Activity

Padova

Download

Trail photos

Photo ofPadova Photo ofPadova Photo ofPadova

Author

Trail stats

Distance
14.01 mi
Elevation gain
13 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
13 ft
Max elevation
72 ft
TrailRank 
64
Min elevation
36 ft
Trail type
Loop
Moving time
3 hours 25 minutes
Time
8 hours 31 minutes
Coordinates
3125
Uploaded
July 21, 2023
Recorded
July 2023
Be the first to clap
Share

near Roman catholic Diocese of Padova, Veneto (Italia)

Viewed 110 times, downloaded 3 times

Trail photos

Photo ofPadova Photo ofPadova Photo ofPadova

Itinerary description

Padova è famosa per essere “ la città dei tre senza”: La città con il caffè senza porte (caffè Pedrocchi), con il santo senza nome (basilica di Sant’Antonio) e con il prato senza erba, ovvero Prato della Valle. Quest’ultima è la seconda piazza più grande d’Europa, riconoscibile per la forma ellittica dell’isola Memmia, che si trova al suo centro. Si parla di isola perché è circondata da una canaletta contornata dalle 78 iconiche statue di pietra, che contrastano con i colori attorno. L’isola è accessibile da quattro ponti e divisa da altrettanti viali che convergono verso il centro dove è presente una fontana, classico luogo di aggregazione serale dei padovani. In primavera ed estate è frequentata da folle di persone distese a prendere il sole o leggere un libro in tranquillità, seduti sulle sponde dell’isola, mentre dall’imbrunire fino alla sera si riempie di giovani, di vociare e musica. Il sabato invece, l’ellisse di Prato e pietra scompare dietro le tende dei tantissimi banchi del grande mercato che occupa l’intera piazza… il vociare e anche l’indice di orientamento serale per il centro storico: capirete subito quando vi state avvicinando alle altre piazze, il trio Frutta-Erbe-Signori. Erbe e Frutta sono le due piazze divise dal palazzo della regione, famose per i mercati mattutini e per l’orario aperitivo (con i tanti bar storici che vi si affacciano). La più vivace alla sera è senza dubbio Piazza dei Signori, che con la bella stagione è sempre stracolma di gente che siete ai tavolini dei locali che la ricoprono interamente oppure sugli scalini della loggia Marciana. Ma il simbolo della piazza dei signori è la sontuosa torre dell’orologio, che attraverso il suo arco diventa il portale d’accesso a un’altra piazza padovana, una chicca: piazza Capitaniato. Originariamente era la corte della reggia carrarese e oggi è il fulcro del tran tran studentesco che frequenta le lezioni all’interno di palazzo Liviano (progettato da Gio Ponti). La piazza è attorniata da vecchia esemplari di Sofora che con il loro leggero fogliame creano un cappello che ricopre e rinfresca la piazza. Nei periodi di laurea, come da tradizione, sui tronchi degli alberi vengono affissi papiri.atmosfera elettrizzante: tra le foglie di studenti, i bar e i locali, non c’è piazza migliore per passare lunghe sere che si affacciano alla notte.poco distante da qui, se attraversate di nuovo il volto dell’orologio, girate a sinistra e dopo pochi passi vi troverete in Piazza Duomo. Anche questa è una piazza molto frequentata grazie alla presenza di alcuni bar dalla vocazione notturna, che accompagnano la movida fino alla notte. se ci capitate di giorno il battistero è metà obbligatoria: famoso per il ciclo di affreschi di Giusto de’ Menabuoi, con l’ipnotica serie di angeli che riempiono a raggiera l’intera cupola (una delle cose più emozionante della città).da qui, se voleste scoprire altri bellissimi scorci, imboccate via degli Obizzi e addentratevi nel ghetto ebraico, un quartiere con altri locali, bar e osterie tipiche.
Percorrendo invece la bellissima via del Santo si raggiunge Piazza del Santo, celebre per il monumento equestre al gatta melata di Donatello, ottima da visitare la mattina e abbinare alla visita della basilica di Sant’Antonio una colazione.
La basilica è spettacolare: la sua cappella delle reliquie, la cappella del beato Luca Belludi affrescata dal de’ Menabuoi, il chiostro della magnolia, tutto è una botta agli occhi che stringe lo stomaco.
Nonostante stiamo parlando di piazze, occorre anche parlare della zona di Porta portello, che per la sua bellezza e posizione strategica, vicino ai navigli è un punto di aggregazione per gli studenti e per i giovani padovani. serata clou: il mercoledì universitario. Infine, l’ultima piazza e cito è Piazza Antenore, diventata simbolo della leggenda della fondazione di Padova. Secondo Virgilio fu appunto il principe troiano Antenore a fondarla nel 1184 a.C.

Partendo dal presupposto che Padova è un museo a cielo aperto e che improvvisando una passeggiata si possono scoprire sempre luoghi e storie interessanti, per non perdervi alcune meraviglie e meglio organizzarsi. Infatti se volete vedere uno dei cuori pulsanti della storia dell’arte a Padova dovrete prenotare con largo anticipo per assicurarmi l’accesso. Parlo della cappella degli Scrovegni, la cui vita è un’esperienza particolare che dura massimo 30 minuti, metà dei quali passerete nel C.T.A. (corpo tecnologico attrezzato di accesso) in una sala di compensazione utile alla stabilizzazione del microclima interno. Condividerete il momento con massimo 25 persone. Nel lasso di tempo d’attesa sembrerà di far parte di una spedizione scientifica top secret. Un’attesa che viene ripagata dal momento in cui entrate all’interno della cappella, dove Giotto ha praticato i suoi primi esempi sulla resa prospettica: non si può non rimanere incantati di fronte al ciclo pittorico al maestro, patrimonio UNESCO. 15 minuti con il naso all’insù per scrutarne ogni dettaglio e perdere lo sguardo sulla volta stellata, per poi uscire e di trovarsi all’interno dei giardini dell’arena. La cappella fa parte del complesso dei musei civici agli eremitani che comprendono il museo archeologico e il museo d’arte medievale e moderna. Tornando a parlare di passeggiate è possibile costeggiare resti delle mura della città e visitarne le sue famose porte cinquecentesche: porta Liviana (detta Pontecorvo), San Giovanni, Santa Croce, Savonarola e Ogni Santi (detta portello). Padova è una città di porte ma anche di ponti, perlopiù di origine romana: i veri Belvedere della città dei quali si può comprendere la sua importante relazione con l’acqua e i canali che la bagnano. Uno dei più panoramici è Ponte Molino. Invece dal ponte di Ferro (passerella di San Benedetto) nel mese di giugno, potete respirare il profumo pungente dei tigli in fiore e scrutare all’orizzonte il ponte dei Tadi. Se proseguite a piedi percorrendo tutta la Riviera Paleocapa, arriverete al ponte omonimo e ammirerete un altro monumento padovano, la Specola, sede museale dell’osservatorio astronomico. Qui incontrerete un’altra particolarità, la Madonna dell’acqua lurida. Altri scorci sulla città, altri punti: ponte San Gregorio Barbarigo, ponte San Leonardo, ponte della Morte, ponte di San Lorenzo, ponte Sant’Agostino. Non si può poi non parlare dell’università, tra le più antiche al mondo, più di 800 anni. Palazzo boh è uno dei fulcri principali e merita una visita per il suo cortile antico con la moltitudine di stemmi che adornano le pareti, per il teatro anatomico, per la sala dei 40 dove si trova la cattedra di Galileo Galilei, per la scala del sapere di Gio Ponti affrescata con le personificazioni delle discipline in onore degli studenti caduti durante i conflitti, per il cortile nuovo con le opere di artisti contemporanei come Jannis Kounellis e Gio Pomodoro. A proposito di Gio Ponti, un altro suo intervento importante in città e palazzo Liviano, famoso per la sala dei giganti per il museo di scienze archeologiche d’arte, dove le collezioni sono allestite tra gli arredi e l’uso magistrale dei colori di Ponti. Altra situazione storica che merita di essere citata è il teatro Verdi, sede del teatro stabile del Veneto, costruito quasi un secolo fa e ristrutturato dopo i bombardamenti durante il primo conflitto, “post fata artium auspicio resurgo“ é la frase che è stata dipinta sulla sua cupola dopo la ricostruzione. Da citare anche il palazzo della regione la sede originaria dei tribunali cittadini e del Sotto Salone, nome derivante dall’unica grande sala che caratterizza il palazzo. L’antico mercato aperto, con le sue botteghe, enoteche bar è da secoli la culla della tradizione enogastronomica veneta.

Ecco altri posti per mangiare, bere o divertirsi:

- Bar Nazionale [per in classico aperitivo, o la specialità del locale: il famoso tramezzino caldo, tostato fuori e morbido dentro. Ottimo locale sia per l’aperitivo che per le pause pranzo].
- Dalla Zita [pausa veloce ma soddisfacente. Bar storico in cui i panini la fanno da padrona e sono un’eccellenza. Una parete interna tappezzata di cartoncini colorati descrivono tutti gli ingredienti dei panini].
- La Folperia [è un’istituzione padovana per lo Street food il loro chiosco è inconfondibile vi accoglieranno con gentilezza portare avanti la tradizione antica dei folpari. Pesce freschissimo proveniente dal mercato di Chioggia. La loro specialità elfo al petto ovviamente è un moscardini bollito condito con limone fresco e prezzemolo. E tra questo cavallo di battaglia tutti gli altri pasti non sono da meno in base alla stagione potete provare i bovietti (lumache di terra), le mocche fritte (i granchi pescati durante la fase di muta), la frittura di pesce e tanto altro…].
- birrificio crack Casana [giardino, terrazza, cucina una pizza che si chiama briciola, di cui si racconta la leggerezza ariosa dell’impasto, e ovviamente le birre in lattina più celebri e iconiche dello stivale].
- il bar Mario [luogo leggendario di incontro della goliardia patatina che si trova all’interno del Bo. Piccolo locale ricoperto di cimeli opere d’arte di Amen e tantissime foto che racconta la storia del locale. Dovete ordinare il famoso polifonico apri tipo misterioso dico non è mai stato indovinato la ricetta].
- la Moscheta [enoteca storica dello stile classico tempio per appassionati del vino, selezione di vini del territorio tra classici affettati e formaggi e tipici cicchetti. Assolutamente da provare è la gallina in saor ossia carne di gallina bollita condita con cipolla pinoli uvetta rigorosamente accompagnata con della polenta bianca abbrustolita].
- osteria l’anfora [caposaldo della ristorazione propone i piatti tipici. Quando si entra lo sguardo viene rapito dalle pareti ricoperte di quasi oggetti e cose curiose da provare sicuramente gli spaghetti con le vongole o il baccalà oppure i bigoli con i loro sughi carne da abbinare un bel bicchiere di vino. Se dovesse rimanere un po’ di spazio la specialità è la torta soffici al cioccolato e pere, cannella peperoncino].
- ristorante radici [locale più costoso in una villa storica liberty del 900 ex pellicceria Gazzetti, ma con una attitudine raffinatissima da salottino privato. Lo chef punta tutto sulla scoperta dei sapori sulle sensazioni che siano quando da bambini per la prima volta assaggi una gallinella. O il cotechino. O l’anatra, o il branzino, o le capesante. O il tortello di gallina. O il plin di triglia].
- ristorante belle parti [inserito sotto uno dei tipici porticati padovani con atmosfera elegante raffinata, travi a vista, muri color panna, centrotavola ricercati, tappeti e note jazz in sottofondo. Il crudo delle parti di pesce è famoso in tutta la città per essere di eccellente qualità e freschezza, baccalà mantecato chiamato “bianco perla” e poi gli spaghetti cacio e pepe e scampi, abbinamenti insoliti e prelibati con attenzione alla stagionalità].
- centro culturale Altinate San Gaetano [è un punto di riferimento per la collettività cittadina. Ex convento dei Teatini risalente al 500, poi tribunale comunale, parliamo di 12.000 m quadri su quattro piani di spazio. il centro è famoso per il grande chiostro centrale con copertura vetrata, lo spazio luminosissimo che è teatro di mostre festival eventi e rassegna che attivano Padova grazie alla collaborazione del settore culturale del Comune dell’università… oltre a questo sede della proprietà comunale e di progetto giovani un progetto dell’assessorato alle politiche giovanili del Comune di Padova un luogo di incontro e di co working dove si può semplicemente bere un caffè o ispirarsi tra gli scaffali della biblioteca tra le opere di una mostra].
- NP Artlab [si trova sotto la famosa Specola, sede del museo dell’osservatorio astronomico di Padova.è uno spazio espositivo nato dalla passione collezionistica di Neri Pagnan per l’arte storicizzata del 900, passione che si estesa in seguito verso l’arte emergente. Infatti lo spazio dedicato alla ricerca e a sostegno delle pratiche artistiche contemporanea nazionali e internazionali, attraverso l’organizzazione di eventi espositivi in collaborazione con la curatrice Laura Rositani.la sede è un ex laboratorio di verniciatura restauro è un open space con un’atmosfera luminosa resa dei grandi vetrate che si affacciano sulle acque della Riviera paleocapa].
- MAC Studi d’Artista [progetto dell’area creatività dell’ufficio progetto giovani del Comune di Padova. Qui si supporta la ricerca artistica cercando la connessione con il territorio e la comunità padovana dal 2019.si fanno residenze artistiche negli spazi condivisi in piazza De Gasperi, una zona in fase di rigenerazione urbana che sta puntando tutto sulla trans disciplinari età delle personalità artistiche e culturali coinvolte. alla fine della ricerca dello sviluppo del progetto di ogni artista, viene organizzata la presentazione di questi tramiti talk, mostre o eventi per formativi.insomma qui da MAC si cerca si produce confronto la città].
- Q Bar lounge & restaurant [si chiama così perché del vecchio cinema Quirinetta rimase soltanto la Q, si è quindi negli spazi del cinema di una volta fa da faro alla movida notturna padovana.si fa aperitivi si cena e si aspetta il cambio veste del locale la trasformazione in club con musica live dj set].
- extra extra [chiosco con sapori bucolici è un po’ DIY, quelle cose che impari a godere profondamente dopo un triennio al politecnico: le lucine appese, pile di pallet, veranda, alberi, sedie colorate, laterizio… insomma, una cascina moderna. Ottimo menù, ottimi cocktail, dj set, festa una volta si e l’altra pure, con quel classico crescendo che vede un branch con lasagnette ai carciofi finire in una serata a tema Baywatch tra il rosso e il petto nudo].
- villa barbieri [i signori barbieri nel 1919 vantano dimensione dell’Aperol e questa era la loro villa in campagna Benedetto l’alcol che oltre essere buono fa storia e c’è pure dato la villa barbieri dove la vacanza estiva di smette i toni agresti del rilassamento e recupera con quell’house commercialissima che non smette mai di infiammare toni di tutto quello che non è Milano. Si alternano anche serate piccanti latino americane concerti pop e classico reggae. Multifunzionale: menù alla carta e pizza da accompagnare ovviamente uno spritz prima di lanciarsi in pista].

