiunte nel XVIII secolo. Le volte delle navate sono sorrette da due ordini di colonne, in tutto diciotto, le prime due sono addossate alla parete esterna, le ultime quattro binate delimitano il transetto e l'arco trionfale. La navata maggiore è coperta da un fastoso soffitto a cassettoni in legno di noce con dorature, mentre le navate laterali sono sormontate da volte a crociera. Nel quadrivio di intersezione dei due bracci della croce si innalza un'alta cupola decorata con festoni di foglie d'acanto, angioletti e motivi floreali.

Nel presbiterio, spogliato nel corso dei secoli del coro ligneo e dell'originario altare maggiore, si può ammirare l'abside polilobata e costolonata. L'attuale altare maggiore di epoca settecentesca fu prelevato nel 1956 dalla chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo in occasione del XV Congresso eucaristico nazionale tenutosi in città in quell'anno. Le pareti absidali sono decorate dai dipinti dell'Adorazione dei pastori, dell'Annunciazione, della Visita di Maria a sant'Elisabetta e de Il riposo nella fuga in Egitto. A sinistra dell'altare maggiore sorge il monumento funebre a Mauro Leopardo, abate del convento dei Celestini.

Lungo le navate si aprono sette profonde cappelle per lato, al cui interno si trovano splendidi altari riccamente decorati. Complessivamente la chiesa accoglie sedici altari barocchi. Nella navata sinistra, partendo dall'ingresso, si susseguono gli altari dedicati a san Pier Celestino, all'Immacolata, all'Annunciazione, alla Madonna del Carmine, a sant'Andrea Avellino, a sant'Irene e alla Pietà. Nel transetto sinistro è l'altare dedicato a san Francesco da Paola, capolavoro di Francesco Antonio Zimbalo, che lo realizzò tra il 1614 e il 1615, da molti studiosi considerato la massima espressione scultorea del barocco in Terra d'Otranto. Nel transetto destro sono collocati gli altari della Trinità e quello della Santa Croce, quest'ultimo opera barocca del 1637 di Cesare Penna, commissionata dall'abate generale dei Celestini Celso Amerighi[2]. Lungo la navata destra si aprono sei cappelle con gli altari dell'Apparizione del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Alacoque, di sant'Oronzo, di san Filippo Neri, di san Michele arcangelo, della Natività del Signore e di sant'Antonio da Padova. In quest'ultima cappella è conservato un cinquecentesco affresco della Madonna di Costantinopoli.
L'organo a canne della basilica è stato costruito dai Fratelli Ruffatti nel 1961. Collocato ai due lati del presbiterio, è a trasmissione elettrica e ha due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32.
La sistemazione della basilica nel XIX secolo fu molto contrastata dai critici. L'elaborata decorazione della facciata veniva vista come qualcosa di ridicolo e di pessimo gusto.

Nel XX secolo comincia un costante movimento di rivalutazione e vengono pubblicati numerosi studi sui complessi simbolismi della facciata. Attualmente la basilica è considerata uno dei capolavori architettonici della città.

I monaci celestini amministrarono convento e basilica fino alla soppressione dell'ordine nel 1807. Successivamente la chiesa rimase abbandonata e il palazzo annesso divenne sede di uffici pubblici. Anche attualmente il palazzo dei Celestini ospita gli uffici della prefettura e della provincia. La chiesa, dal 1833, è affidata all'Arciconfraternita della Santissima Trinità.


La chiesa del Gesù o della Madonna del Buon Consiglio è una chiesa del centro storico di Lecce. È stata per secoli sede della Compagnia di Gesù.
La chiesa fu costruita a partire dal 1575 per accogliere i Gesuiti che giunsero in città l'anno precedente al seguito di Bernardino Realino da Carpi, morto a Lecce nel 1616 e successivamente canonizzato. La costruzione della chiesa del Gesù comportò la demolizione dell'antica chiesetta di San Niccolò dei Greci di rito greco-ortodosso. L'edificazione della struttura venne eseguita utilizzando i disegni del gesuita comasco Giovanni De Rosis. Fu aperta al culto già nel 1577 ma i lavori si protrassero ancora per qualche decennio.
L'intero edificio si ispira alla Chiesa del Gesù di Roma, considerata la Madre delle chiese dell'ordine dei Gesuiti. La facciata, sobria e lineare, si articola su due ordini, raccordati da volute e scanditi da un doppio ordine di lesene interrotte da una trabeazione aggettante. L'ordine inferiore è caratterizzato da nicchie vuote che culminano nel portale sormontato da un timpano spezzato che accoglie l'emblema della Compagnia di Gesù adorato da due angeli.
L'ordine superiore, raccordato al primo da volute laterali nascenti da maschere femminili, presenta due finestre laterali ed un finestrone centrale, delimitato da fregi antropomorfi su volute e sormontato dalla nicchia con la statua del Bambin Gesù. Al vertice, il fastigio di coronamento, impostato su un fregio con i simboli della Passione di Cristo, culmina con la scultura del Pellicano che, squarciandosi il petto, alimenta la prole.
L'interno possiede un impianto a croce latina con breve transetto e quattro cappelle, tra loro comunicanti, aperte su ogni lato dell'unica navata. La copertura è costituita da un soffitto ligneo a lacunari, animato da tele raffiguranti le Glorie della Compagnia di Gesù di Giuseppe da Brindisi.
La chiesa custodisce preziose testimonianze pittoriche e scultoree collocabile tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XIX secolo. Sul lato sinistro sono collocati gli altari della Madonna di Loreto con la seicentesca statua della Madonna proveniente dalla distrutta chiesa delle cappuccinelle, di san Girolamo con tela di Girolamo Imparato, di san Michele Arcangelo (1746) e dell'Annunciazione con tela datata 1596.
Il transetto, il cui archivolto fu affrescato da Antonio Verrio con il Martirio di sant'Irene, presenta nel braccio sinistro la cappella della Vergine del Buon Consiglio (già di santa Irene) sul cui altare, fiancheggiato dalle statue in pietra di sant'Agnese e santa Cecilia, è posizionata la tela della Titolare (1811) e nel braccio destro, l'altare, già di sant'Ignazio di Loyola, dedicato a san Bernardino Realino in cui sono custodite le spoglie mortali. Sui due lati del transetto sono poi esposte due tele gemelle di Paolo Finoglio, raffiguranti la Madonna nelle vesti di Regina dei vergini e dei martiri e Regina dei martiri e dei confessori.
Sul lato destro della navata si susseguono le cappelle con gli altari dedicati all'Assunta, all'Adorazione dei Magi, al Crocifisso e alla Vergine; su quest'ultimo è posizionata la pregevole tela di Serafino Elmo (1752) raffigurante la Vergine col Bambino con i Santi Ignazio di Loyola, Stanislao Kostka e Luigi Gonzaga.

Il presbiterio accoglie lo scenografico altare maggiore in pietra leccese, realizzato nel 1699 e attribuito a Giuseppe Cino, che ospita le tele settecentesche della Circoncisione di Gesù e dei Dottori della Chiesa di Oronzo Letizia e l'Incoronazione della Vergine di Oronzo Tiso. Alla base dell'altare si distribuisce il coro ligneo settecentesco in noce, aggiunto dai Benedettini di Montescaglioso subentrati ai Gesuiti a seguito della loro soppressione.


La chiesa di San Leucio è una piccola chiesa del centro storico di Lecce situata al centro di quello che un tempo era il quartiere omonimo.
Il piccolo edificio è in realtà una cappella gentilizia, la cui originaria edificazione avvenne per volontà dell'abate Bartolomeo Cafaro a cavallo fra i secoli XI e XII. Risulta essere una delle prime chiese costruite nella città di Lecce.

L'aspetto attuale dell'edificio risale agli ultimi anni dell'Ottocento. Numerosissimi sono i restauri che nel corso dei secoli la chiesa ha subito, l'ultimo dei quali ha permesso di riportare alla luce un pregevole affresco databile al XV secolo raffigurante il Santo benedicente.


Nel Cinquecento Monastero delle Paolotte, oggi sede del Municipio, nel mezzo ha ospitato diversi usi e soprattutto è stato oggetto di numerosi e radicali rifacimenti. Palazzo Carafa è considerato tra i più interessanti edifici leccesi in stile Rococò, testimonianza del fertile mecenatismo del vescovo Alfonso Sozy Carafa, di cui porta il nome, che insieme al suo architetto d’elezione Emanuele Manieri fu artefice del rinnovamento urbano della Lecce settecentesca.


Piazza Sant'Oronzo

La Colonna di Sant'Oronzo
Il salotto elegante di Lecce è Piazza Sant'Oronzo, in parte occupata dall'Anfiteatro romano del I-II secolo d.C., riportato alla luce all'inizio del Novecento. Nella piazza s'innalza la colonna di Sant'Oronzo, donata dalla città di Brindisi per adornare la piazza.