Waypoints

PictographCar park Altitude 49 ft
Photo ofParcheggi breccia di Santa Giustina Photo ofParcheggi breccia di Santa Giustina Photo ofParcheggi breccia di Santa Giustina

Parcheggi breccia di Santa Giustina

Alcuni parcheggi in via Fabrici Girolamo d’Acquapendente possono essere una alternativa a quelli a pagamento presso Prato della Valle. Su questa via davanti all'ingresso della pista di pattinaggio, ci sono anche grandi alberi che potranno tenere al fresco l’auto per qualche ora. Da qui si può già vedere svettare il campanile dell'Abazia di Santa Giustina oltre le ringhiere del roseto di Santa Giustina. Iniziare il cammino percorrendo le mura della caserma Oreste Salomone verso i giardini Appiani e lo stadio a sinistra, quindi prendere a destra Via Cinquantesimo Fanteria per raggiungere il parcheggio a pagamento di piazza Rabin presso Prato della Valle.

PictographCar park Altitude 43 ft
Photo ofParcheggio a pagamento Piazza Rabin presso Prato della Valle Photo ofParcheggio a pagamento Piazza Rabin presso Prato della Valle Photo ofParcheggio a pagamento Piazza Rabin presso Prato della Valle

Parcheggio a pagamento Piazza Rabin presso Prato della Valle

Qui si trova il grande parcheggio a pagamento di Prato della Valle, con vari alberi non troppo alti che però daranno un po' di ombra all'auto parcheggiata per diverse ore del giorno. I prezzi sono esposti all'ingresso e vicino alle macchinette per pagare. Massimo della spesa giornaliera è comunque di 15€. Dal parcheggio, passate sotto il grande arco dell'Ex foro Boario e vi troverete nella piazza di Prato della valle. Passando le strisce pedonali a destra, in lontananza, vedrete una chiesa. È la chiesa di Santa Giustina, la chiesa più grande della città (e all'undicesimo posto nel mondo), caratteristica per il campanile, le otto cupole e la facciata mai terminata. Dalle origini nel V secolo fino alla ricostruzione dopo il terremoto del 1117 e alla demolizione per dar posto al colosso cinquecentesco, questa basilica benedettina ha cambiato aspetto più volte. Le sue navate dagli enormi pilastri offrono refrigerio nelle afose giornate estive. Da vedere la pala del Veronese (Martirio della Santa Titolare, 1575). Per vedere il Coro Vecchio e l'architrave del portale romanico bisogna chiedere alla portineria del monastero (info tel. +39 049 8220411), di cui si possono visitare i chiostri Attenzione: se vuoi ammirare Prato della Valle in tutta la sua grandezza, evita di andarci di sabato, giorno del mercato. Il mercato locale (vestiti, fiori e oggetti) ingombra la piazza, ma può essere carino fare un giretto per trovare delle occasioni. Invece se sei alla ricerca di "robe vecie" vai la terza domenica del mese, quando la piazza ospita il mercatino dell'antiquariato.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofPrato della Valle Photo ofPrato della Valle Photo ofPrato della Valle

Prato della Valle

il Prato della Valle, "la più grande piazza d'Europa" (88620 mq). La sua origine risale al 1775, quando il procuratore veneziano Andrea Memmo decise di creare un nuovo centro commerciale cittadino, uno spazio adatto per fiere e manifestazioni. Così fece bonificare la zona, a quell'epoca paludosa. La parte centrale, nota anche come Isola Memmia, è oggi un immenso prato verde, circondato da 78 statue di celebri personaggi del passato. Qui nelle giornate di sole turisti e padovani si fermano a riposare. Soprattutto di sera l'anello esterno all'Isola Memmia diventa una pista per i pattinatori e d'estate il prato è un luogo di ritrovo per i giovani. Sulla piazza si affaccia la Loggia Amulea, che prende il nome da colui che inizialmente ne possedeva il palazzo, che veniva utilizzato come collegio per i giovani nobili veneti: il cardinale Antonio da Mula o Amuleo. Inoltre, intorno al Seicento, il palazzo veniva utilizzato come luogo di accoglienza per le personalità importanti in occasioni speciali, come spettacoli, circhi o corse di cavalli. L’incendio del 1822, però, distrusse il vecchio edificio ed il Comune della città di Padova decise di farne costruire uno nuovo con la fronte di Loggia. L’idea, al principio, era quella di dividere le sale del nuovo palazzo in caffè, sale da ballo, sale da gioco e teatri, ma poi si optò per un uso militare e l’idea iniziale fu abbandonata. Per i lavori di ricostruzione della Loggia vennero presentati vari progetti, come quello dell’ingegnere, architetto e paesaggista italiano Giuseppe Jappelli, che fu poi messo in secondo piano da quello dell’ingegnere Eugenio Maestri. Nel 1860 fu quindi fatto erigere il nuovo edificio, che segue il modello degli edifici Veneziani, in stile neogotico, a due piani con doppia loggia che recupera elementi medievali, come si può vedere dalle decorazioni architettoniche in terracotta di architravi, formelle e lesene. Sulla parete del portico si possono notare dei dettagli storici, come il bassorilievo in bronzo del politico Felice Cavallotti, del pittore G. Rizzo, un medaglione in bronzo di Taglioni, una lapide con iscrizione di Cavalletto in memoria degli studenti padovani caduti nelle guerre di indipendenza ed un sonetto inciso su una tavola di marmo scritto dal famoso poeta vate Gabriele D’Annunzio e dedicato alla città di Padova. Davanti al portico, tra le arcate, si ergono le statue create dallo scultore Vincenzo Vela nel 1865, che raffigurano Dante Alighieri e il caposcuola della pittura italiana Giotto. Al primo piano, la Sala che si affaccia sulla Loggia Amulea, elegante ed intima, è utilizzata per piccoli eventi e cerimonie, come i matrimoni civili, grazie alla sua posizione meravigliosa che fa godere della vista di Prato della Valle, seconda piazza più grande d’Europa, dopo la Piazza Rossa di Mosca. È inoltre quartier generale della Padova Marathon, che si tiene ogni anno in aprile e che vede il suo traguardo nella piazza. La Loggia Amulea è stata sede dei vigili del fuoco dal 1906 al 1989, ora invece ospita alcuni uffici del Comune della città patavina.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofvia Umberto I, Chiesa di San Daniele e la pasticceria Breda Photo ofvia Umberto I, Chiesa di San Daniele e la pasticceria Breda Photo ofvia Umberto I, Chiesa di San Daniele e la pasticceria Breda

via Umberto I, Chiesa di San Daniele e la pasticceria Breda

Date uno sguardo alla piccola Chiesa di San Daniele percorrendo via Umberto I, sulla strada che da Prato della Valle vi porta in centro. Potete fare una sosta per colazione o il pranzo in molti baretti lungo questa via o via Roma. Consiglio la pasticceria Breda che nasce nel 1967 per mano del suo fondatore nonché capo pasticcere di una allora storica pasticceria padovana Plinio Breda il quale, decide di intraprendere la sua attività imprenditoriale e fonda la Pasticceria Breda in Via Umberto I n. 26 dove attualmente si trova. L’offerta della Pasticceria abbraccia la più tradizionale pasticceria padovana (dove fa da padrona la torta Pazientina) ma con un occhio alle tendenze più moderne della pasticceria attuale. Varia anche l’offerta di salato dove spicca il pasticcio di maccheroni in crosta dolce. Il bagno se avete bisogno c’è ma è piccolo e stretto con turca.

Photo ofChiesa di Santa Maria dei Servi su via Roma Photo ofChiesa di Santa Maria dei Servi su via Roma Photo ofChiesa di Santa Maria dei Servi su via Roma

Chiesa di Santa Maria dei Servi su via Roma

Entrate a dare un'occhiata alla Chiesa dei Servi (via Roma) e al suo bel portico del '500. Via Roma è una delle antiche vie di collegamento tra il centro della città e l'area meridionale di Prato della Valle. Al centro della via incontriamo la Chiesa di Santa Maria dei Servi che fu iniziata nel 1372, per volontà di Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara. L'accesso alla Chiesa avviene normalmente per il portale laterale che si apre nel porticato, le cui eleganti arcate (1511) sono rette da colonne di marmo rosso di Verona, provenienti dalla Cappella trecentesca dell'Arca del Santo. La chiesa della Natività della Beata Vergine Maria ai Servi conosciuta come Santa Maria dei Servi o Servi è un edificio religioso trecentesco che si affaccia sulla via Roma (già Sant'Egidio) a Padova. Già dei Servi di Maria, è attualmente chiesa parrocchiale nel vicariato del Basilica Cattedrale di Santa Maria Assunta retta dall'Ordine dei Servi di Maria. Le chiese di San Canziano e San Luca sono sue sussidiarie. Per un periodo le furono sussidiarie anche le scomparse chiese di San Zilio e di Santa Giuliana. La chiesa conserva opere d'arte insigni tra cui il Crocifisso ligneo opera di Donatello. La chiesa fu edificata tra il 1372 e il 1390 per volere di Fina Buzzaccarini, moglie del principe di Padova Francesco il Vecchio Da Carrara. L'edificio sorse sulle rovine del palazzo di Nicolò da Carrara raso al suolo dopo che il proprietario nel 1327 tradì la signoria schierandosi con gli Scaligeri. Nel 1378, alla sua morte, Fina lasciò alla sorella Anna, badessa del convento di San Benedetto, il compito di completare la costruzione della chiesa. Nel 1393 Francesco Novello, figlio di Fina e signore di Padova, affidò la chiesa ai Servi di Maria. La chiesa nel XVI secolo fu oggetto di grandi opere di abbellimento soprattutto ad opera di Bartolomeo da Campolongo che costruì nel 1511 il portico verso la via; furono impiegate le dieci colonne ottagonali di marmo rosso provenienti dalla demolizione della trecentesca Cappella dell'Arca del Santo nella basilica di Sant'Antonio di Padova, in fase di ricostruzione. La chiesa era inserita in un complesso conventuale del quale facevano parte il convento dei Servi di Maria, l'Oratorio di sant'Omobono e quello della fraglia di santa Maria del Parto. Nel 1807 i Padri Serviti furono allontanati e la chiesa fu confiscata e incamerata nei beni del demanio, fu in seguito posta a parrocchia retta dal clero secolare diocesano. Negli anni '20 del '900 l'interno della chiesa fu oggetto di lavori di ripristino che ne recuperarono l'austero aspetto trecentesco. La chiesa fu restituita alla proprietà ecclesiastica solo nel 1963. Di recente è stata oggetto di importanti lavori di restauro. Nel giugno 2014, il Vescovo di Padova ha accolto la richiesta del Superiore dell'Ordine dei Servi di Maria di poter far ritorno nella loro storica Chiesa dopo 207 anni di reggenza da parte del clero secolare. La consegna di incarico è avvenuta il 6 settembre dello stesso anno. Nella chiesa sono sepolti celebri personaggi: il giurista Paolo da Castro e il figlio Angelo, avvocato concistoriale, il padre servita Girolamo Quaini professore di sacra scrittura allo Studio, il conte Emilio Campolongo e Raimondo Forti medici, Girolamo Olzignani e Ottonello Pasino. Il convento ospitò fra' Paolo Sarpi. Accanto al monumentale Altare della Madonna è visibile l'affresco devozionale con Cristo morto e la Vergine e San Giovanni raffigurati a tre quarti; l'affresco è posto all'interno di un'edicola marmorea policroma lombardesca ed è opera di Jacopo Parisati da Montagnana (come si vede dalle iniziali sul petto di San Giovanni) databile agli anni '90 del 1400. Sulla lunetta è raffigurato Dio Padre benedicente, attorniato da angeli, che sta guardando il figlio, il quale ha portato a termine la redenzione del genere umano. Secondo alcuni l'opera fu dono dello stesso pittore che divenne gastaldo della scuola de' Servi nel 1489 ed è considerata come una delle maggiori opere dell'artista rinascimentale. Nel febbraio del 1512, per 15 giorni il crocifisso in pioppo di quasi due metri collocato tra altare e presbiterio sudò sangue dal volto e dalla parte sinistra del petto e il fenomeno si perpetuò sino alla Settimana Santa. Il vescovo Paolo Zabarella riempì un'ampolla del liquido miracoloso. L'evento straordinario riuscì a soverchiare l'importanza artistica dell'opera, tanto che la memoria popolare portò la paternità del famoso artista fiorentino alla statua gotica della Vergine conservata sempre nella chiesa, sino al 2006 quando Marco Ruffini, nella prima edizione delle Vite vasariane conservata a Yale, incontrò la postilla ha ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi a Padoa che portò Francesco Cagliotti, uno dei maggiori studiosi dell'opera di Donatello a confermare la paternità del crocifisso miracoloso a Donato Bardi.[4] Grazie ad un lungo e minuzioso restauro,affidato dalla dott.ssa Elisabetta Francescutti ad Angelo Pizzolongo e a Catia Michielan dei laboratori della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Udine,[5] è stata asportata una patina bronzea applicata nell'Ottocento ed è così tornata alla luce una delle più straordinarie sculture lignee policrome del XV secolo: il pathos, l'anatomia perfetta, la misuratissima e monumentale dimensione umana collocano il Crocifisso dei Servi tra i primi lavori di Donatello. In seguito al restauro il Crocefisso è stato esposto nell'Episcopio di Padova con altri due Crocifissi dell'artista: quello ligneo della basilica di Santa Croce di Firenze e il bronzeo della basilica del Santo della stessa Padova. La mostra Donatello svelato ha avuto in cinque mesi più di ventiduemila visitatori. Alla chiusa della mostra, il 26 luglio 2015, il crocifisso ha fatto ritorno nella sua cappella. Entrando dalla porta laterale, quella verso il portico, si è attratti dal grandioso altare dell'Addolorata posto dirimpetto: è un'opera barocca unica nel suo genere in Veneto e sembra ricollegarsi ai modi del barocco meridionale, con grandi fogliami in marmo di Carrara, marmi policromi e bronzi (i sette dolori della Vergine). La macchina si costruisce attorno ad una statua policroma di età gotica, opera di Rinaldino di Francia e in antico erroneamente attribuita a Donatello. Ai lati due statue ad altezza naturale raffiguranti San Filippo Benizzi e Santa Giuliana Falconieri. L'opera plastica è di Giovanni Bonazza ed è datata 1710. "Angelo disteso" volge lo sguardo alla Madonna mentre regge un nastro con un versetto del libro del Siracide: Gemitus Matris tuae ne obliviscaris (Non dimenticare il pianto di tua Madre), opera di Rinaldino di Francia. Sulla nicchia era posta una Vergine addolorata con Cristo morto di Louis Dorigny, ora in sacrestia. Il presbiterio, preceduto da una lunga balaustra neo-romanica, è occupato dal grande altare maggiore decorato a scaglia, del XVII secolo, coperto da baldacchino barocco. La pala posta sul fondo è di Luca da Reggio e raffigura la Vergine che appare ai fondatori dell'Ordine dei Servi: è datata 1637.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofAndando a piazza Antenore Photo ofAndando a piazza Antenore Photo ofAndando a piazza Antenore

Andando a piazza Antenore

Finita via Roma prendere a destra via San Francesco e raggiungere piazza Antenore. Davanti al palazzo della prefettura, trovi la Tomba di Antenore, un'urna che dal 1283 custodisce le spoglie di un armigero (II – IV secolo d.C.), poi attribuite al leggendario troiano fondatore della città e capostipite dgli antichi veneti. Da queste parti trovi: numerosi negozi caratteristici, di vestiti, oggetti, souvenir sacri e profani, e di dolci tipici lungo tutta via del Santo. In particolare puoi comprare il Dolce del Santo o Dolce Santantonio, che la Regione Veneto ha inserito nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari tradizionali.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofVia di San Francesco, palazzo Zebarella e MUSME Photo ofVia di San Francesco, palazzo Zebarella e MUSME Photo ofVia di San Francesco, palazzo Zebarella e MUSME

Via di San Francesco, palazzo Zebarella e MUSME

Su questa via passerete da: Palazzo Zabarella sede di importanti mostre temporanee (via S. Francesco/sbocco di via del Santo, per informazioni: +39 049 8753100). Più avanti davanti alla chiesa di Santa Margherita è possibile visitare il Musme (Museo di Storia della Medicina), dove potrai scoprire la medicina come non l'hai mai immaginata (via San Francesco 94, info tel. +39 049 658767). Passate quindi la chiesa di San Francesco fino ad arrivare all’incrocio per recarsi alla chiesa del Santo su via Melchiorre Cesarotti.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofIntersezione verso la Cappella del Santo Photo ofIntersezione verso la Cappella del Santo Photo ofIntersezione verso la Cappella del Santo

Intersezione verso la Cappella del Santo

Da via di San Francesco prendere a destra via Melchiorre Cesarotti, passare davanti alla facciata della Cappella della casa del pellegrino fino a raggiungere la chiesa del Santo costeggiandola lateralmente. Raggiunta piazza del Santo, tra le bancarelle che vendono candele, immagini sacre e souvenir svetta il monumento al Gattamelata. Nel 1447 la Repubblica di Venezia celebrò i servizi resi in guerra da questo capitano di ventura (il cui vero nome era Erasmo da Narni) commissionando a Donatello un monumento equestre in bronzo.

PictographWaypoint Altitude 49 ft
Photo ofGli Oratori di San Michele e San Giorgio e la mappa. Photo ofGli Oratori di San Michele e San Giorgio e la mappa. Photo ofGli Oratori di San Michele e San Giorgio e la mappa.

Gli Oratori di San Michele e San Giorgio e la mappa.

Qui vi trovate sulla piazza astintante la chiesa e gli oratori di San Michele e San Giorgio. Trovate una pianta di tutta la struttura proprio a sinistra degli oratori che spiega bene il percorso che potete dare e tutte le varie strutture. La Basilica di Sant'Antonio è il centro religioso più importante della città, meta di migliaia di pellegrini ogni anno. In particolare il 13 giugno, festa del Santo, la città è invasa dai fedeli per la famosa processione. L'esterno è caratteristico per la facciata romanico-lombarda con mattoni a vista e soprattutto per le 8 cupole in stile bizantino. Al suo interno concentra moltissimi capolavori. Tra questi, i bronzi dell'altare maggiore e la Deposizione in pietra, di Donatello; i reliquiari (uno dei quali contiene la lingua del Santo); la cappella del beato Luca Belludi, con affreschi di Giusto de' Menabuoi.

PictographWaypoint Altitude 49 ft
Photo ofEntrando al chiostro della Magnolia Photo ofEntrando al chiostro della Magnolia Photo ofEntrando al chiostro della Magnolia

Entrando al chiostro della Magnolia

Da qui si può entrare nei vari chiostri oppure dall’altro lato uscendo dalla parte sinistra della chiesa. Bellissimi sono questi chiostri del convento: il Chiostro del Noviziato, quattrocentesco, che reca monumenti di Giovanni Minello e Andrea Briosco, il Chiostro del Capitolo o della Magnolia, ricco di ricordi marmorei, che corrisponde al nucleo originario del cenobio, da cui si accede al Chiostro del Generale, in stile gotico, un tempo detto del Refettorio, che conserva tra gli altri il bassorilievo tombale di Giacoma Leonessa, moglie di Erasmo da Narni, detto il Gattemelata; infine il Chiostro del Museo Antoniano che ospita oltre alla Lunetta del Mantenga, sopra citata, le pale d'altare del Tiepolo e tanti altri capolavori artistici. La Biblioteca Antoniana, a cui possono accedere gli studiosi, si trova al piano superiore del Chiostro del Generale. Istituita nel XIII secolo, contiene oltre 85.000 volumi, tra cui 850 codici manoscritti (alcuni risalenti al IX-X secolo), circa 300 incunaboli, oltre 3.000 cinquecentine e un numero imprecisato di opere del Seicento e del Settecento. Tra i testi più notevoli: un Rationale Divinorum Officiorum, di Guillaume Durand, uno dei primi libri stampati con caratteri mobili (1459); una Cosmographia di Claudio Tolomeo con 26 tavole, le prime incise in rame, del 1462; un codice manoscritto con i Sermoni di Sant'Antonio (Codex Thesauri) con postille (1237). Di particolare valore l'Archivio Musicale della Cappella Musicale della Basilica (fondata nel 1486), ove sono custoditi scritti autografi dei maggiori direttori (Francesco Antonio Vallotti), partiture musicali di eminenti artisti (Giuseppe Tartini, primo violinista al Santo), trattati di teoria musicale. Affidato alla cura del Direttore, nella biblioteca è presente anche l'Archivio Antico e Moderno della Veneranda Arca di Sant'Antonio, l'istituzione cittadina preposta alla salvaguardia e alla tutela del complesso antoniano. L'archivio custodisce tutta la documentazione di tale istituzione a partire dal 1396, anno di fondazione. Le opere di oreficeria, le tele, i quadri e i tessuti prima custoditi nella biblioteca si trovano oggi nel Museo Antoniano. IL CHIOSTRO DELLA MAGNOLIA Così chiamato per la maestosa magnolia che grandeggia al centro dello spiazzo erboso. Ma è detto anche «del Capitolo», perché sul lato che si diparte dalla basilica si apre la grande sala del Capitolo, riservata un tempo alle riunioni dei frati e ora trasformata in Cappella. Sul lato opposto è stata aperta nell’anno giubilare 2000 la nuova Penitenzieria. La visita al santuario non è completa senza questo momento fondamentale di riflessione e di rinnovamento interiore, attraverso il sacramento della riconciliazione. Sul lato del chiostro parallelo alla basilica è ubicato l’ufficio accoglienza del «Messaggero di sant’Antonio». È un’editrice nata oltre un secolo fa con lo scopo di continuare a diffondere il messaggio di sant’Antonio, con mezzi e linguaggio adatti all’uomo di oggi. Tra le pubblicazioni primeggia la rivista «Messaggero di sant’Antonio», il mensile cattolico più diffuso d’Italia, che viene stampato anche in un’edizione per gli italiani all’estero e in altre sette edizioni in lingua straniera: inglese, francese, tedesco, rumeno e polacco. L’editrice pubblica anche il mensile «Messaggero dei ragazzi». Notevole inoltre la produzione libraria, con un centinaio di novità l’anno, soprattutto nei settori della liturgia, della spiritualità, del francescanesimo e della cultura religiosa.