Di fronte alla statua si trova l'armonioso palazzetto del Sedile, antica sede del Municipio, dove il sindaco riceveva la cittadinanza. Accanto a questo edificio, sorge la chiesetta di San Marco, importante testimonianza dell'esistenza di una colonia di mercanti veneti giunti in città per praticare attività commerciali. Un'altra testimonianza artistica che si affaccia sulla piazza davanti all'Anfiteatro è la chiesa di Santa Maria delle Grazie.


L'Anfiteatro Romano è situato nella centralissima piazza Sant'Oronzo. Restano l'arena, le gradinate inferiori e parte delle mura esterne. Fu costruito in età augustea e misurava circa 102 m × 83 m e riusciva a contenere oltre 25 000 spettatori. In epoche successive fu sotterrato e sovrastato da altri edifici. Il monumento venne scoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d'Italia, effettuati nei primi anni del Novecento. Le operazioni di scavo iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dell'archeologo salentino Cosimo De Giorgi, e si protrassero sino al 1940; è possibile ammirare solo un terzo dell'intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo di piazza Sant'Oronzo dove si ergono alcuni edifici e la chiesa di Santa Maria della Grazia.


La chiesa di Santa Maria della Grazia, è un edificio religioso di Lecce costruito in epoca barocca. Sorge nella centralissima Piazza Sant'Oronzo, di fronte all'Anfiteatro romano.
La chiesa venne innalzata in seguito al ritrovamento di un affresco della Madonna, databile al XIV secolo. Venne edificata negli ultimi decenni del Cinquecento su disegno del teatino Michele Coluccio da Rossano Veneto, nelle forme care al gusto della Controriforma. Fu parrocchia dal 1606 al 1958.
Il prospetto si presenta elegante e risulta spartito da una trabeazione, dominata da un profondo timpano ad arco, in due ordini. A loro volta gli ordini sono divisi in tre zone da colonne e paraste corinzie. Nell'ordine inferiore si apre un portale riccamente decorato, sormontato da un piccolo timpano con l'immagine della Vergine col Bambino ed angioletti. Tra le colonne sono scavate quattro nicchie, delle quali due ospitano le statue di San Pietro e di San Paolo. Nell'ordine superiore è presente una finestra ornata di balaustra e fiancheggiata da colonne.
L'interno, ad aula unica a croce latina, è ricoperto da un sontuoso soffitto in noce a lacunari, intagliati da Vespasiano Genuino da Gallipoli, il quale tra l'altro, eseguì il pregevole Crocifisso ligneo posto sull'altare del braccio destro del transetto.


Immagine trecentesca della Vergine
Da segnalare per la loro importanza artistica sono il trecentesco affresco della Vergine col Bambino, il cui rinvenimento diede luogo alla costruzione della chiesa e le tele settecentesche dipinte dal leccese Oronzo Tiso, raffiguranti l'Assunta, l'Adorazione dei pastori e l'Arcangelo Michele. Sovrasta l'altare maggiore la pala della Presentazione della Beata Vergine Maria proveniente dal non più esistente convento di Santa Maria del Tempio.

Le due acquasantiere all'ingresso sono in marmo di Verona e furono donate alla chiesa dal nobile teatino Francesco Paladini, del quale è raffigurato lo stemma di famiglia.


Il castello di Lecce è stato realizzato, secondo la tradizione, per volere di Carlo V per scongiurare le invasioni turche, di cui la più funesta fu, per la Terra d'Otranto, quella che nel 1480 causò il sacco di Otranto.

In realtà Carlo V ampliò e modificò un preesistente maniero, che secondo gli scavi e gli studi condotti dall'Università del Salento doveva risalire al XIII-XIV secolo. Una parte risalente a tale periodo risulta essere il torrione di forma quadrangolare detto mastio di Accardo. Gli ampliamenti del XVI secolo hanno dato al complesso una pianta quadrilatera, formata da quattro fronti bastionate, un tempo munita di fossato che venne colmato nel 1870. La fortezza presenta due porte: una orientata a nord-ovest che è quella rivolta verso la città, e l'altra sul lato opposto, che un tempo guardava la campagna. Sulla seconda porta appare lo stemma dell'imperatore asburgico, stemma che pure sormontava la prima porta ma che, poi, è stato rimosso e allogato in un muro del cortile. L'interno è dotato di ampi ambienti che oggi ospitano manifestazioni culturali.


La chiesa di Sant'Antonio della Piazza, nota anche come chiesa di San Giuseppe dal santo cui è intitolata la confraternita che vi officia, è una chiesa del centro storico di Lecce.
La chiesa, eretta nel 1584, faceva parte del complesso conventuale voluto da Gian Giacomo dell'Acaya intorno al 1557 e affidato ai frati minori osservanti. Il convento in funzione fino al 1807, venne adibito ad abitazione civile e demolito nei primi anni del Novecento.

Le forme attuali dell'edificio non sono quelle originarie: infatti nel 1765 i frati decisero di ingrandire la chiesa la cui navata principale corrispondeva all'attuale transetto. Sul fianco laterale della chiesa è possibile ancora vedere l'originario portale cinquecentesco, che costituiva l'ingresso principale, e il rosone.
Il prospetto, spartito in due ordini, è animato nell'ordine inferiore da un portale elegantemente decorato e da due nicchie che ospitano le statue di sant'Antonio da Padova e di san Giovanni da Capestrano. L'ordine superiore, estremamente semplice nelle linee decorative, accoglie al centro, fra due paraste, un'ampia finestra.
L'interno, a croce latina, presenta una navata percorsa da alte paraste corinzie e scandita sui due lati da cinque cappelle. Nelle due nicchie del retrospetto trovano posto le statue in pietra locale di san Francesco d'Assisi (1823) e di san Rocco (1566), quest'ultima attribuita a Gabriele Riccardi.

Nelle cappelle laterali, decorati altari barocchi, ospitano pregevoli dipinti: quello di San Diego di Alcalà opera di un allievo di Gianserio Strafella, quello della Natività della Vergine, della Circoncisione di Gesù opera di Jacopo Palma il Giovane e quello di San Pietro. Nel primo altare a destra è collocata la settecentesca tela raffigurante Sant'Oronzo in gloria, copia di Serafino Elmo il quale dipinse anche la tela di san Francesco d'Assisi (1771) custodita nella terza cappella a destra.

Nel transetto destro si impone per la maestosità e la monumentalità delle proporzioni l'altare di San Giuseppe, attribuito ad Emanuele Manieri, e adorno della statua lignea policroma del santo, mentre in alto trova posto la tela della Vergine Annunziata, attribuibile a Oronzo Tiso. Nel transetto di sinistra si incontrano invece gli altari più antichi della chiesa: quello di Sant'Antonio da Padova, realizzato nel 1737 in pietra leccese con statua lapidea del santo datata 1569, quello di Santa Rita da Cascia con la tela della santa e quello di San Francesco da Paola con la statua del santo del 1581.

Nel presbiterio, ricoperto da un soffitto affrescato da Carmine Palmieri, è presente un marmoreo altare maggiore opera di Eugenio Maccagnani (1923). Dell'arredo cinquecentesco rimangono solo la lignea cantoria, sormontata da un organo dorato, e il coro.


La chiesa della Trinità dei Pellegrini è una chiesa del centro storico di Lecce risalente alla fine del XVI secolo
La chiesa è quanto rimane dell'Ospedale dei Pellegrini, costruito per volontà di Achille Marescallo nel 1589 e poi affidato alla Confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini che vi svolse per lungo tempo le sue attività di assistenza. Nel 1833 la Confraternita della SS. Trinità passò alla Basilica di Santa Croce e cedette l'ospedale alla Confraternita del Nome di Dio che si stabilì nella chiesetta. Dal quel momento l'edificio venne anche denominato del Bambino, perché al di sopra del bastone priorale della Confraternita vi è raffigurato Gesù Bambino Incoronato. Nel corso dell'800 l'ospedale, perduta la sua originaria funzione, venne chiuso e trasformato in palazzo civile.
L'edificio, di piccole dimensioni, presenta un prospetto squadrato e assai semplice: il portale, ora sormontato da un timpano triangolare, era un tempo concluso da un arco a sesto ribassato, come si intuisce dal filare di conci di pietra rimasto inglobato nella muratura. Al di sopra del portale una finestra di forma rettangolare consente l'illuminazione della chiesa dal prospetto principale, mentre ai lati si elevano due lesene sormontate da capitelli compositi.
L'interno presenta un impianto ad un'unica navata e un presbiterio a terminazione piatta. Lo sviluppo longitudinale della navata è scandito in tre campate da piatte lesene sormontate da capitelli simili a quelli utilizzati nella facciata. Lungo il lato sinistro, tra la prima e la seconda campata, rimane la porta laterale che permetteva l'ingresso dall'ospedale e, al di sopra di questa, l'elegante coretto con parapetto mistilineo consentiva di affacciarsi sulla navata della chiesa direttamente dai locali dell'ospedale posti al piano superiore.