PictographWaypoint Altitude 46 ft
Photo ofFontana e la grande Magnolia del Santo Photo ofFontana e la grande Magnolia del Santo Photo ofFontana e la grande Magnolia del Santo

Fontana e la grande Magnolia del Santo

Nel chiostro della grande magnolia (albero monumentale) trovate anche una fontanella con acqua potabile e fresca per riempire le vostre borracce. Inoltre si muri in basso ci sono alcune prese di corrente dove se avete necessita potete sedervi e rilassarvi dall’eventuale calura estiva e mettere in carica il cellulare. (Se state visitando la città sotto al sole questo luogo sarà sicuramente di refrigerio e adatto ad una pausa. Nei pressi trovate anche i bagni.) Detta anche Magnolia di Sant’Antonio. E’ uno splendido esemplare che dal 1810, anno in cui è stata piantata, fa da cornice a questo chiostro detto appunto della Magnolia. Maestosa nella sua semplicità, abbellisce questo luogo, di intenso valore culturale, storico e soprattutto religioso. Circonferenza fusto: 440 cm. Altezza 25 m. Stima Anni 210

PictographWaypoint Altitude 46 ft
Photo ofBagni presso chiostro del beato Luca Photo ofBagni presso chiostro del beato Luca Photo ofBagni presso chiostro del beato Luca

Bagni presso chiostro del beato Luca

Presso il chiostro del beato Luca trovate i bagni pubblici al costo di 50 centesimi ad ingresso, numerosi e puliti. Potrete rinfrescarvi se visitare la città sotto al sole. Se necessitate di 50 centesimi ma non li avete, vicino ai distributori di snack e caffè trovate un cambio monete. Questo chiostro gotico, è dedicato al beato Luca Belludi, compagno di sant’Antonio. La sua forma attuale è stata raggiunta verso la fine del Quat­trocento. Su di esso si affacciano edifici che ospitano importanti istituzioni religiose e culturali come il Centro studi antoniani e il Museo antoniano e della devozione popola­re.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofChiostro del Generale Photo ofChiostro del Generale Photo ofChiostro del Generale

Chiostro del Generale

chiostro detto del Generale perché su di esso si affacciano le stanze che ospitavano il Ministro maggiore dell’Ordine dei francescani conventuali o altre eminenti personalità religiose in visita alla Basilica o alla comunità dei frati del Santo. Non vasto, ma slanciato su sedici colonne, fu eretto nel 1435 in forme tardogotiche su disegno di Cristoforo da Bolzano Vicentino. Dal lato ovest del chiostro si accede alla Mostra Antoniana, piacevole realizzazione audiovisiva sulla vita di sant’Antonio e sulla continuazione della sua opera di Vangelo e Carità nelle iniziative odierne dei frati. La visita è senz’altro un valido complemento a quella del Santuario.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofEntrando nella navata centrale Photo ofEntrando nella navata centrale Photo ofEntrando nella navata centrale

Entrando nella navata centrale

Entrato nella basilica di sant’Antonio da Padova, troverete subito la statua del santo e poi vi si apre alla vista tutta la navata centrale con l’altare maggiore sullo sfondo e le varie panche per le celebrazioni liturgiche. L'altare maggiore è preceduto da una balaustra in marmo rosso (1661) con le statue della Fede, Carità, Temperanza e Speranza di Tiziano Aspetti (1593). Alle pareti dodici bassorilievi in bronzo che rappresentano scene dell'Antico Testamento di Andrea Briosco e Bartolomeo Beliamo. L'altare maggiore, al centro di un'abside ampia circondata da un deambulatorio che porta alla Cappella del Tesoro, è uno dei monumenti più prestigiosi della Basilica, nonché uno dei punti di riferimento del Rinascimento italiano. L'altare fu ideato ed eseguito tra il 1443 e il 1450 da Donatello che fu anche autore delle sculture in bronzo dorato che adornano l'altare. Nel 1591 i bronzi furono smontati e smembrati, ma nel 1895 vennero recuperati e inseriti grazie al restauro di Camillo Boito. Un grande Crocifisso sovrasta la Madonna col Bimbo seduta in trono, circondata dalle statue dei Santi protettori di Padova, Giustina, Antonio, Daniele e Prosdocimo, e dai Santi Ludovico e Francesco. Di Donatello è anche, dietro l'altare, la Deposizione in pietra, mentre il monumentale candelabro (1507-1515) con figurazioni sacre e allegoriche a sinistra è di Andrea Briosco, autore pure di due tra i bassorilievi biblici bronzei alle pareti. A sinistra (in colore bianco) si trova la tomba del Santo A destra troviamo la cappella di San Giacomo e del Santissimo e altre cappelle. La prima cappella a destra, in cui riposa il Gattamelata, fu edificata in stile gotico nel 1458 su richiesta della moglie per accogliere la tomba del marito condottiero. Poi troviamo la Cappella del Crocifisso o del Sacrocuore. La Cappella di S. Giacomo o di S. Felice rappresenta uno straordinario esempio di arte gotica veneziana. Fu realizzata nel 1372 dal capitano dei carraresi Bonifacio dei Lupi di Soragna e fu affrescata da Altichiero da Zevio (Leggenda di S. Giacomo e Crocifissione) tra il 1374 e il 1378, forse con interventi di Jacopo d'Avanzo. Sopra la cappella, l'organo tardo ottocentesco che conta ben 4189 canne. Al di là della sagrestia con armadio quattrocentesco, la trecentesca Sala del Capitolo ospita un frammento di Crocifissione attribuita a Giotto e brani di affreschi della sua bottega. Ci dirigiamo verso sinistra alla tomba del santo e le altre cappelle che si trovano a fianco del beato Luca e della Madonna Mora.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofTomba del santo e le altre cappelle di sinistra Photo ofTomba del santo e le altre cappelle di sinistra Photo ofTomba del santo e le altre cappelle di sinistra

Tomba del santo e le altre cappelle di sinistra

A sinistra troviamo l’Arca Sepolcrale di Sant’Antonio da Padova, e la Cappella del beato Luca e Cappella della Madonna Mora. Dalla Cappella della Madonna Mora, resto della preesistente chiesa di Santa Maria Mater Domini donata a Sant'Antonio nel 1229, si ha accesso alla Cappella del beato Luca Belludi (1382), discepolo del Santo, le cui spoglie riposano nell'urna della parete. La Cappella è decorata dall'ultimo ciclo di affreschi eseguito da Giusto de' Menabuoi con storie dei Santi Filippo e Giacomo. Gli affreschi, in parte deteriorati, sono stati in buona parte rifatti dal Sandri nel 1786 e più volte restaurati. La Cappella è detta anche dei Conti perché fu fatta costruire nel 1382 dalla famiglia Conti, amministratori dei beni carraresi. Messe senza interruzioni si celebrano presso la Cappella dell'Arca del Santo, iniziata nel 1550 da Giovanni Minello su disegni del padovano Andrea Briosco: l'altare al centro, su disegno di Tiziano Aspetti (1593), ha sul retro l'arca in marmo verde con le spoglie del santo portoghese; il soffitto è ornato con stucchi, i primi realizzati in Veneto, di Giovanni Maria Falconetto (1533). La decorazione più importante è costituita dai nove altorilievi delle pareti absidali raffiguranti scene della vita e dei miracoli del Santo, opera di famosi scultori cinquecenteschi (Sansovino, Minello e Tullio Lombardo).

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofDeambulatorio e cappella delle reliquie Photo ofDeambulatorio e cappella delle reliquie Photo ofDeambulatorio e cappella delle reliquie

Deambulatorio e cappella delle reliquie

Il deambulatorio si apre sulla serie di cappelle, di cui la maggiore ospita il Tesoro, fu eretta in stile barocco alla fine del seicento su disegno del genovese Filippo Parodi, allievo di Bernini. Qui sono infatti custodite le numerose reliquie del Santuario; tra le più venerate la lingua incorrotta del Santo in un preziosissimo reliquiario del fiorentino Giuliano di Giovanni (1436) e il mento in un grande reliquiario di ignoto artista padovano (1350). Nella cappella è anche custodito il sasso che servì al Santo da guanciale all'Arcella, le navicelle rinascimentali per l'incenso e le casse lignee che avevano contenuto i resti del santo.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofSacrestia e uscita Photo ofSacrestia e uscita Photo ofSacrestia e uscita

Sacrestia e uscita

Dalla cappella del reliquiario si prosegue il giro fino all’uscita presso la Sacrestia. In alto possiamo ammirare le bellissime vetrate e i colori riportati dalla luce all’interno della chiesa. Anche dalla parte opposta possiamo scorgere le vetrate del bellissimo rosone. Al di là della sagrestia con armadio quattrocentesco, la trecentesca Sala del Capitolo ospita un frammento di Crocifissione attribuita a Giotto e brani di affreschi della sua bottega.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofAltare maggiore e i rosoni Photo ofAltare maggiore e i rosoni Photo ofAltare maggiore e i rosoni

Altare maggiore e i rosoni

L'altare maggiore è preceduto da una balaustra in marmo rosso (1661) con le statue della Fede, Carità, Temperanza e Speranza di Tiziano Aspetti (1593). Alle pareti dodici bassorilievi in bronzo che rappresentano scene dell'Antico Testamento di Andrea Briosco e Bartolomeo Beliamo. L'altare maggiore, al centro di un'abside ampia circondata da un deambulatorio che porta alla Cappella del Tesoro, è uno dei monumenti più prestigiosi della Basilica, nonché uno dei punti di riferimento del Rinascimento italiano. L'altare fu ideato ed eseguito tra il 1443 e il 1450 da Donatello che fu anche autore delle sculture in bronzo dorato che adornano l'altare. Nel 1591 i bronzi furono smontati e smembrati, ma nel 1895 vennero recuperati e inseriti grazie al restauro di Camillo Boito. Un grande Crocifisso sovrasta la Madonna col Bimbo seduta in trono, circondata dalle statue dei Santi protettori di Padova, Giustina, Antonio, Daniele e Prosdocimo, e dai Santi Ludovico e Francesco. Di Donatello è anche, dietro l'altare, la Deposizione in pietra, mentre il monumentale candelabro (1507-1515) con figurazioni sacre e allegoriche a sinistra è di Andrea Briosco, autore pure di due tra i bassorilievi biblici bronzei alle pareti. Splendidi sono i rosoni che potete notare scrutando in alto sia al centro che di lato.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofCappella di San Giacomo e cappella del santissimo sacramento Photo ofCappella di San Giacomo e cappella del santissimo sacramento Photo ofCappella di San Giacomo e cappella del santissimo sacramento

Cappella di San Giacomo e cappella del santissimo sacramento

Accanto alla Cappella del Santissimo Sacramento possiamo ammirare La cappella di San Giacomo. Dedicata a san Giacomo, da cui prendeva il nome: nel 1503 vennero quivi traslate le reliquie di papa Felice II e perciò la cappella venne dedicata a lui. STORIA Il 12 febbraio 1372, Lombardo della Seta redasse un contratto tra Bonifacio Lupi e Andriolo de Santi per la costruzione di una cappella all'interno della basilica del Santo a Padova. Tale cappella sarebbe sorta sulla preesistente dedicata a san Michele, edificata nel 1292, che si trovava lungo la navata destra, di fronte alla cappella di sant'Antonio, e sarebbe quindi stata dedicata a san Giacomo. Sotto il pavimento furono rinvenute diverse lastre tombali, una delle quali appartenente a Bartolomea degli Scrovegni, che ora si trova sotto la Crocifissione. Bartolomea era sorella di Enrico e moglie di Marsilio II da Carrara: la presenza della sua lastra tombale potrebbe indicare che la cappella appartenesse ai Carrara o agli Scrovegni. La scelta di dedicare la cappella a san Giacomo può a prima vista lasciare perplessi: non è infatti eponimo del donatore e una raffigurazione così precisa della vita del santo non si era mai vista. L'unico legame evidente con Bonifacio Lupi è la presenza della regina Lupa, considerata antenata della famiglia. Al tempo, però, esisteva a Padova una confraternita dell'Ordine della Milizia di san Jacopo, molto potente e ricca in Spagna, e non è escluso, quindi, che Bonifacio vi aderisse. La presenza della confraternita sarebbe documentata dall'indulgenza concessa nel 1343 dal vescovo di Padova Ildebrandino Conti, che si trovava in Catalogna, a quanti tra i cittadini padovani avessero aiutato i confratelli della Milizia. Quindi la decorazione dedicata a san Giacomo non sarebbe semplicemente una devozione privata, bensì una celebrazione della confraternita. I DOCUMENTI Il contratto del 1372 è precisissimo: descrive dettagliatamente tutti gli elementi strutturali e le decorazioni. La consegna venne prevista per il 1376, quando effettivamente iniziarono i lavori della decorazione pittorica. I documenti mostrano una serie di personaggi dagli incarichi disparati: Nicoletto che procurava i materiali, Gabriello il fabbro, maestri veneziani per gli scanni, Giovanni de Santi per le arche realizzate dal padre Andriolo, Tommasino da Venezia vetraio, Jacopo “Hencignerato” per i leggii, Francesco il fabbro per i ferri per i ceri, Domenico fratello di Lombardo della Seta a sovrintendere alle spese, con interventi anche di Caterina e Corradino Lupi. Il primo documento relativo al lavoro di un pittore, non nominato, è del 1377 e attesta il pagamento per cinque store, ovvero stuoie, e per l'abbassamento dell'impalcatura. Già l'anno precedente era stata annotata una spesa per l'abbassamento di parte delle impalcature. Questi documenti fanno ritenere che la parte inferiore sia stata decorata successivamente a quella superiore, per la sovrapposizione degli intonaci, pur di difficile lettura in seguito ai restauri, e che fosse impiegata un'impalcatura a diversi livelli, come testimonierebbero i documenti che attestano gli spostamenti della stessa. Le stuoie sarebbero state acquistate per proteggere il pavimento e non, come da altri asserito, per chiudere l'accesso alla cappella, cosa che avrebbe reso difficile la presa dell'intonaco. Nel 1379 avvenne il saldo, a nome di Altichiero, per la somma di 792 ducati: questo documento farebbe ritenere, per la somma ingente, che Altichiero fosse il maggiore esecutore degli affreschi, se non addirittura il capocantiere. Lo stesso documento attesta il pagamento di 190 ducati a Rainaldino per le figure dell'altare del Santo e il piedistallo eseguito "per altro maestro". La prima notizia di un restauro degli affreschi è del 1659; due anni dopo venne effettuata una pulizia dei marmi. Nel secolo successivo è documentato un altro restauro degli affreschi. Il più recente e approfondito restauro risale al 1999: vengono eliminate aggiunte sette-ottocentesche, impoverendo cinque lunette e la Crocifissione per la presenza di numerosi dettagli a secco, perduti. ARCHITETTURA La cappella costituisce “uno dei più eleganti e coerenti esempi di edificio tardogotico in cui architettura e decorazione plastica e pittorica sono unite e fuse con così straordinaria unità, da far pensare a un progetto che prevedesse fin dall'inizio anche gli affreschi”. La cappella è separata dalla navata da cinque archi acuti, sorretti da colonne rosse con capitelli dorati: la parete rivolta verso la navata è decorata con un motivo a pelte in marmo bianco e rosso. Sopra ogni arco si trova un tabernacolo, dove trovano posto cinque statue di santi: san Martino, san Pietro, san Giacomo, san Paolo e san Giovanni Battista. La struttura a pieni sorretti da vuoti, con il motivo a colori bianco e rosso, richiama l'architettura coeva veneziana. L'interno è rettangolare, disposto parallelamente alla navata ed è coperto da tre volte a crociera. Sul fondo, cinque archi acuti riprendono quelli dell'ingresso; sulla stessa parete sono collocate le due arche sepolcrali sorrette l'una da leoni, l'altra da lupi, che contengono rispettivamente le spoglie di Guglielmo de Rossi e di Bonifacio Lupi. L'altare della cappella fu commissionato a Rainaldino di Francia nel 1379: portava cinque statue di marmo bianco, ma venne rimaneggiato una prima volta nel 1503 e ridotto allo stato attuale nel 1962. Le decorazioni a fresco sono oggi attribuite ad Altichiero e a Jacopo Avanzi. DECORAZIONI Le tre volte sono dipinte di azzurro, con stelle del firmamento; al centro di ogni vela, in un tondo a fondo oro, sono rappresentati i busti dei Profeti a sinistra, i simboli degli Evangelisti al centro e i Dottori della Chiesa a destra. I due archi traversi che separano le volte portano busti di Profeti e Apostoli all'interno di medaglioni polilobi. Le pareti sono divise in due fasce: la superiore è costituita da sette lunette e due semilunette, che raffigurano le storie di san Giacomo secondo la Legenda aurea di Jacopo da Varagine. Lungo la fascia inferiore si trovano una storia di san Giacomo legata al culto spagnolo sulla parete a sinistra, una Crocifissione che occupa tutta la parete centrale, affiancata dalle due arche tombali, una Madonna in trono e offerenti sulla parete di destra. Nei pennacchi degli archi, quattro grandi tondi portano i ritratti di dieci santi; sopra gli stalli sulla parete sinistra, in arcatelle trilobe, sono collocati i busti di nove Santi e Sante; quelli sulla parete destra sono tutti rifacimenti posteriori, come anche gli angeli sullo sguancio della monofora. Sul pilastro a destra stava una figura di san Cristoforo, patrono dei pellegrini, gravemente danneggiata già nel 1857 e sostituita da elementi decorativi.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofVia dell’Orto Botanico Photo ofVia dell’Orto Botanico Photo ofVia dell’Orto Botanico

Via dell’Orto Botanico

Dalla piazzetta padre Massimiliano Kolbe davanti al museo al Santo, percorrere la via dell’Orto Botanico. Si arriva all’ingresso di questo Orto Botanico più antico del mondo. Fondato nel 1545, ancora nella sua collocazione originaria. Situato in un'area di circa 2,2 ettari. Dal 1997 è Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. L'Orto botanico di Padova nasce per la coltivazione delle piante medicinali che costituivano la maggioranza dei "semplici", medicamenti provenienti dalla natura. Per tale ragione la denominazione primitiva dell'orto è "Giardino dei Semplici" ("Horti Simplicium"). L'ateneo padovano, fondato nel 1222, era già largamente famoso per lo studio delle piante, in particolare per l'applicazione di queste alle scienze mediche e farmacologiche. Quando l'Orto fu fondato regnava una grande incertezza circa l'identificazione delle piante usate dai celebri medici dell'antichità: erano frequenti errori e frodi, con gravissimi danni per la salute dei pazienti. L'istituzione di un orto medicinale fu sollecitata su richiesta di Francesco Bonafede, che allora ricopriva la cattedra di Lettura dei Semplici presso l'Università di Padova, per facilitare l'apprendimento ed il riconoscimento delle piante medicinali autentiche rispetto alle sofisticazioni. Nel 1545 un decreto del senato della Repubblica di Venezia ne approva la costituzione: i lavori sono immediatamente avviati. Il primo custode dell'orto è, nel 1547, Luigi Squalermo detto Anguillara, che fa introdurre 1800 medicinali. Nel 1551 all'Anguillara viene affiancato Pier Antonio Michiel, già creatore di un mirabile giardino privato, conoscitore e amatore delle specie vegetali ed autore di un eccellente erbario illustrato. L'Orto, per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo elevato dei medicamenti che da essi venivano ricavati, era oggetto di frequenti furti notturni, nonostante le severe pene comminate dalla legge. Per tale ragione fu edificato un muro di recinzione circolare, tutt'oggi visibile e caratterizzante da qui il nome di "Hortus Cintus". Nel corso dei secoli, l'Orto botanico di Padova si è situato al centro di una fittissima rete di relazioni internazionali, esercitando un ruolo preponderante nell'ambiente della ricerca nello scambio di idee, di conoscenze e di piante. Per tali motivazioni nel 1997 è stato inserito dall'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità come bene culturale, costituendo una testimonianza eccezionale di una tradizione culturale inveterata da secoli (criterio iii) ed inoltre testimonia uno scambio di influenze cruciali nell'area culturale delle scienze botaniche (criterio ii); a tal proposito vedere le Linee guida operative della Convenzione del patrimonio mondiale. La motivazione in base alla quale l'orto botanico fu inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità è la seguente: «L'orto botanico di Padova è all'origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l'ecologia e la farmacia.» Nell'ottobre 2014 è stata inaugurata la nuova ala dell'Orto botanico, denominata "Giardino della Biodiversità". La struttura odierna dell'orto mantiene sostanzialmente quella del progetto iniziale, opera di Daniele Barbaro, anche se presto modificata parzialmente dal Michiel: un quadrato inscritto in un cerchio rimanda all'ideale di un Hortus Conclusus, luogo paradisiaco destinato ad accogliere coloro che ricercassero il rapporto tra l'uomo e l'universo. L'Orto ha attualmente una superficie di quasi 22.000 metri quadrati e contiene oltre 6.000 piante coltivate, raccogliendo 3.500 specie differenti; che rappresentano, seppur in forma ridotta, una parte significativa del regno vegetale. La struttura è circondata da un muro circolare costruito nel 1552 per arginare i furti di erbe medicinali. All'interno quattro spalti sono a loro volta suddivisi in aiuole. Al centro una piscina per le piante acquatiche viene alimentata da un fiotto d'acqua calda proveniente da una falda posta a quasi trecento metri sotto il livello dell'orto. Numerose sono le piante introdotte per la prima volta in Italia attraverso l'Orto botanico. Fra queste il Ginkgo , la magnolia, la patata, il gelsomino, l'acacia e il girasole. ALBERI STORICI Nell'orto botanico dell'Università di Padova sono presenti alcune piante notevoli per la loro longevità, comunemente indicate come alberi storici. Ciascuna di queste, come tutte le piante conservate nell'Orto, reca un'apposita etichetta con il nome scientifico della specie, la famiglia di appartenenza, le iniziali del catalogatore che per primo la ha descritta ed infine l'anno di impianto nell'Orto. Si possono ammirare i seguenti esemplari, elencati in ordine cronologico. Palma di Goethe, Chamaerops humilis Messa a dimora nel 1585, è attualmente la pianta più vecchia presente nell'Orto botanico patavino ed è situata in un'apposita serra ottagonale presso la Porta Nord, nel settore delle piante medicinali. È nota universalmente come "Palma di Goethe" da quando il poeta tedesco, dopo averla ammirata nel 1786, formulò la sua intuizione evolutiva nel "Saggio sulla metamorfosi delle piante" pubblicato nel 1790. I suoi vari fusti raggiungono l'altezza di 12 metri. Robinia, Robinia pseudoacacia L'esemplare dell'Orto botanico di Padova è la prima acacia (o robinia) introdotta in Italia; risale al 1662[2], ossia appena sessanta anni dopo la sua introduzione in Europa per opera del giardiniere del re di Francia Enrico IV, Jean Robin, dal cui cognome Carlo Linneo formò il nome del genere Robinia. Da questo esemplare nel 1750 furono tratti i semi utilizzati per introdurre la specie in Germania, secondo le intenzioni dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nel 1788, un esemplare derivante da un seme dell'albero padovano fu introdotto nell'orto botanico dell'Arcispedale di Santa Maria Nova di Firenze, successivamente trapiantato in quello del Giardino dei Semplici. Autore di questa introduzione in Toscana fu Ottaviano Targioni-Tozzetti. Platano orientale, Platanus orientalis Messo a dimora nel 1680 nell'Arboreto, nei pressi dell'ingresso: rappresenta una delle piante più vetuste presenti nell'orto. Albero particolarmente imponente, con la peculiarità di possedere un fusto cavo, conseguenza dell'attività di un fungo. Tuttavia la pianta continua a vegetare, poiché la parte più interna del legno non è più funzionante, dunque non più necessaria. La parte esterna è sede dei tessuti di conduzione funzionanti. Magnolia, Magnolia grandiflora Indicata come magnolia sempreverde, l'esemplare più antico presente nell'Orto risale al 1786 ed è ritenuto uno dei primi introdotti in Italia, se non il primo in assoluto. Si trova tra le porte Ovest e Sud; non ha grandi dimensioni, tuttavia è dotata di vistose radici. Altri due esemplari messi a dimora agli inizi dell'Ottocento si possono ammirare presso l'ingresso dell'Orto. Cedro dell'Himalaya, Cedrus deodara Situato tra la Montagnola e la Fontana delle Quattro Stagioni, fu messo a dimora nel 1828, fu il primo esemplare di tale specie tradotto in Italia. In questi ultimi anni ha sofferto uno stress idrico dovuto all'abbassamento della falda idrica, a causa delle costruzioni realizzate nelle vicinanze. A tale scopo è stata messa in atto una complessa operazione di risanamento e rivitalizzazione di questa storica pianta. Ginkgo, Ginkgo biloba Secondo la tradizione il maestoso ginkgo situato all'interno della Porta Nord venne importato in Padova nel 1750. Si tratta di un esemplare maschile su cui, verso la metà dell'Ottocento, fu innestato a scopo didattico un ramo femminile. La sua caratteristica forma a cono fu persa a causa di un fulmine. Lo stesso Wolfgang Goethe, affascinato dalla maestosa pianta le dedicò uno scritto. Metasequoia, Metasequoia glyptostroboides Specie introdotta nell'Orto botanico nel 1961, situata presso la Porta Sud, a ridosso del muro circolare, nel settore che ospita le piante medicinali. Può raggiungere i 35 metri di altezza. L'habitat ideale è costituito da terreni ricchi di acqua: per tale motivo è detto "Abete d'acqua". Cipresso calvo, Taxodium distichum All'interno dell'Orto si trovano alcuni vetusti esemplari di cipresso calvo: uno nel settore delle piante dei Colli Euganei, presso la Porta Sud, e tre presso il Ponte d'Ingresso, lungo il canale. Sempre presso il canale si trova un quarto individuo, leggermente diverso dagli altri per la forma più rotondeggiante (e non ovale) delle pigne coriacee. Collezioni piante insettivore (Queste piante sono ospitate nella prima delle serre ottocentesche, posta poco oltre la Porta Nord); piante medicinali e velenose (Rappresenta la diretta continuazione dell'horto medicinale, comprende piante molto utilizzate in passato); piante dei Colli Euganei e Rare (uno dei ruoli fondamentali degli orti botanici è quello di far conoscere al pubblico le specie vegetali più caratteristiche presenti nel territorio, al fine di preservarle); piante introdotte (Essendo al centro di una fitta rete di scambi internazionali l'horto ebbe un ruolo chiave nell'importazione ed introduzione nonché acclimatazione di specie esotiche). *Ambienti* Macchia mediterranea Si tratta della vegetazione attualmente più diffusa lungo le coste del Mediterraneo, ove il clima è caratterizzato da estati calde e aride e da precipitazioni concentrate nei mesi invernali. La macchia mediterranea si presenta come un insieme fitto di cespugli, arbusti e alberi sempreverdi. La ricostruzione nell'orto botanico di una parte di questo ecosistema è stata possibile sfruttando un luogo in prossimità dell'ingresso, all'esterno del muro circolare, protetto dall'edificio museale e riparato dai venti freddi. Troviamo piante come: l'oleastro (Olea europaea), il lentisco (Pistacia lentiscus), la palma nana (Chamaerops humilis). Troviamo ancora il leccio (Quercus ilex) e il corbezzolo (Arbutus unedo), arbusti aromatici come il mirto (Myrtus communis), la lavande (Lavandula stoechas). Roccera alpina (Alpinum) Il settore che documenta questo ambiente è situato di fronte alla serra tropicale (serra delle orchidee). Si possono ammirare molte specie dalla fioritura prolungata come le sassifraghe (Saxifraga), la stella alpina (Leontopodium alpinum), varie campanule e molte altre ancora. Accanto alla roccera alpina è stato costruito un piccolo lembo di torbiera, ambiente caratterizzato da suoli acidi imbevuti di acqua, comune nelle regioni temperato-fredde ed artiche. La vegetazione è caratterizzata da particolari muschi: gli sfagni (Sphagnum), o “Muschi delle Torbe”. L'accumulo delle loro parti morte e parzialmente carbonizzate, assieme ai detriti vegetali e a resti di animali, costituisce la torba. Si possono qui vedere varie specie di questi ambienti: piante insettivore come la drosera (Drosera rotundifolia) e la pinguicola (Pinguicula vulgaris), eriofori (Eriophorum spp.), giunchi (Juncus spp.), il trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata) e alcuni salici (Salix spp.). Ambiente d'acqua dolce Nelle numerose vasche dell'Orto botanico vengono coltivate piante d'acqua dolce (idrofite). Quelle di maggiori dimensioni sono situate all'interno del muro, poco oltre la Porta Nord. Altre piante acquatiche, più o meno decorative, si trovano nelle altre vasche e vaschette situate sia all'interno che all'esterno del muro circolare. Le idrofite, pur appartenendo a famiglie diverse, presentano adattamenti analoghi a causa delle condizioni determinate dall'ambiente acquatico. Alcune possono galleggiare, con le foglie in superficie e le radici immerse nell'acqua ma libere, come la lenticchia d'acqua (Lemma minor) o il giacinto d'acqua. Altre invece sono ancorate al substrato, come ad esempio le ninfee (Nymphaea spp.), il fior di loto indiano (Nelumbo nucifera), la Victoria (Victoria cruziana). La più singolare delle piante acquatiche che si coltivano in Orto è indubbiamente la minuscola