Nulla rimane oggi dell'arredo interno, tranne gli altari che adornano il lato destro e sinistro della navata a livello della terza campata e l'altare maggiore. Gli altari, tutti in pietra leccese e di gusto Tardo barocco, sono privati delle tele che un tempo li decoravano. Di pregevole fattura artistica è la statua dell'Immacolata (metà del XIX secolo) d

Waypoints

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Fauna

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Palazzo dei Celestini

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Monumento

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Basilica di Santa Croce

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Sito religioso

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Chiesa del Gesù

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Chiesa di San Leucio

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Palazzo Caraffa

PictographMonument Altitude 269 ft
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Piazza San Oronzo

PictographMonument Altitude 285 ft
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Anfiteatro Romano

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Chiesa di Santa Maria delle Grazie

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Rovine

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Castello Carlo V

PictographCastle Altitude 282 ft
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Castello

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Chiesa San Antonio della Piazza

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Chiesetta della Trinità dei Pellegrini o del Bambino

PictographReligious site Altitude 249 ft
Photo ofChiesa di Santa Chiara Photo ofChiesa di Santa Chiara

Chiesa di Santa Chiara

La sua prima fondazione, voluta dal vescovo Tommaso Ammirato, risale al 1429; venne in seguito quasi completamente ristrutturata tra il 1687 e il 1691. La realizzazione della chiesa è opera dell'architetto Giuseppe Cino. La facciata, rimasta priva del fastigio superiore, presenta un andamento convesso scandito in due ordini da una cornice marcapiano modanata percorsa da un motivo a dentelli. L'ordine inferiore accoglie un portale decorato con motivi vegetali e sormontato da un timpano mistilineo con al centro una nicchia ovale, sorretta da angeli sorridenti, e lo stemma dell'ordine delle clarisse. La superficie è scandita da colonne e paraste scanalate alternate da nicchie vuote abbellite da cartigli e medaglioni. L'ordine superiore ripropone la disposizione delle nicchie affiancate a paraste scanalate doppie ai lati di un ampio finestrone centrale con timpano risolto in due volute laterali. Al centro del timpano un puttino alato rivela l'anno di completamento della costruzione (1691), scolpito sul nastro che ha tra le mani. L'edificio presenta una pianta ottagonale allungata con profondo presbiterio coperto con volta a stella. Le pareti sono divise in due ordini da una cornice continua dentellata. Il primo ordine è percorso da paraste corinzie tra le quali si aprono brevi cappelle che accolgono complesse macchine d'altare. Gli altari, riccamente ornati con colonne tortili animate da angeli, volatili, volute, cartigli, ghirlande e sculture, accolgono le statue lignee di ambito napoletano della fine del XVII secolo raffiguranti san Francesco Saverio, san Francesco d'Assisi, san Pietro d'Alcantara, san Gaetano di Thiene, sant'Antonio da Padova e l'Immacolata. In corrispondenza delle cappelle si aprono, nel registro superiore, sette ampie finestre dal profilo mistilineo alternate a nicchie che accolgono le statue delle Beate Beatrice, Agnese, Amata e Ortolana. Lungo le pareti si aprono anche le grate dei cori da cui le monache partecipavano alle celebrazioni. Lo spazio esistente tra le varie cappelle è arricchito dalla presenza di alcuni dipinti raffiguranti scene evangeliche e santi: Assunzione della Vergine, Transito di Santa Chiara, Cristo Risorto, Vergine col Bambino, Sant'Ignazio da Loyola. Il presbiterio è caratterizzato da un monumentale altare maggiore, ricco di elementi architettonici e ornato da due colonne tortili, che accoglie nella nicchia centrale la statua di santa Chiara d'Assisi. Da segnalare è la presenza della tela di Sant'Agnese, in prossimità dell'altare di San Francesco d'Assisi, opera di Francesco Solimena.

PictographRuins Altitude 275 ft
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Teatro Romano

Il Teatro Romano si trova in via dell'Arte della Cartapesta. Fu scoperto nel 1929, databile all'età augustea come l'Anfiteatro. La cavea di questo Teatro, probabilmente riservato ai lupiensi mentre quello di piazza Sant'Oronzo veniva frequentato dai provinciali, misura 19 m di diametro. Ignorato per secoli come l'Anfiteatro, ha restituito alcune statue che sono conservate presso il Museo archeologico provinciale Sigismondo Castromediano. Dagli studi effettuati sono emerse interessanti usanze che gli spettatori del tempo solevano adottare. Il Teatro veniva frequentato per sette mesi (da aprile a ottobre), gli spettacoli erano all’aperto e per alleviare i fastidiosi odori che per il caldo periodo si liberavano nell’aria, venivano nebulizzati, attraverso delle doccette, fragranze di rose o zafferano. Le collocazioni dei posti a sedere prevedevano che nelle prime file sedessero i senatori su morbidi cuscini, le quattordici file successive erano riservate ai cavalieri, poi vi erano i posti popolari e infine le donne, gli schiavi e i bambini; in ogni settore bisognava arrivare con largo anticipo per poter occupare il posto migliore. L’ingresso era consentito a tutti, ma regolato da tessere d’osso che permettevano di riconoscere i litigiosi e collocare gli spettatori nel giusto settore. Il Teatro è stato restaurato e reso nuovamente utilizzabile nel 1999. Nello stesso anno in occasione della rappresentazione teatrale Miti in Scena è stato inaugurato anche il Museo del Teatro che affaccia sulla cavea.

PictographReligious site Altitude 239 ft
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Duomo

Il duomo di Lecce, la cui denominazione ufficiale è quella di cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta, è il principale luogo di culto cattolico di Lecce, chiesa madre dell'arcidiocesi metropolitana omonima. Si trova in piazza del Duomo, nel centro storico della città. Una prima cattedrale della diocesi di Lecce venne costruita nel 1144 dal vescovo Formoso; nel 1230, per volere del vescovo Roberto Voltorico, la cattedrale venne rinnovata e ricostruita in stile romanico. Nel 1659, il vescovo di Lecce Luigi Pappacoda diede all'architetto leccese Giuseppe Zimbalo, detto lo Zingarello, il compito di ricostruire la chiesa cattedrale in stile barocco leccese. L'architetto scelse di non alterare la pianta della cattedrale romanica e la prima pietra venne posata il 1º gennaio dello stesso anno. La costruzione venne portata avanti dal 1659 fino al 1670, quando la nuova cattedrale venne solennemente consacrata dal vescovo Pappacoda. Il tempio possiede due prospetti, di cui il principale è quello a sinistra dell'Episcopio, mentre l'altro guarda l'ingresso della piazza. La facciata principale, piuttosto semplice sotto il profilo decorativo, si sviluppa in due ordini dove sono presenti le statue, alloggiate in nicchioni, dei Santi Pietro e Paolo, di San Gennaro e di San Ludovico da Tolosa. La disposizione delle paraste scanalate fa intravedere che la chiesa è strutturata in tre navate. Il prospetto settentrionale, ricco ed esuberante, assolve a una precisa funzione scenografica, dovendo rappresentare l'ingresso principale della chiesa per chi entra nel sagrato. Scompartito in cinque zone da paraste e colonne scanalate, il primo ordine presenta un portale ai cui lati due nicchie ospitano le statue di San Giusto e di San Fortunato. La trabeazione è coronata da un'alta balaustra alternata da colonnine e pilastrini, oltre la quale, al centro, si innalza la statua di Sant'Oronzo. Il Campanile del Duomo venne costruito tra il 1661 e il 1682 dall'architetto leccese Giuseppe Zimbalo su incarico dell'allora vescovo della città, Luigi Pappacoda. Venne edificato in sostituzione di quello normanno, voluto da Goffredo d'Altavilla, crollato agli inizi del Seicento. La torre campanaria ha una forma quadrata e risulta essere formata da cinque piani rastremati, l'ultimo dei quali è sormontato da una cupola ottagonale maiolicata, sulla quale è posta una statua in ferro raffigurante Sant'Oronzo. Gli ultimi quattro piani presentano quattro monofore alle quali le antistanti balaustre conferiscono la pittoresca funzione di lunghi balconi. Impreziosiscono il campanile alcune epigrafi latine le quali, incise su targhe posizionate sopra le monofore, furono dettate dal letterato leccese Giovanni Camillo Palma. Ha un'altezza di 70 metri[1], e dalla sua sommità è possibile ammirare il mare Adriatico e nei giorni particolarmente limpidi anche le montagne dell'Albania. La torre presenta una leggera curvatura verso sinistra, dovuto a un leggero cedimento delle fondamenta. L'interno, a croce latina, è a tre navate divise da pilastri a semicolonne. La navata centrale e il transetto sono ricoperti da un soffitto ligneo a lacunari intagliati, risalente al 1685, entro il quale sono incastonate le tele, di Giuseppe da Brindisi, raffiguranti la Predicazione di Sant'Oronzo, la Protezione dalla peste, il Martirio di Sant'Oronzo e l'Ultima Cena. Il Duomo accoglie al suo interno 12 altari, più quello maggiore, ed è ricco di opere pittoresche realizzate da valenti artisti, tra i quali Giuseppe da Brindisi, Oronzo Tiso, Gianserio Strafella, G. Domenico Catalano e G. A. Coppola. Gli altari sono dedicati, (a partire dalla navata sinistra), a San Giovanni Battista (1682), alla Natività con presepe cinquecentesco, al Martirio di San Giusto (1674), a Sant'Antonio da Padova (pure del 1674), alla Vergine Immacolata (1689), a San Filippo Neri (1690), al Crocifisso e al Sacramento (1780), a Sant'Oronzo (1671), all'Addolorata, a San Giusto (1656), a San Carlo Borromeo e a Sant'Andrea Apostolo (1687). L'altare maggiore in marmo e bronzo dorato, fu costruito dal vescovo Sersale e consacrato nel 1757 dal vescovo Sozi Carafa che commise ad Oronzo Tiso il grande quadro centrale dell'Assunta (1757) e i due laterali raffiguranti il Sacrificio del Profeta Elia e il Sacrificio di Noè dopo il Diluvio (1758). Del 1759 è il coro in noce con la cattedra episcopale voluto dal vescovo Fabrizio Pignatelli e dovuto forse a disegni di Emanuele Manieri. La Cattedrale possiede una cripta del XII secolo, rimaneggiata nel XVI con aggiunte barocche. Presenta un corpo longitudinale contenente due cappelle barocche con dipinti che incrocia un lungo corridoio composto da novantadue colonne con capitelli decorati da figure umane. Rimasta chiusa per decenni, nel 2017 la cripta ha riaperto dopo un lungo lavoro di restauro[2]; in tale occasione sono state effettuate indagini archeologiche che hanno rivelato la possibile presenza di un putridarium al di sotto di essa. Sulla cantoria lignea in controfacciata si trova l'organo a canne, costruito nel 1913 da Pacifico Inzoli. Lo strumento ha subito vari restauri: un primo negli anni cinquanta ad opera della ditta organaria Fratelli Ruffatti, che, fra le varie cose, hanno modificato la cassa privandola del suo coronamento ed hanno fornito una nuova consolle; un secondo negli anni ottanta ad opera di Claudio Anselmi Tamburini; l'ultimo tra il 2000 e il 2001 da parte degli eredi di Pacifico Inzoli. Lo strumento è a trasmissione elettrica ed ha 42 registri per un totale di 3205 canne; la consolle, indipendente, in cantoria, con due tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 30 note. La mostra è composta da canne di principale con bocche a mitria disposte a palizzata ed intervallate da lesene lignee. Organo positivo Nel braccio sinistro del transetto, a pavimento, si trova l'organo a canne Saverio Anselmi Tamburini opus 32, costruito nel 1989. Lo strumento, a trasmissione integralmente meccanica, ha 7 registri; la sua consolle, a finestra, dispone di un'unica tastiera di 56 note ed una pedaliera concava di 30 note costantemente unita al manuale e priva di registri propri.

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Piazza Duomo

È il barocco a dominare nella centrale Piazza Duomo. Questo grande cortile, poi modificato, risale al tempo del vescovo Gerolamo Guidano. A esso si accede attraverso i propilei, realizzati verso la fine del XVIII secolo da Emanuele Manieri, essendo stati abbattuti gli originali muri d'ingresso. Piazza Duomo è uno dei rari esempi di "piazza chiusa". Un tempo, la sera le porte, delle quali ancora oggi sono visibili gli imponenti mozzi, venivano serrate. Che si tratti di un chiaro esempio di barocco è evidente anche dalla soluzione a dir poco teatrale della "falsa facciata". Il visitatore che entra in Piazza Duomo si trova di fronte una facciata di chiesa, che solo a un'attenta visione si rileva "posticcia". È sufficiente varcare la soglia del portale per ritrovarsi nella navata laterale della Chiesa. La cattedrale non accoglie, dunque, il visitatore di fronte, ma si trova collocata, rispetto all'ingresso della Piazza, in modo parallelo. La soluzione scenografica venne adottata per evitare che il visitatore si trovasse di fronte a un muro piatto e senza decori. Il Sedile in piazza Sant'Oronzo L'architetto leccese, che si adoperò per armonizzare l'arredo urbano, realizzò, ai lati dei propilei, i palazzi gemelli che, entrambi al piano terreno, palesano arcature a bugne lisce, oggi in parte chiuse o trasformate in porte e finestre. A sinistra della piazza si erge imponente il campanile, opera di Giuseppe Zimbalo, mentre al centro la cattedrale e, in posizione più arretrata, l'episcopio. Sulla destra, infine, si trova il seminario.

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Chiesa Santa Maria della Pace

La chiesa di San Giovanni di Dio o di Santa Maria della Pace, insieme all'attiguo convento dei Fatebenefratelli, è un complesso architettonico di Lecce. Venne ricostruita da Mauro Manieri, fra il 1738 e il 1742. Sorge sulla centralissima via Giuseppe Palmieri. La chiesa ha un prospetto sobrio, caratterizzato dal movimento della superficie muraria generato dall'arretramento dei due corpi laterali e dall'articolazione in due ordini sovrapposti, suddivisi da una robusta cornice marcapiano e conclusi da una terminazione mistilinea ad archi inflessi. Il primo ordine, scandito da paraste, presenta un ampio portale d'ingresso sul quale era posizionato lo scudo araldico dell'ordine religioso. Il secondo ordine, raccordato al primo da volute piumate, ospita una finestra centrale. L'interno si presenta con un'alta navata a pianta rettangolare percorsa, nei muri perimetrali, da lisce paraste corinzie ritmate da due brevi cappelle. La copertura è a volta lunettata con leggeri rivestimenti in stucco. Gli altari, tutti in pietra leccese, presentano delle macchine elaborate con colonne tortili. La tela di maggiore rilievo è quella dell'altare maggiore raffigurante la Visione di San Giovanni di Dio, realizzata da Bonaventura Manieri, figlia e sorella degli architetti Mauro ed Emanuele. All'interno della chiesa erano custodite, inoltre, alcune statue in cartapesta degli inizi del XX secolo, oggi conservate in un locale del Castello di Carlo V, tranne quella raffigurante la Madonna Orante, che è ancora esposta in chiesa. È stata adottata dalla scuola secondaria di primo grado di Lecce (Le) Antonio Galateo nel 2010 e nel 2012 con il progetto "Adotta un monumento".

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Chiesa Santa Maria della Porta