wolffia (Wolffia arrhiza), che si può ammirare nella piccola vasca addossata all'esterno del muro, di fronte al "Teatro Botanico". Si tratta della più piccola fanerogama della flora europea: la pianta, priva di radici, è costituita unicamente da una piccola foglia ovoide che raggiunge il diametro massimo di 1 millimetro. Piante succulente Conosciute anche con il nome improprio di “piante grasse”, sono piante che si sono adattate a vivere in ambienti aridi anche estremi; pur appartenendo a gruppi sistematici distanti tra loro, queste piante presentano convergenze morfologiche (riduzione delle foglie in spine, fusti che fotosintetizzano, succulenza dei tessuti) e funzionali (un particolare metabolismo fotosintetico), determinate dall'adattamento all'ambiente. Molte sviluppano tessuti specializzati in grado di accumulare l'acqua (le cellule sono dotate di vacuoli molto grandi, spesso con mucillagini che facilitano questa ritenzione), che cedono gradatamente quando la pianta non può ricavarla dal suolo. Esempi di morfologie caratteristiche sono il fico d'India (Opuntia ficus-indica), con foglie trasformate in spine e fusti appiattiti, e il “cuscino della suocera” (Echinocactus grusonii), con grosso fusto sferico e spinoso. La collezione delle piante succulente occupa, durante i mesi invernali, la terza delle serre ottocentesche. Ogni anno, durante la stagione estiva, un ambiente desertico viene ricostruito all'aperto davanti alla palazzina nota come "Casa del Prefetto", mentre altre piante della collezione sono collocate a ridosso degli edifici, tra il "Teatro Botanico" e le serre; altre ancora sono collocate all'interno del muro circolare, in corrispondenza delle quattro grandi porte. Serra tropicale La piccola serra tropicale, più nota come "Serra delle Orchidee", è situata di fronte al Giardino Alpino. Questo microambiente caldo, umido e semi-ombreggiato ospita una collezione di piante tipiche delle foreste tropicali; tra esse parecchie epifite: piante che nel loro ambiente naturale si sono adattate a vivere sui rami più alti degli alberi per ricevere più luce. Tra le epifite si possono ammirare numerose orchidee: alcune sono ibridi orticoli dai grandi fiori appariscenti, altre sono invece specie spontanee, con infiorescenze a volte minuscole ma non per questo meno ricercate dai collezionisti, per cui alcune sono ormai rare e minacciate di estinzione nel loro habitat naturale. Una orchidea interessante è la vaniglia (Vanilla planifolia). Altre epifite curiose sono le tillandsie (Tillandsia spp.), bromeliacee originarie delle regioni tropicali e subtropicali americane, come pure i platiceri (Platycerium spp.), conosciuti anche come “felci a corna d'alce” per la tipica divisione della fronda. Nella stessa serra si possono ammirare numerose felci, alcune delle quali arboree. GIARDINO DELLA BIODIVERSITA' Nel maggio 2002, l'adiacente Collegio Antonianum dei Gesuiti ha venduto gran parte dei suoi terreni all'Orto botanico e nel 2008 sono cominciati i lavori di ampliamento[5]. Inaugurato nell'ottobre 2014, rappresenta la nuova parte dell'Orto botanico, rendendolo una delle serre più avanzate al mondo in questo campo. All'interno di questa nuova e futuristica struttura sono raccolte più di 1.300 specie di piante, provenienti da ogni parte del mondo. All'interno del Giardino le piante sono disposte secondo una metodologia fitogeografica, cosicché il visitatore ha l'immediata rappresentazione della ricchezza o povertà di biodiversità presente in ogni fascia climatica.[6] Solar Active Building L'edificio, a bassissimo impatto ambientale, consiste in una teca di vetro lunga 100 metri ed alta 18, la cui forma ed organizzazione spaziale sono ottimizzate al fine di sfruttare al meglio l'apporto di energia solare. Le precipitazioni naturali alimentano una vasca di raccolta di 450 metri cubi, mentre le cascate poste sulla facciata principale (vedi foto) assicurano la movimentazione e corretta ossigenazione della riserva idrica. Oltre che dalle precipitazioni, l'acqua necessaria al funzionamento della serra è attinta da un pozzo artesiano profondo 284 metri da cui viene prelevata acqua con temperatura di 24 °C, al fine di permettere la vita alle piante tropicali tutto l'anno. Il pozzo serve anche per integrare la riserva idrica in caso di siccità o scarsità di precipitazioni. L'energia ricavata dai pannelli fotovoltaici garantisce il funzionamento delle pompe e dei relativi sensori che regolano il ciclo dell'acqua nella serra. Inoltre l'edificio è in grado di trasformare l'ambiente intorno a sé, poiché la superficie di vetro della serra è rivestita da una particolare pellicola in grado di produrre una reazione chimica, sfruttando i raggi ultravioletti, il cui effetto è un abbattimento dell'inquinamento atmosferico (150 metri/cubi al giorno). All'interno di questa grande struttura troviamo più ambienti ripartiti al suo interno con climi completamente differenti, da quello tropicale del Sud America a quello più torrido e secco tipico del deserto, passando per un clima subtropicale. L'edificio, attraverso sofisticate tecnologie, è in grado di autoregolare una serie di parametri per garantire il clima migliore per ogni tipologia di piante, in base a dati analizzati da un sistema totalmente computerizzato. Le vetrate della facciata principale sono in grado, automaticamente in base alle condizioni, di aprirsi e chiudersi per regolare al meglio il flusso di calore ed umidità presenti nella struttura. *Ambienti* Foresta tropicale pluviale Questo clima si sviluppa a latitudini comprese tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno. La temperatura media in questa parte della serra si attesta sui 25 °C, con oscillazioni di 2-4 gradi nel corso dell'anno. All'interno della serra è riprodotto fedelmente il clima tropicale (come si può notare dalla foto a lato), per garantire la migliore sopravvivenza agli esemplari presenti in quest'area del Giardino della Biodiversità. Foresta tropicale subumida Le precipitazioni della fascia Subumida e della Savana sono notevolmente inferiori a quelle della fascia tropicale. All'interno di questa serra la temperatura media è di circa 20 °C, e tale temperatura ha un'oscillazione di circa 10 °C nell'arco dell'anno. Clima temperato e mediterraneo In questa serra troviamo un'elevata biodiversità, caratteristica principe del clima mediterraneo, clima che è il meno esteso tra i climi temperati. Le zone di clima temperato ricoprono meno del 2% della superficie terrestre, ma conservano il 20% del patrimonio dell'intera biodiversità. Clima arido A caratterizzare quest'area della serra è la scarsità di "precipitazioni" (meno di 250 millimetri all'anno). Tale serra rispecchia i climi aridi caldi e i climi aridi freddi (i primi tipici dell'Africa settentrionale e della penisola arabica; i secondi tipici del Mar Caspio e del deserto dei Gobi, in Mongolia). All'alba ci sono 0°, mentre durante il giorno 40°. ALTRE ATTIVITA Dal 1835, all'interno dell'Orto botanico si trova una biblioteca che dispone di antiche e nuove testimonianze. Oltre ai libri, conserva materiale di varia natura come ad esempio erbari secchi, manoscritti, fotografie, quadri, planimetrie storiche e oggetti museali.[7] Nello stesso anno fu fondato nel comprensorio dell'orto un erbario, diventato oggi un museo che ha al suo interno una fornita collezione di piante essiccate, alghe, funghi, muschi, licheni, galle, legni, semi e frutti. L'erbario del museo comprende circa 500.000 campioni provenienti da Italia, Europa, Asia, Africa e Americhe, pervenuti a partire dalla fine del XVIII secolo. In una palazzina attigua all'ingresso dell'orto si trovano le sale espositive del Centro di Ateneo per i Musei, dove vengono allestite mostre relative alla botanica a fini di divulgazione scientifica. Durate tali eventi si possono ammirare vari reperti conservati nei musei dell'ateneo cittadino. L’ingresso a questo orto botanico è con prenotazione consigliata. Info e prenotazioni: 049 827 3939 (attivo tutti i giorni dalle 9 alle 17). DA NOVEMBRE A MARZO: ore 10-17 (ultimo ingresso ore 16.15). chiuso i lunedì feriali e dal 9 gennaio al 13 febbraio 2023. DA APRILE A SETTEMBRE: ore 10-19 (ultimo ingresso ore 18.15) aperto dal martedì alla domenica, tutti i giorni festivi e lunedì 12 giugno chiuso i lunedì feriali ore 9-19 (ultimo ingresso ore 18.15) dal 28 aprile al 2 maggio, in occasione del festival Risvegli OTTOBRE: ore 10-18 (ultimo ingresso ore 17.15) aperto dal martedì alla domenica e tutti i giorni festivi chiuso i lunedì feriali • L'acquisto di biglietti, abbonamenti e ticket speciali presso la biglietteria online non prevede diritti di prevendita e consente un ingresso più semplice e rapido in Orto botanico. In fase di acquisto è richiesta la scelta di un turno di visita: non è possibile utilizzare i biglietti per date e orari differenti da quelli selezionati. Il biglietto può essere stampato o mostrato da un dispositivo elettronico al momento dell'ingresso. • Per l'acquisto dei biglietti gruppo e per gli aventi diritto a gratuità è richiesta la prenotazione al numero 049 827 3939 (attivo tutti i giorni dalle 9 alle 17). • I requisiti che danno diritto a riduzioni/gratuità vengono verificati al momento dell'ingresso dal personale della biglietteria.

PictographWaypoint Altitude 46 ft
Photo ofPiazza del Santo, punto informativo e Via del Santo Photo ofPiazza del Santo, punto informativo e Via del Santo Photo ofPiazza del Santo, punto informativo e Via del Santo

Piazza del Santo, punto informativo e Via del Santo

Da piazza del Santo dove trovate anche info point per tutte le informazioni che necessitate, prendere via del Santo. Subito all’inizio potete fermarvi alla pasticceria Lilium. Anche qui come in altri posti si può trovare la torta Pazientina tipica di Padova e anche la torta del Santo. Tra i piatti tipici di Padova c’è anche la torta pazientina, il più tipico tra i dolci tipici padovani. La pazientina è il dolce tipico di Padova ed in quanto tale si presta anche ad essere acquistato come “souvenir”, come diceva una pubblicità di qualche tempo fa: un “Promemoria” della città. La pazientina è un dolce a strati piuttosto elaborato composto da una frolla di mandorle (pasta bresciana), un morbido pan di spagna, o polentina di Cittadella, farcito con crema allo zabaione e guarnito da una “selva” di scaglie di cioccolato fondente in superficie. A differenza della pinza, dolce povero che rientra tra i piatti tipici del Veneto e delle zone montane del nord Italia, la Pazientina è proprio un dolce tradizionale di Padova. Le origini della Torta Pazientina è piuttosto antica. Pare, infatti, essere nata attorno al 1600 in un qualche convento della città, un po’ come il Dolce del Santo, creato dai frati francescani del monastero della Basilica di Sant’Antonio. Si tratta di un’informazione piuttosto generica poiché a Padova, a quei tempi se ne contavano a decine tra conventi e monasteri di ogni ordine. Esistevano anche dei biscotti chiamati “pazientini”, sempre nati in convento! Da una ricerca su internet pare che il merito sia da attribuire ai francescani. La Pazientina è quindi da considerarsi un dolce storico, espressione della patavinitas in cucina. Come mai la Torta Pazientina si chiama così? L’origine del nome di questo tipico dolce padovano ha almeno due versioni, pure poche se pensiamo che spesso quando si parla di leggende e fatti risalenti alla notte dei tempi le leggende si sprecano. Un’ipotesi deriva dal fatto che, a quanto sembra, veniva data ai malati come ricostituente visto il notevole apporto calorico e “pazienti” dovevano essere i malati che volevano rimettersi in forza. Altra ipotesi, considerata più plausibile, è quella più semplice: si chiamerebbe Torta Pazientina perché la pazienza è una virtù indispensabile per preparare un dolce così elaborato come potrete vedere si internet leggendo le ricette.

PictographWaypoint Altitude 49 ft
Photo ofVia del Santo, Via Zabarella, fino alla piazza e chiesa degli Ermeitani Photo ofVia del Santo, Via Zabarella, fino alla piazza e chiesa degli Ermeitani Photo ofVia del Santo, Via Zabarella, fino alla piazza e chiesa degli Ermeitani

Via del Santo, Via Zabarella, fino alla piazza e chiesa degli Ermeitani

Percorrere via del Santo. Sulla via trovate al n°30 un forno chiamato Pane e Focaccia dove potete trovare altre cose tipiche sia dolci che salati come i biscottini con l'uvetta tipo biscotti zaletti (un biscotto di assaggio pagato 0,70 centesimi). Arrivati alla fine di via del Santo vi trovate davanti il palazzo Zabartella. Quindi prendere via Zabarella dove troverete anche un cartello che vi spiega chi era questo Logico e Filosofo Padovano. Continuate ancora tra vari negozi e vetrine su via degli Eremitani e giungere nella piazza omonima. Nella piazza la chiesa degli Eremitani iniziata nelle forme attuali nel 1276 su precedenti antichissime strutture, è dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, ma è tradizionalmente conosciuta come degli Eremitani in quanto l'annesso convento con foresteria, che oggi ospita il Museo Civico agli Eremitani, era meta dei pellegrini di passaggio. Sul fianco della facciata rimangono le tracce della porta d'accesso all'area conventuale, con i segni della campanella di richiamo. L'originale copertura lignea (1306) è attribuita a frate Giovanni degli Eremitani, monaco del convento noto per aver realizzato la grande copertura del Palazzo della Ragione. La chiesa è un tipico esempio di edificio dell'ordine Agostiniano: un'unica grande aula (detta anche a granaio) adatta alla predicazione. Francescano è l'impianto architettonico, per la semplicità dovuta principalmente al contenimento dei costi di costruzione, ma non mancano accenni gotici. L'edificio, pur avendo subito alcuni cambiamenti nei secoli XIV e XVII e, più recentemente, durante la seconda guerra mondiale, conserva ancora il fascino delle chiese conventuali trecentesche. La facciata, del 1360, si presenta divisa orizzontalmente in due parti: una inferiore in pietra, con portale al centro e quattro archi ciechi ai lati (un particolare tipico dell'architettura padovana del tempo e che serviva per predicare ai fedeli riuniti nel sagrato); una superiore in cotto, di impronta tardo-romanica, con lesene ad archi, un bel rosone centrale e un fastigio ornato da archetti pensili.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofPresso la cappella degli scrovegni Photo ofPresso la cappella degli scrovegni Photo ofPresso la cappella degli scrovegni

Presso la cappella degli scrovegni

Il biglietto per il Museo comprende anche l'ingresso alla Cappella degli Scrovegni, imperdibile per il ciclo di affreschi che è stato eseguito intorno al 1300 da Giotto e che ha avuto effetti rivoluzionari nella storia dell'arte europea, forse perchè ha tentato, dal punto di vista espressivo e prospettico, di riflettere la realtà . Il museo, comprende una sezione archeologica e una sezione di arte visiva dove si possono ammirare opere di Giotto, Veronese, Tintoretto, Giorgione, Tiziano. Presso la biglietteria, potete trovare anche il negozio e bagni ad accesso libero. Trovate anche delle prese si colore nero subito a destra in basso oltrepassato l’ingresso, dove poter caricare il telefono e attendere in delle panche bianche con mini tavolini.

Photo ofDentro la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani Photo ofDentro la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani Photo ofDentro la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani

Dentro la Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani

La Chiesa degli Eremitani è del XIII secolo, fu distrutta dal bombardamento dell'11 marzo 1944 e quasi totalmente ricostruita: si salvarono solo due affreschi di Mantegna. Bellissimo è l'interno a una sola navata, con il soffitto ligneo e le pareti ornate dall'alternanza di fasce di mattoni rossi e ocra. All'ingresso della chiesa due sepolcri, opera di Andriolo de Santi: a sinistra quello di Jacopo da Carrara, con un'iscrizione dettata dal Petrarca, e a destra quello di Ubaldino da Carrara, entrambi signori della Padova trecentesca. Proseguendo lungo la parete di destra, dopo un altare barocco, incontriamo la Cappella del Sacro Cuore con affreschi di figure a mezzo busto rappresentanti le Virtù e Le Arti Liberali di Giusto de' Menabuoi e tre cappelline in cui recenti restauri hanno portato alla luce alcuni frammenti di affreschi trecenteschi tra cui busti di sante del Guariento. La Cappella Ovetari: Segue la Cappella Ovetari, eretta da Antonio Ovetari e fatta affrescare dalla moglie dopo la morte del marito. L'incarico fu affidato a Giovanni d'Alemagna, Antonio Vivarini, Niccolò Pizzolo, Ansuino da Forlì e al giovane Andrea Mantenga, all'epoca diciassettenne e allievo dello Squarcione. Il bombardamento dell'11 marzo 1944 polverizzò la Cappella Ovetari e del Mantenga oggi rimangono solo i due riquadri inferiori della parete destra della Cappella: l'Assunta nell'abside e il Martirio di San Cristoforo, che staccati verso la fine dell'800, in quanto già danneggiati, si salvarono fortunatamente al bombardamento. Le altre cappelle: Dopo la Cappella Ovetari si apre la Cappella Dotto in cui rimane traccia di un affresco attribuito ad Altichiero. Nella Cappella Maggiore, corrispondente al Presbiterio, rimane, sulla sinistra, la parte superstite del ciclo di affreschi raffiguranti le Storie di S. Agostino, San Filippo e San Giacomo minore del Guariento, a cui collaborò anche Niccolò Semitecolo. Anche il Crocifisso del 1370, dipinto a tempera su tavola, è attribuito ad uno dei due artisti sopra citati. A destra Cristo incorona la Vergine del Guariento. Segue la Cappella Sanguinacci con il sarcofago di Ilario Sanguinacci, una tra le opere più riuscite dello scultore trecentesco Paolo Jacobello. Nella parete di destra in alto Madonna in trono col Bambino in piedi, tre santi ai lati e un offerente inginocchiato attribuita a Giusto de' Menabuoi. Anche la Sacrestia conserva importanti opere d'arte, tra cui un affresco di Altichiero.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofDall’Arena romana a piazza Giuseppe Garibaldi Photo ofDall’Arena romana a piazza Giuseppe Garibaldi Photo ofDall’Arena romana a piazza Giuseppe Garibaldi

Dall’Arena romana a piazza Giuseppe Garibaldi

Nei giardini, si può osservare un piccolo tratto di arena romana dove d'estate viene organizzato il cinema all'aperto o altri eventi. Da qui prendere corso Garibaldi fino alla piazza omonima. Padova è anche città di porte e di mira. È possibile costeggiare i resti delle mura della città e visitarne le sue famose porte cinquecentesche: porta Liviana (detta Pontecorvo), San Giovanni, Santa Croce, Savonarola e Ogni Santi (detta portello). Prendete corso Giuseppe Garibaldi passando davanti al palazzo della cassa di risparmio per arrivare in piazza e proseguite su via Cavour su area pedonale verso il centro

PictographWaypoint Altitude 66 ft
Photo ofPiazza Cavour e il Caffè Petrocchi Photo ofPiazza Cavour e il Caffè Petrocchi Photo ofPiazza Cavour e il Caffè Petrocchi

Piazza Cavour e il Caffè Petrocchi

Da piazza Garibaldi inizia la zona pedonale e raggiunta piazza Cavour a destra troviamo il caffè Petrocchi con i suoi leoni all’ingresso. Realizzato nel primo '800 e passato alla storia per la sua vivacità (era aperto 24 ore su 24, e di qui il nome "senza porte", letteralmente senza porte fino al 1916 quando si decise di chiudere la sera spegnendo le luci per non dare riferimenti agli aerei che bombardavano la città durante la prima guerra mondiale). Uno dei più importanti caffè europei e tra i più famosi caffè storici e letterari d’Italia. Qui l'8 febbraio 1948 è scoccata la scintilla dell'insurrezione studentesca contro gli austriaci. Questo caffè rientra tra i monumenti citati nel detto di Padova, città dei 3 senza. Dalla bottega del caffè del padre, Antonio Pedrocchi decise di ampliare e di creare un vero e proprio stabilimento che potesse diventare quel circolo di incontri, aperto alla borghesia cittadina, che divenne nel corso dell’Ottocento. Qui, davanti ad una tazzina di caffè, si incontravano intellettuali, artisti, accademici, studenti e questo era il luogo di incontro e di riferimento per i patrioti italiani impegnati nei moti risorgimentali. Non a caso le tre sale del piano terra, Sala Bianca, Sala Rossa e Sala Verde richiamano il tricolore e al piano nobile del Caffè è allestito il bellissimo Museo del Risorgimento e dell’età moderna. A concepire il Caffè Pedrocchi come lo vediamo oggi è stato l’architetto veneziano Giuseppe Jappelli, in grado di dare forma a quel che veniva chiamato Stabilimento, dotato di Caffè ma anche di Offelleria. Il Caffè Pedrocchi in stile neoclassico con il Pedrocchino, l”ingresso verso sud, in stile neogotico è un simbolo della Padova Ottocentesca. Jappelli realizzò anche, al piano superiore, il magnifico piano Nobile come un percorso iniziatico della massoneria attraverso le civiltà umane e quindi troviamo la sala etrusca, la sala greca, la sala romana, la sala ercolana, la sala egizia, la sala moresca, lo stanzino barocco, rinascimentale, la sala gotica-medievale e la fastosa sala Rossini, la più grande, spazio adibito alle feste e ai balli. Spesso in passato, ma ancora oggi molti giovani lo considerano un luogo per l’alta società, da evitare, invece è un patrimonio della città di Padova da frequentare e difendere anche perchè è di proprietà del Comune e quindi di tutti i cittadini. Senz’altro particolarmente amati sono i 4 leoni di marmo posti agli ingressi del lato settentrionale, su cui tutti i bambini padovani si sono seduti a cavalcioni almeno una volta nella vita. La storia di questo meraviglioso caffè si intreccia con quella della città, una delle icone più rappresentative della città del Santo e che rientra nel “detto popolare” secondo il quale Padova sarebbe la città dei 3 senza (…più uno), il Prato senza nome cioè il Prato della Valle, il Santo senza nome, la Basilica di Sant’Antonio (…il “più uno” è relativo ad un altro senza, aggiunto in seguito e cioè il Bo senza corna, il Palazzo del Bo, sede storica dell’Università) ed il Caffè senza porte, il Pedrocchi appunto. Il Pedrocchi è molto più di un bar ma, uno dei più famosi caffè letterari italiani dell’Ottocento testimone del Risorgimento, frequentato da artisti, letterati italiani ed europei tra cui Eleonora Duse, il futurista Marinetti, D’Annunzio fino a Balzac e Stendhal e altri ma anche politici e patrioti, professori universitari e studenti. Un luogo dal grande fascino all’interno del quale la borghesia padovana si dava appuntamento per bere questa nuova bevanda dalle suggestioni esotiche, il caffè e discutere di vita quotidiana, di attualità, di politica. Un luogo comunque aperto a tutti anche a studenti squattrinati che potevano fermarsi senza consumare nella Sala Verde per bere un bicchiere d’acqua e leggere il giornale. Da qui il detto “restare al verde”. Ancora oggi la Sala Verde è a disposizione di chiunque voglia fermarsi e sedersi per conversare e leggere il giornale senza obbligo di consumazione. Se la Sala Rossa è quella centrale con il bancone in marmo, nella Sala Bianca ci sono due significative tracce storiche quali il buco sul muro provocato da un colpo di fucile esploso l’8 febbraio 1848, una data importante per Padova nel corso del moto risorgimentale contro l’esercito dell’Impero Austriaco e la targa con la citazione di Stendhal nella prefazione del suo romanzo “La certosa di Parma”: “È a Padova che ho cominciato a vedere la vita alla maniera veneziana, con le donne sedute nei caffè. L’eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d’Italia“.