La chiesa di Santa Maria della Porta è una chiesa del centro storico di Lecce, situata in via Giuseppe Palmieri, nelle vicinanze di Porta Napoli, opera dell'ingegnere G. Magliola. In origine, era una piccola chiesa al di fuori delle mura della città dedicata a “Maria che trova Gesù a disputare coi Dottori nel Tempio”. In occasione del rifacimento delle mura, intorno al 1548, regnando l'augusto Imperatore Carlo V, e governando questa provincia Ferrante Loffredo, Marchese di Trevico, fu la predetta Cappella riedificata nell'interno della città. Nel 1567 la Chiesa fu resa più ampia e decorosa, in occasione d'un fatto prodigioso, oltremodo straordinario, che fu segnalato nella guarigione istantanea di una donna devota di Maria di nome Laura Macchia che da cinquant'anni affetta da incurabile paraplegia. Sulla porta minore della Chiesa fu consacrata la memoria dell'avvenuto miracolo con la seguente iscrizione: Ad perpetuam miraculi memoriam quo Deiparae Maria auxilio et gratia Laura Macchia, honesta virgo, tibiarum et peduum aegritudine incurabili laborans, per quinquaginta amplius annos domi iacens. Hic integrae sanitati restituta est. Cives Lycienses pie persancteque erexere” “A perpetua memoria del miracolo, col quale per intercessione e favore della Santa Madre di Dio, Laura Macchia, onesta vergine, da cinquanta anni costretta a stare in casa, perché affetta da incurabile paraplegia, ottenne qui la istantanea e completa guarigione, i Cittadini Leccesi piamente resero più ampia e decorosa questa Chiesa”. Nel 1606 la Chiesa di S. Maria della Porta fu elevata alla dignità di parrocchia, con decreto di erezione del 16 marzo dello stesso anno, emanato in Lecce nel Convento dei Celestini in S.Croce, dove risiedeva il Delegato Apostolico di Paolo V, Mons. Giovan Battista Guanzato, vescovo di Polignano. Oggi, rettoria e sede della congregazione di San Luigi Gonzaga. Divenuta negli ultimi anni estremamente decentrata rispetto al territorio della parrocchia, è stato edificato un nuovo tempio posto al di là delle antiche mura. L'attuale complesso parrocchiale, situato in via Cavalieri di Vittorio Veneto, è stato consacrato il 13 dicembre 1998 da Mons. Cosmo Francesco Ruppi e conta circa 1.151 famiglie e 4.300 fedeli. È stato realizzato su un suolo di 4.296 metri quadrati messo a disposizione della Diocesi dal Comune di Lecce. Il progetto è stato redatto dall'architetto Giuseppe Fiorillo, coadiuvato per l'impiantistica dall'ingegnere Costantino Prinari. È stato approvato e finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana con provvedimento a firma del Cardinale Camillo Ruini del 1º marzo 1995. I lavori di costruzione hanno avuto inizio il 21 dicembre 1995 e sono stati completati nei tre anni previsti dal decreto di finanziamento, grazie all'impegno della ditta "Marullo Costruzioni s.r.l." con sede in Calimera. L'incisione realizzata da Pompeo Renzo nel 1634 per l'opera “Lecce Sacra”, di Giulio Cesare Infantino, mostra il prospetto principale della Chiesa cinquecentesca caratterizzato da un profilo a spioventi, con un grande rosone nella parte centrale, mentre una serie di porte architravate, alcune con lunette istoriate, permettevano di accedere ai diversi ambienti della Chiesa. L'attuale edificio è stato ricostruito in forme neoclassiche dal 1852 al 1858 su disegni dell'architetto Giuseppe Maiola da Maddaloni. La Chiesa, a pianta centrale ottagonale, si presenta all'esterno con una volumetria compatta e geometrica. Il prospetto principale presenta un portale architravato affiancato da alte lesene, con capitelli in stile ionico, sulle quali si imposta l'architrave e il frontone triangolare. L'ambiente ottagonale è coperto da una cupola rivestita all'esterno da mattonelle maiolicate policrome e decorata all'interno a lacunari con motivi floreali rastremati verso l'alto. Il perimetro interno è scandito da quattro arcate tangenti alla cornice su cui è impostata la cupola, decorate con motivi a ovuli e dentelli e impostate su paraste scanalate con capitelli corinzi. Si alternano ad esse quattro arcate più piccole, che immettono alle due cappelle rettangolari voltate a botte ai lati dell'ingresso e delle due cappelle a pianta semicircolare ai lati dell'abside. Tra le dedicazioni delle cappelle ricordiamo quella a Sant'Oronzo e al Sacro Cuore di Gesù a sinistra, e quelle a san Luigi e al Crocifisso a destra. Nella cappella centrale di destra, delimitata da una balaustra in marmo, entro una nicchia al di sopra dell'altare, è collocata una scultura della Madonna della Porta. Diametralmente opposto è l'ingresso agli ambienti della sacrestia e, al di sopra di esso, è l'immagine dell'Immacolata. In controfacciata sono collocati l'organo e la cantoria dal profilo mistilineo. Il motivo decorativo a lacunari, presente nella cupola, ritorna nella calotta dell'abside centrale e nell'intradosso delle arcate maggiori. La Chiesa è illuminata dal lucernario che si apre alla sommità della cupola e da sei finestre semicircolari, due delle quali ai lati dell'abside presentano vetrate policrome figurate con due angeli in adorazione del Sacro Cuore e con un angelo che salva le anime dal Purgatorio.

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Porta Napoli

Porta Napoli Porta Napoli o Arco di Trionfo Porta Napoli, o arco di Trionfo, fu eretta nel 1548 in onore dell'imperatore Carlo V come dimostrazione di gratitudine per le opere di fortificazione fatte realizzare in difesa della città. Fu realizzato nel luogo dell'antica Porta San Giusto, al di sotto della quale, secondo la tradizione, riposavano le spoglie del santo. La porta è costituita da un solo fornice affiancato da due colonne corinzie binate che sorreggono un frontone triangolare sul quale sono scolpite le insegne imperiali con trofei e panoplie. Sul fregio centrale appare, in latino, l'epigrafe dedicatoria.

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Obelisco

Quando finalmente la città torna padrona di se stessa, in quell’orario magico che va dalla mezzanotte alle prime luci del mattino, posizionandosi all’ingresso di via Taranto e volgendo lo sguardo verso Porta Napoli, si avrà un’occasione rara e preziosa: ammirare in tutta la sua magnificenza, nel silenzio e nella pace assoluta, uno dei monumenti emblematici della città: l’obelisco di Lecce. Situato proprio al centro del più prestigioso ingresso cittadino, l’obelisco svetta maestoso e affascinante ricoprendo il suo ruolo di punto di snodo per automobili, biciclette e motorini. L’obelisco di Lecce fu realizzato per commemorare la visita di Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie. Nel 1822 infatti, lo scultore Vito Carluccio lavorò e plasmò la pietra leccese seguendo i disegni di Luigi Cipolla. Magnificamente eseguito, l’obelisco è alto circa 10 metri, ha la forma di una piramide a base quadrata che si va assottigliando verso l’alto. I Borboni lo fecero colorare di nero nel vano tentativo di rendere l’illusione che si trattasse di marmo, ma l’artificio fortunatamente durò poco perché le prime piogge cancellarono il colore restituendo alla luce la pietra leccese in tutta la sua bellezza. Salendo i 4 gradini che separano l’obelisco dalla strada, ci si trova di fronte al bassorilievo dello stemma della Terra D’Otranto: il delfino che azzanna la mezzaluna e che si ripete lungo tutti i lati. Seguendo con lo sguardo i bassorilievi che ornano la colonna, sarà possibile incontrare gli stemmi raffiguranti il cervo di Brindisi; lo gallo di Gallipoli, la lupa di Lecce e il scorpione di Taranto. Le incisioni in lingua latina invece, indicano le distanze che intercorrono tra le varie località leccesi e si dilungano infine sulla descrizione accurata della visita di Ferdinando I di Borbone che i leccesi accolsero come un evento. L’obelisco di Lecce è un simbolo per la città, vigila sulla vita che scorre tra via Taranto e via Palmieri, accoglie i turisti che arrivano, saluta chi parte, ma soprattuto da il benvenuto a chi torna, ricordandogli che comunque vada, Lecce sarà sempre la città magica in cui sacro e profano creano magiche atmosfere.

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Parco di Bello Luogo

Poco lontano dal centro di Lecce si trova il Parco di Belloluogo, primo parco urbano con aiuole e vaste aree verdi dove si può praticare sport e portare i bambini a giocare. Il Parco di Belloluogo si trova a Lecce nei pressi del Cimitero cittadino e prende il nome dalla Torre medievale di Belloluogo, storica residenza della regina Maria D’Enghien. Davanti alla torre trecentesca è ancora visibile l’antico fossato. Rappresenta il primo parco urbano a disposizione dei cittadini e dei turisti, inaugurato nel 2012 dopo accurati lavori di sistemazione dell’area con i caratteristici muretti a secco che delimitano i viali principali. Larghi viali delimitati da alcuni lampioni attraversano l’area verde, dove sono stati piantumati ulivi, fichi e altre specie autoctone.

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Torre di Belloluogo

Le torre di Belloluogo è un'antica torre fortificata di Lecce. Secondo la tradizione la torre di Belloluogo sarebbe stata costruita nel Trecento da Gualtiero (o da Ugo) di Brienne, ma non vi sono fonti certe che attestino tale tradizione trecentesca. Certo che l'architettura è molto simile alla sua gemella Torre del Parco, posta all'altro capo della città e questo porrebbe dei dubbi sulla sua edificazione trecentesca. Il complesso è un importante esempio di architettura militare tardo-angioina. La torre di forma cilindrica è ancora circondata dal fossato originario pieno d'acqua. Fonti certe raccontano che fu dimora di Maria d'Enghien, contessa di Lecce e Regina di Napoli, nella quale vi trascorse gli ultimi anni della vita. Al suo interno conserva alcune stanze e un'interessante cappella riccamente affrescata. Gli affreschi, sono da ascriversi agli inizi del Quattrocento e rimanderebbero alla 'Scuola galatinese' e raffigurano scene della vita di Santa Maria Maddalena, i quattro evangelisti, un Cristo benedicente e sette profeti. All'esterno presenta un'architettura simile a quella della Torre del Parco, con merli, saettiere e caditoie, nella maggior parte scomparse, ma rimangono alcune tracce ancora in situ, sul coronamento sommitale.

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Parco delle Mura Urbiche

Il parco delle Mura Urbiche è uno degli spazi urbani restituiti più recentemente alla città dopo decenni di usi impropri. Si tratta di uno spazio pubblico estremamente ricco di segni storici che raccontano le stratificazioni di oltre 2000 anni della storia della città di Lecce, intorno ad un tratto significativo delle ritrovate Mura cittadine di età cinquecentesca.

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Bastione di San Francesco

La città di Lecce è stata sempre dotata di una cinta muraria, sin dall’epoca messapica, pertanto i suoi abitanti sono stati sempre protetti da una struttura difensiva che, nel corso dei secoli, ha sempre avuto nuovi interventi di riadattamento e ripristino, a seconda delle mutate esigenze difensive e strategiche. Nel corso del Medioevo, tuttavia, la cinta muraria venne periodicamente violata ed anche abbattuta. e nella seconda metà del XII secolo Lecce fu distrutta, al pari di altre città pugliesi, alcune delle quali non si ripresero più e furono abbandonate del tutto, dalla furia del Re di Sicilia, il normanno Guglielmo I de Hauteville detto il Malo. Successivamente, nel 1285, durante la Guerra del Vespro, la città ed il suo castello medievale furono presi da Ruggero di Lauria. Riconquistatala, il Conte di Lecce Ugo de Brienne provvide a riedificarla ma, ancora una volta nel 1296, Ruggero scatenò una violenta offensiva ed in una sola notte la espugnò, dimostrando la debolezza delle strutture difensive che necessitavano di un urgente adeguamento. Per la modifica della cinta muraria però bisognerà attendere il XVI secolo, sotto il regno di Carlo V, i cui consiglieri militari compresero che, se non si fosse intervenuti in tempo a rinforzare le città pugliesi con un adeguato dispositivo difensivo, queste non avrebbero retto l’urto delle armate ottomane ed il volume di fuoco dei loro pezzi di artiglieria. Così nel 1539 l’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya ebbe l’incarico di ricostruire la cinta muraria ed il castello di Lecce. I lavori proseguirono per ventiquattro anni, conferendo alla città l’aspetto tipico della città-fortezza moderna, ossia munita di possenti bastioni capaci di offrire una valida azione difensiva al tiro delle artiglierie. d intervalli più o meno regolari lungo le mura cinquecentesche, particolare interesse riveste il Bastione di San Francesco che, tra l’altro, è anche l’unico conservatosi integralmente sino ai giorni nostri e che ultimamente è stato oggetto di restauro insieme a parte della cinta muraria. In realtà si tratta di un duplice baluardo a tenaglia, composto da due parti a pianta pentagonale, a facce cieche, cioè prive di aperture verso l’esterno, e sviluppati su tre piani: interrato, primo livello e copertura, uniti fra loro grazie ad un corridore o cassero che attualmente al primo piano è privo di copertura ed è fruibile solo al piano interrato. L’interno dei due baluardi presenta una casamatta con varie bocche strombate, alcune delle quali destinate al tiro radente e fiancheggiante. Sui fianchi esterni dei due bastioni in alto si aprono sei troniere (Feritoia, apertura praticata nelle mura di una fortificazione medievale per inserire una bocca da fuoco” Enciclopedia Garzanti) tre invece sono sulle cortine. Gli ambienti interni del duplice bastione, tendenzialmente oscuri, prendono luce da piccoli lucernai posti sulle volte e dalle stesse bocche o troniere. L’intero fronte della difesa ammonta a circa 60 metri articolati su due livelli: uno superiore al livello del fossato, l’altro invece interrato e parzialmente scavato nella roccia sottostante. I due livelli sono separati esteriormente da un toro marcapiano. Sulle mura del bastione si nota un graffito che rappresenta un tipico gentiluomo del XVI secolo, mentre in alto, lungo uno dei fianchi campeggia l’incisione F.D. LOFREDO, riferita a Don Ferrante Loffredo, Governatore delle Provincie di Terra di Bari e di Terra d’Otranto. Inoltre, nel corso dei lavori di restauro, sono venute alla luce alcune pallottole infisse nelle mura, cosa che fa intuire il fatto che il fossato venisse utilizzato come luogo di esecuzione di condanne capitali per fucilazione fra la fine del XVIII e ed i primi quindici anni del XIX secolo. Tale ipotesi è plausibile giacché nel vicinissimo, quasi confinante, Palazzo Giaconia era dislocato il presidio militare delle milizie francesi presenti a Lecce.

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Ex Convento Agostiniani

Il convento degli Agostiniani, insieme alla chiesa di Santa Maria d'Ognibene, è un complesso architettonico della città di Lecce. Fu fondato il 18 aprile 1649, in un'area donata ai monaci dall'università che, dieci anni prima (13 marzo 1639) aveva deliberato di accogliere in città l'ordine agostiniano. Questi ultimi andarono via con la soppressione dell'ordine nel 1810 e dopo vi furono fino al 1866 i minori osservanti che fondarono una scuola di filosofia esistita fino al 1852. Senza nessun motivo di rilievo, la chiesa fu poi sconsacrata e diventò prima magazzino comunale e poi sartoria militare fino agli anni sessanta del XX secolo. Il complesso architettonico è costituito da una parte storicamente rilevante, corrispondente all'antico monastero degli Agostiniani scalzi e da un'area recintata del giardino nel quale sono ubicate le strutture dei vecchi ambienti militari di servizio già adibite a depositi. Attigua al convento è la chiesa barocca, conosciuta anche come "Santa Maria di Ognibene", a due ordini e con ancora quattro statue nelle loro nicchie. La facciata è conclusa da un timpano spezzato che accoglie la statua della Madonna col Bambino. L'interno è a navata unica e a croce latina, con tre cappelle per lato e intercomunicanti. L'altare maggiore non è più esistente, mentre ai lati sono rimasti a sinistra di chi entra, quattro altari di età barocca e a destra quattro altari di periodo ottocentesco. Al centro della crociera si innalza una cupola. La chiesa veniva anche chiamata dei Coronatelli in quanto i Padri Agostiniani scalzi veneravano la Vergine Incoronata. L'intero complesso architettonico è stato restaurato ed aperto al pubblico nel maggio del 2017 con il completamento degli spazi esterni e del Giardino di Ogni Bene, il giardino produttivo con frutteto caratterizzato da specie arboree autoctone e tipiche del paesaggio agrario salentino (querce, cipressi e specie da frutto) ed orti ornamentali con specie erbacee perenni aromatiche e da fiore. Scarse e frammentarie sono le notizie riferibili al giardino. Da alcuni atti di vendita trovati presso l’Archivio di Stato si ha notizia che lo stesso fosse noto come Giardino d’Ogni Bene e che la sua superficie fosse originariamente ben più vasta dell’attuale. Gli stessi documenti testimoniano che il giardino ha avuto sin dalla sua origine una funzione prevalentemente produttiva. Documentabile era la presenza di fichi, melograni, viti ed agrumi. Nel tempo con l’alternarsi di diversi proprietari e destinazioni d’uso, con lunghi periodi di abbandono fino ai nostri giorni, il giardino aveva perso per intero il suo assetto stratificato. L’assetto attuale del giardino, con la sua sobria compartimentazione in aiuole regolari disposte lungo assi ortogonali, è frutto di una rievocazione progettuale che tende a suggerire quali potessero essere le coltivazioni presenti un tempo. La distribuzione e ripetizione di aiuole di dimensioni e geometrie simili sono un chiaro riferimento sia al tema della classificazione botanica, che alla semplice orditura dei campi in piccole parcelle. L’impiego di materiali lapidei tipici della tradizione locale, accanto ad altri di uso più attuale, non tradisce la chiara datazione contemporanea del giardino. Il giardino di Ogni Bene Il giardino è suddiviso in aree riconoscibili: il frutteto con gli orti ornamentali con specie erbacee aromatiche, la vigna con i vitigni tipici del Salento, la piazza degli alberi di Giuda, un viale con bellissimi melograni, il giardino dei fiori ed il percorso perimetrale con specie tipiche della macchia mediterranea. Tutti gli alberi e una parte delle specie vegetali è provvista di cartellini per l’identificazione botanica. Il pergolato in pietra leccese abbellito da glicini ed iris, è stato ricostruito e posizionato sull’asse di un’analoga struttura, documentata nell’ambito della sorveglianza archeologica, verosimilmente risalente al periodo dell’occupazione militare del convento. Il giardino ha una forte valenza didattica per chi ama le piante ed osservare il loro mutare nelle diverse stagioni ed invita ad una fruizione rispettosa dei luoghi e della bellezza e fragilità della natura.

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Chiesa Santa Maria degli Angeli

La chiesa di Santa Maria degli Angeli, insieme all'attiguo monastero dei Minimi di San Francesco da Paola, è una chiesa del centro storico di Lecce. Fu realizzata a partire dal 1524 per volontà testamentaria del nobile fiorentino Bernando Peruzzi. Subì, nel corso dei secoli, vari rifacimenti che ne modificarono parzialmente l'aspetto originario. La chiesa fu a lungo annessa al convento dei Francescani Minimi, contiguo alla chiesa, adibito a carcere dopo le soppressioni seguite all'unità d'Italia e poi a caserma qual è ancora oggi. I recenti restauri (2013) dei tre locali annessi alla chiesa ed adibiti a sacrestia hanno portato alla luce un interessante ciclo di affreschi dedicati al Terz'Ordine dei Minimi. La chiesa è ad oggi una rettoria. Vi si celebra la Santa Messa in Rito Romano tradizionale in Latino secondo le disposizioni del motu proprio Summorum Pontificum nella mattina di ogni giorno festivo. La facciata monocuspidale ha un profilo a terminazione piatta in corrispondenza delle navate laterali e a salienti spezzati nella parte centrale, il cui andamento è caratterizzato da una teoria di archetti su mensole figurate. È possibile leggere due diversi interventi: uno rinascimentale e uno barocco. Del periodo rinascimentale è il superbo portale, decorato con fregi dallo scultore leccese Gabriele Riccardi. Le colonnine laterali, decorate con motivi floreali, sorreggono l'architrave recante una teoria di fluttuanti amorini su ippocampi. La lunetta superiore, con profilo semicircolare scandito da testine alate e fiancheggiata dagli stemmi dei Peruzzi e dei Maremonte, risulta racchiusa entro una cornice rettangolare; essa ospita al suo interno il gruppo in pietra della Vergine col Bambino incoronata e adorata da angeli, attribuita a Francesco Antonio Zimbalo. Sulla cuspide del prospetto è collocata la statua dell'Arcangelo Michele. Del periodo barocco sono le aggiunte delle finestre laterali. Una duplice teoria di archetti volti su peducci corre lungo il fianco esterno della navata destra: quella superiore sfila riquadrando e sagomando le nicchiette che, nell'ordine inferiore, racchiudono i volti di terziari paolotti. L'edificio presenta un impianto longitudinale a tre navate, con presbiterio a terminazione piatta. L'interno subì nel Settecento, non pochi e insignificanti interventi, quali la rimozione dell'originario pavimento, il rivestimento in stucco delle navate, delle dodici colonne e dei capitelli, e l'aggiunta di altari che, già a partire nel Seicento, vi furono costruiti. Gli altari della chiesa hanno il pregio di essere ciascuno diverso dall'altro per varietà di motivi plastici e per stile. Dei quattordici altari si ricordano; nella navata sinistra: altare della Vergine di Pozzuolo datato 1663, con tela seicentesca raffigurante la Vergine di Pozzuolo e San Fortunato, altare settecentesco con affresco della Vergine della Campana, altare della Strage degli Innocenti con prezioso dipinto attribuito ad Antonio Verrio (XVII secolo) e gli altari della seconda metà del Cinquecento dedicati alla Madonna di Costantinopoli con i Santi Caterina d'Alessandria e Michele Arcangelo (tela datata 1564 di Gianserio Strafella) e a San Francesco da Paola. Nella navata destra: altare dell'Annunciazione del 1726, altare della Natività della Beata Vergine Maria con tela di scuola veneta dell'inizio del XVII secolo e altare di San Carlo Borromeo (inizio XVII secolo). Nel presbiterio trovano collocazione le due tele della Vergine bambina con i SS. Gioacchino e Anna e della Presentazione al Tempio proveniente dalla distrutta chiesa francescana di Santa Maria del Tempio. In una nicchia sopra l'altare trova posto una pregevole Madonna realizzata in cartapesta ingessata verso della fine del XIX secolo.

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Chiesa San Giovanni Evangelista

La chiesa di San Giovanni Evangelista è una chiesa di Lecce situata nel centro storico della città, in Corte Accardo. La chiesa, con annesso monastero delle Benedettine, venne assoggettata alla diretta dipendenza del pontefice, da Anacleto II. Vanta una storia illustre, in quanto significativamente rappresentativa delle vicende politiche, sociali, economiche e religiose della Terra d'Otranto, dal Medioevo all'Ottocento. La sua fondazione fu voluta dal conte normanno Accardo II, nel 1133, il quale donò il casale di Cisterno alle Benedettine. Privilegiato dalla tradizione che, tra le prime badesse, novera una sorella e una figlia del conte Accardo e una congiunta di re Tancredi d'Altavilla, San Giovanni divenne il monastero la cui comunità di claustrali fu, per molti secoli, formata da fanciulle della più facoltosa aristocrazia salentina. Inoltre costituì l'ente al cui vistoso patrimonio appartenevano interi casali e il centro, non solo di rapporti con pontefici e sovrani, ma anche di una condizione sociale, di un prestigio religioso e di un'influenza artistica di considerevole importanza che viene documentato dal prezioso archivio, dal tesoro di sacri arredi e paramenti, entrambi conservati nel monastero, e dalla sopravvivenza - unico tra tutti i monasteri cittadini - alle soppressioni, pur dopo l'incameramento statale dei beni ecclesiastici che spogliò San Giovanni di ogni sostanza. Nonostante la fondazione del complesso risale al XII secolo, ben poco rimane della originaria struttura. Le fabbriche rivelano un'assortita rassegna di opere riferibili ai secoli XVI-XVIII. Interno Alla prima metà del Cinquecento appartiene, infatti, la quadrata torre campanaria costruita a più piani e adorna di archetti trilobi e di transenne lapidee alle monofore, mentre risalente al 1607 è la fabbrica della chiesa, nel cui prospetto monocuspidale è posizionata la statua in pietra leccese di San Benedetto. L'interno della chiesa, ad unica navata e a croce latina, rappresenta la più fedele espressione di un interno claustrale del Seicento leccese e la più cordiale testimonianza di un gusto sfarzoso e mirabilmente elegante. Di notevole colpo d'occhio sono il seicentesco soffitto ligneo a lacunari intagliati e dorati animato di tele, il settecentesco pavimento maiolicato, l'altare maggiore risalente al secolo XVIII ed ornato dal policromo gruppo ligneo del San Giovanni Evangelista in Gloria e il pulpito in stile rococò. Nella navata sono presenti quattro altari, dei quali due risalgono alla prima metà del Seicento, gli altri due, dedicati a San Benedetto e a Santa Scolastica, sono datati 1697. Nel transetto, insistono altri due altari di epoca settecentesca, per i quali il pittore Serafino Elmo dipinse l'Ascensione di Cristo e l'Adorazione dei Pastori. I molti dipinti, distribuiti nella chiesa come negli ambienti del vasto monastero, fanno di San Giovanni una vera e propria pinacoteca della pittura locale dal Quattrocento - cui risale un affresco della Vergine nel chiostro - fino alla prima metà del XIX secolo.

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Chiesa di San Nicola dei Greci

La chiesa di San Niccolò dei Greci (anche : San Nicola di Mira; Klisha e Shën Kollit in arbëresh), nota come "chiesa greca"[1], sorge nel centro storico di Lecce. È sede della parrocchia di San Nicola di Mira appartenente all'Eparchia di Lungro[2]; al suo interno si svolgono funzioni di Rito bizantino. Dalla fine del XV secolo una forte migrazione di popolazioni albanesi aveva interessato l'Italia, in particolare l'area meridionale, spinti dalle persecuzioni ottomane verso l'esilio per la libertà di culto e etnico-sociale. Gli albanesi in Italia avevano edificato nuove comunità in tutta Italia, anche nella provincia di Salento e nel tempo piccoli gruppi si erano trasferiti nella città di Lecce, creando una comunità compatta e omogenea, con una propria chiesa in rito bizantino. La storia delle comunità di rito bizantino, assai numerose in Terra d'Otranto, trova un'importante testimonianza nella Chiesa di San Nicolò dei Greci, parrocchia della colonia albanese e greca residente in città. Fino al 1575, la parrocchia San Niccolò dei Greci ebbe la sua sede in una cappella con annessa casa canonica[3], ubicata dove attualmente sorge la Chiesa del Gesù in Piazzetta Castromediano. Concessa l'area ai Gesuiti, la cappella venne distrutta e la colonia greca fu costretta a trasferirsi in altre chiese, fino a trovare definitiva sistemazione in quella di San Giovanni del Malato che fu riconsacrato a San Nicolò, detta dei Greci per i suoi riti orientali definiti greci (greco-cattolici).[4] La chiesa risale probabilmente agli stanziamenti bizantini dell'Italia meridionale (IX secolo). Nel 1765, su disegno dei architetti Francesco Palma, Lazzaro Marsione, Lazzaro Lombardo e Vincenzo Carrozzao, l'edificio fu ricostruito venendo così ad assumere l'attuale connotazione tardobarocca con l'altare ad est [verso il sorgere del sole] e l'ingresso ad ovest [verso il tramonto] secondo l'architettura bizantina.[4] La semplice facciata risulta tripartita da un doppio ordine di paraste, scandite orizzontalmente da una trabeazione. All'unico portale, con lunetta dal cartiglio barocco, corrisponde in alzato una finestra dal profilo mistilieno. L'ordine superiore, chiuso lateralmente da pinnacoli, risulta, movimentato, alleggerita da una decorazione a girali lapidei. Lo spazio interno presenta uno sviluppo ad aula unica monoabsidata, scandita in tre campate coperta a volta. Alcuni saggi, effettuati in occasione dei restauri, hanno individuato l'impianto dell'antica chiesa di fondazione medioevale, a tre navate chiuse da abside con tracce di affreschi, ancora visibili nell'attuale zona absidale. Iconostasi L'articolazione dello spazio liturgico riflette la funzionalità di chiesa bizantina. L'aula destinata ai fedeli è, infatti, separata dalla zona dell'altare (bema) tramite l'iconostasi in pietra leccese che, dotata di tre ingressi, accoglie tavole dipinte. Nel registro inferiore, allocate negli spazi tra le porte, sono le quattro icone raffiguranti [da sinistra] San Giovanni Battista, la Vergine col Bambino (Hodigitria), Gesù Sommo Sacerdote, San Nicola, delle quali le ultime tre conservano l'originaria stesura cinquecentesca. I dipinti della porta centrale, detta Reale, e di quelle laterali, rispettivamente con il “Noli me tangere” (non mi toccare), gli Arcangeli Michele e Gabriele, sono attribuiti a un pittore pugliese attivo tra il XVII e il XVIII secolo. Nel registro superiore sono la sequenza dei Dodici Apostoli fiancheggiata lateralmente dalle scene (quattro per lato) della vita di Cristo e della Vergine, il Crocifisso svettante al di sopra delle tre tavole della Deesis e inquadrato dalle immagini della Vergine Addolorata e di San Giovanni Evangelista. L'altare, che si trova dietro l'iconostasi, ha, secondo i canoni della liturgia bizantina, due mense laterali, la protesi a sinistra e il diaconicon, ed altre tavolette come la Trinità e la Vergine in trono, quest'ultima per la porticina della custodia. Demetrio Bogdano: San Spiridione in trono, 1775 Degna di nota sono le tavole del Cristo Morto e di San Spiridione in trono, datate 1775. quest'ultima realizzata su un dipinto precedente e firmata da papàs Demetrio Bogdano (Dhimitër Bogdani; 1753-1841), prete-pittore, originario di Corfù. Bogdano fu parroco della chiesa fino al 1841 e intervenne sull'iconostasi dipingendo ex novo o ridipingendo alcune tavole. Dai pittori cretesi attivi a Venezia la comunità greca di Lecce acquistò alcune tavole; certamente la Hodigitria, il Cristo re dei re e San Nicola.[5] Segno ininterrotto della tradizione bizantina in Terra d'Otranto, la chiesa è ancora oggi parrocchia di rito bizantino, dipendente dall'Eparchia di Lungro, in provincia di Cosenza. La divina liturgia viene celebrato in greco antico o in albanese. La preminenza della lingua greca nelle feste maggiori, in passato, ha fatto sì che queste popolazioni fossero scambiate per greche e non riconosciute per albanesi. Questo perché, sino all'Alto Medioevo, la lingua più utilizzata nella Chiesa d'Oriente, pur nella diversità di popolazioni ed etnie, era il greco antico (caso simile nella Chiesa d'Occidente in cui lo era il latino). Il suo santo patrono è San Nicola di Mira, un santo molto venerato dalle comunità albanesi, che si chiamano arbëreshë. La chiesa di San Niccolò dei Greci è la parrocchia della comunità arbëreshe residente a Lecce. Oggi la parrocchia possiede anche nuove icone in stile bizantino.

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Chiesa San Antonio a Fulgenzio

la Chiesa di S. Antonio di Padova, nota come il Fulgenzio, ‘a chiesa ti monaci’. Sorprendente nel suo equilibrio esteriore, travolgente nel suo fascino interno. Fu consacrata il 10 aprile 1910 e dedicata a Sant’ Antonio da Padova. I frati, per l’occasione, fecero realizzare da un famoso cartapestaio leccese del tempo, Salvatore Sacquegna, una statua del santo col Bambin Gesù tra le braccia, dando spazio alla devozione popolare verso il santo. A dire il vero, lo stesso Sacquegna realizzò per i religiosi francescani la meravigliosa statua di San Francesco completamente scalzo, con lo sguardo fisso sul Crocifisso che stringe nella mano destra, mentre la sinistra tocca la ferita del costato. Un’immagine che non ha bisogno di commenti e che esprime l’essenza della spiritualità francescana che caratterizza, da sempre, questo luogo. Link Sponsorizzato Col passare del tempo la chiesa è stata arricchita di importanti opere d’arte: il pavimento musivo dei fratelli Peluso di Tricase, ancora compatto nella sua semplicità, eseguito con la tecnica del ‘litocemento armato con effetto mosaico’, gli altari di Ariosto Ammassari e di Ettore Pesci, le tele di artisti solentini, le pitture a muro di padre Raffaello Pantaloni, il pulpito, sul quale fu scolpito il simbolo francescano, realizzato da Bartolomeo Gravina di Castellaneta. Solo per citare alcune opere che qui si possono ammirare. L’ideatore e il direttore dei lavori fu il noto ingegnere Carmelo Franco di Lecce, autore anche del Collegio Argento e di altri importanti palazzi della città; i due principali ‘capimastri’ o maestri muratori furono Carmelo Cappello e Giuseppe Anguilla. La Chiesa di S. Antonio nel quartiere di Fulgenzio fu realizzata, seconda gli usi del tempo, nello stile neogotico pugliese: “Infatti l’edificio mostra – precisa Tommaso Leopizzi – una facciata tipicamente romanica a cuspide fornita di archetti pensili con un grande rosone nella parte alta scandito da una triplice cornice circolare mutuata dai monumenti normanni, e da tre finestre in stile gotico nella parte mediana che sormontano il portale ogivale”. L’intera facciata è racchiusa tra due alte torri, resa più leggera da monofore, bifore e trifore nei tre piani. Nel 1947 nella torre di destra fu collocato un concerto di otto campane ad opera di una ditta di Campobasso, Marinelli di Agnano. Nella parte alta dei due campanili si possono osservare gli archetti pensili di origine romanica e alcune croci traforate di chiara derivazione palestinese dei Cavalieri del Santo Sepolcro, a motivo, probabilmente, dell’appartenenza della nobile benefattrice Donna Letizia Balsamo al suddetto Ordine Cavalleresco. La cupola, rifatta nel 1925 su progetto dell’ingegnere Francesco Buonerba, dona un senso di completezza e di armonia a tutta la struttura. Da ammirare anche il portone in legno massello sormontato da un pannello ogivale in bassorilievo, che raffigura la gloria di Sant’Antonio e realizzato in bronzo dalla mano di Marcello Gennari nel 1983. Se all’esterno prevale lo stile romanico, con tratti gotici, l’interno è strutturato secondo uno pianta neogotica. Una grande navata centrale, con due navate laterali molto strette, divise da fascioni di colonne sormontate da simbolici capitelli, formano delle piccole cappelle con significativi altari. Le tre absidi sono coperte da semicupole. I raggi del sole, che penetrano dalle sei aperture circolari poste in alto al centro di ogni campata e attraverso il rosone, rendono unica e suggestiva l’atmosfera in questo luogo sacro. In una città in cui lo stile barocco firma e caratterizza palazzi e chiese, il passo del turista e il cuore del viandante respirano leggerezza incrociando e incontrando ‘il Fulgenzio’. Una leggerezza che rapisce, spinge a varcare il portone e a restare in silenzio. Perché ogni cosa, altari e opere d’arte, profumi e suoni richiamano frate Francesco. Ed è come se lo sguardo del pellegrino, del fedele abituale o semplicemente del curioso fosse rapito verso l’alto, ‘perdendosi’ in un abbraccio di Luce.

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