PictographWaypoint Altitude 92 ft
Photo ofMenù, prezzi e le frigovetrine del Caffè Pedrocchi Photo ofMenù, prezzi e le frigovetrine del Caffè Pedrocchi Photo ofMenù, prezzi e le frigovetrine del Caffè Pedrocchi

Menù, prezzi e le frigovetrine del Caffè Pedrocchi

Tra le frigovetrine potrete ammirare le specialità del caffè.. Nel menù esposto trovate tutti prezzi, non economicissimi, ma neanche altissimi considerando che siamo in centro a Padova e in un posto davvero particolare e storico. Essendo il posto comunque comunale tutti prezzi sono calmierati. Il caffè petrocchi costa 3€ un normale caffè espresso viene 1,20€. Se prendete il caffè Petrocchi, il tipico caffè con menta, ricordatevi che va bevuto senza mischiarlo e senza aggiunta di zucchero. Provate anche la torta Petrocchi e il tipico Zabaione Stendhal, che vengono 5€ a porzione.

PictographWaypoint Altitude 59 ft
Photo ofCaffè in sala verde e le altre sale Photo ofCaffè in sala verde e le altre sale Photo ofCaffè in sala verde e le altre sale

Caffè in sala verde e le altre sale

E' il momento di prendere il famoso caffè Petrocchi: Il Caffè alla menta più famoso al mondo, che nasce dal perfetto connubio tra espresso 100% arabica, emulsione di panna fresca e menta in sciroppo e una polverata di cacao amaro. Attenzione, questo espresso in tazza grande, non va mescolato per non alterare l’equilibrio perfetto dei diversi sapori! Entrare in questo posto è un viaggio nel tempo e nello spazio nelle sale sia inferiori che superiori che mimano stili diversi (etrusco, greco, romano). Si dice sia il primo bar aperto , circa 200 anni fa.il palazzo progettato dall’architetto Jappelli, è un mix di stili che va dal neoclassico al gotico, e si trova in un punto strategico tra il municipio e il Bo sede dell’Università. Di recente è stata rinnovata una parte interna, ma attraversando lo si incontrano le originali sale che lo caratterizzano: la sala Rossa la sala Bianca e la sala per te così denominata in seguito all’arredamento con nuove tappezzerie colorate in occasione dell’unità d’Italia nel 1861. Il bar Pedrocchi è conosciuto come il caffè senza porte perché fino ai primi anni del 900, era aperto giorno e notte, e chiunque poteva accedervi. Infatti nonostante l’architettura lussuosa e lo stile elegante manteneva a prezzi accessibili a tutti.ancora oggi, la sala verde è uno spazio del locale di libero accesso per coloro che vogliono sostare all’interno senza obbligo di consumazione. Il piano nobile invece utilizzato per conferenze dei venti è suddiviso in 10 sale, ognuno con la propria funzione e decorata in uno stile diverso.tra le più famose c’è la Sara Guyana: caratterizzata dal blu e dalle stelle dorate alle pareti e contorno nata da statue egittizanti. Prezzi delle cose assaggiate: Caffè con menta petrocchi 3€ Torta petrocchi 5€ Zabaione Stendhal 5€

PictographWaypoint Altitude 62 ft
Photo ofPalazzo Moroni e il palazzo del Bo Photo ofPalazzo Moroni e il palazzo del Bo Photo ofPalazzo Moroni e il palazzo del Bo

Palazzo Moroni e il palazzo del Bo

Percorrendo via 8 febbraio troviamo il palazzo Moroni a destra e Il palazzo del Bo sede dell’Università degli studi di Padova, sede della facoltà di giurisprudenza. All’interno del palazzo del Bo possiamo trovare il bar da Mario luogo leggendario l’incontro della goliardia patatina. Il palazzo Moroni è sede del municipio, e di fronte troviamo l'edificio principale dell'ateneo patavino: Palazzo del Bo', il cui nome deriva dall'Albergo del Bue, che sorgeva qui prima di ospitare la sede delle scuole di giurisprudenza nel '500. Dai un'occhiata all'ammirevole cortile cinquecentesco: nel periodo delle discussioni delle tesi (febbraio-marzo, giugno-luglio e settembre-ottobre) qui e un po' ovunque in centro si può assistere alle chiassose feste di laurea. Il neolaureato viene mascherato, immerso nella fontana della vicina Piazza delle Erbe e costretto a leggere il papiro. Per ammirare altri luoghi 'storici' di Palazzo Bo (in particolare il Teatro Anatomico e la cattedra di Galileo) puoi partecipare alla visita guidata. Per informazioni rivolgiti all'Ufficio Informazioni Turistiche Vicolo Pedrocchi tel. +39 049 2010080

PictographWaypoint Altitude 59 ft
Photo ofPiazza delle Erbe e palazzo della Regione Photo ofPiazza delle Erbe e palazzo della Regione Photo ofPiazza delle Erbe e palazzo della Regione

Piazza delle Erbe e palazzo della Regione

Tra piazza delle Erbe e piazza della Frutta c'è il Palazzo della Ragione, chiamato dai padovani "il Salone" per la grande sala al primo piano. (Il biglietto di ingresso costa 8€) questo salone è stato usato come tribunale (e di qui il nome 'ragione' nel senso di 'giustizia') fino al 1797, quando cadde la Repubblica di Venezia. Il nucleo originario del palazzo risale al 1218; venne poi ricostruito dopo l'incendio del 1420 e la tromba d'aria del 1756, mantenendo però la struttura originaria. Il Salone deve il suo nome all'enorme sala al livello superiore, con ingresso dal Municipio (via VIII febbraio). La sala presenta uno dei più vasti cicli astrologici esistenti, con i mesi e i segni zodiacali: un grandioso calendario realizzato dopo il 1420, quando il precedente ciclo dipinto da Giotto, comprendente anche la volta con stelle e pianeti, è stato distrutto dall'incendio. Caratteristico anche l'enorme cavallo di legno. La sala ospita mostre temporanee. Per informazioni +39 049 8205006 Piazza delle Erbe si trasforma, dal tardo pomeriggio in poi, in un affollatissimo luogo di ritrovo per i giovani e gli studenti dell'Università di Padova, che bevono lo spritz, preso in uno dei baretti sotto il Salone, sotto i portici o nelle osterie del ghetto ebreo. Lo spritz è l'aperitivo più amato nel nord-est: composto originariamente da vino bianco e acqua (o selz), ora la ricetta è affidata alla creatività del barista, che aggiunge in proporzioni variabili diversi liquori. I più bevuti sono lo spritz all'aperol e lo spritz al campari. Una variante più leggera ed economica è il 'bianco macchiato': prosecco con un goccio di aperol o di campari. Se vuoi già gustare uno spritz fermati in uno dei bar sotto il Salone.

PictographWaypoint Altitude 59 ft
Photo ofMercato coperto di Padova e piazza della Frutta Photo ofMercato coperto di Padova e piazza della Frutta Photo ofMercato coperto di Padova e piazza della Frutta

Mercato coperto di Padova e piazza della Frutta

Il piano terra sotto il Salone si ospita da quasi 800 anni il mercato coperto di Padova. Il tipo di merci vendute è cambiato nel tempo: in epoca comunale panni pregiati e pellicce; poi salumieri e casolini. E sotto i portici delle case intorno, venditori di cinture, guanti e seta. I generi alimentari erano venduti nelle piazze: vino e granaglie in quella a sud (piazza delle Erbe), verdura, frutta, carne e pesce in quella a nord (piazza della Frutta). Ora sotto il salone ci sono diversi negozi che vendono pane, formaggio, carne e affettati; vino e specialità dolci; e qualche merceria. In piazza della Frutta (la piazza opposta a quella delle Erbe) trovano posto soprattutto banchi di abbigliamento (anche etnico), e due grandi banchi di frutta secca, spezie e prodotti naturali, che in autunno preparano le caldarroste. Il vero mercato dei frutaroi si svolge ogni mattina in piazza delle Erbe, in un trionfo di profumi e colori. Le bancarelle in legno sono portate in piazza ogni giorno e occupano un posto assegnato a rotazione, perchè nessuno mantenga una posizione favorita. Oltre alla frutta e alla verdura si vendono granaglie (cereali e legumi secchi) e fiori, vicino alla fontana.

PictographWaypoint Altitude 66 ft
Photo ofPiazza dei signori e la torre dell’orologio Photo ofPiazza dei signori e la torre dell’orologio Photo ofPiazza dei signori e la torre dell’orologio

Piazza dei signori e la torre dell’orologio

Proprio vicino agli antichi centri del potere comunale si trova il luogo dove nel '300 sorgeva la reggia dei Carraresi: Piazza dei Signori, che è caratterizzata dalla Loggia del Consiglio (detta della Gran Guardia), l'edificio cinquecentesco dove si riuniva il Maggior Consiglio cittadino, dalla Chiesa di S. Clemente e soprattutto dalla Torre dell'Orologio. Questa fa parte dell'arco trionfale del cinquecentesco palazzo del Capitanio (un'autorità governativa veneziana); l'orologio è più antico e ricalca quello installato da Giovanni Dondi nel 1344, primo meccanismo di questo tipo costruito nel nostro paese. In questa piazza ha luogo ogni mattina (tranne che al lunedì) un mercato di abbigliamento. la Torre dell’Orologio, un edificio di origine medievale risalente alla metà del XIV secolo che sorge tra il Palazzo del Capitanio e il Palazzo dei Camerlenghi. Il grande orologio astronomico attirerà sicuramente la vostra attenzione. Si tratta del primo esemplare del genere ancora conservato in tutto il mondo e noterete una particolarità: Tra i segni zodiacali infatti manca la Bilancia. Questo perchè fa riferimento ancora ad un sistema zodiacale pre-romano in cui le costellazioni della Bilancia e dello Scorpione erano riunite in una sola. Sotto la Torre dell’Orologio noterete un portone aperto, al di là del quale ha sede l’Università di Folosofia. Il consiglio è quello di fare un giretto nel cortile interno perchè è molto suggestivo e caratteristico. Procedere quindi il camino entrando il piazza Capitaniato oltre la torre, dove si trova il palazzo Liviano, (sede della facoltà di Lettere e Filosofia). Nei pomeriggi estivi, in un clima piacevolmente rilassato sotto le fronde degli alber, gli studenti bevono il caffè ai tavolini dei due piccoli bar della piazza. Attraverso lo scalone del '600 si accede alla Sala dei Giganti, dove si svolgono concerti di musica classica e jazz e altri eventi culturali. farti avvolgere dalla romantica atmosfera della piazzetta di S. Nicolò. La chiesa, un piccolo gioiello di aspetto medievale (ma soggetta a successivi rifacimenti), è richiestissima per la celebrazione di matrimoni. Mangiare un gelato in Piazza dei Signori? Perché no!

PictographWaypoint Altitude 59 ft
Photo ofPiazza Capitaniato Photo ofPiazza Capitaniato Photo ofPiazza Capitaniato

Piazza Capitaniato

Corte Capitaniato oggi Piazza Capitaniato è una piazza storica della città di Padova. Si raggiunge passando da piazza dei Signori sotto la Torre dell'Orologio, la porta del Capitaniato passaggio chiamato Soto ea scavesà (letteralmente: sotto la spezzata), caduto in disuso verso la fine del XX secolo. LA STORIA. Lo spazio era in origine un cortile della reggia Carrarese, voluta da Ubertino da Carrara nel XIV secolo. Circondata da edifici adibiti a vario uso, su tutti la grande costruzione ospitante la Sala dei Giganti. La corte accrebbe di importanze al tempo della dominazione veneziana, quando negli edifici dei carraresi si installò il Capitanio e esponenti dell'amministrazione padovana. Nell'antico cortile, che prese il nome di corte Capitaniato, trovarono posto la sede della curia, gli uffici amministrativi, le scuderie, le aree per le esercitazioni e le abitazioni delle guardie. I capitani veneziani erano responsabili degli affari di carattere militare ed affiancavano il podestà, al quale era demandata la gestione dell'amministrazione civile. STRUTTURA. Sul lato est si trova il lato posteriore della torre dell'Orologio e del palazzo del Capitanio, sede oggi di uffici comunali e del dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (fisppa) dell'Università degli Studi di Padova. Sul lato sud si affaccia la sede della Scuola di Scienze Umane, Sociali e del Patrimonio Culturale (ex facoltà di Lettere e Filosofia) e del Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell'Arte, del Cinema e della Musica. Quest'ultimo si trova nel palazzo Liviano, costruito negli anni trenta dall'architetto Gio Ponti negli spazi in precedenza occupati dalla reggia dei Carraresi. Sul lato est del Liviano vi è la scalinata che porta sia all'elegante sala dei Giganti, antica struttura adibita oggi a sala da concerti, i cui pregevoli affreschi furono probabilmente realizzati dall'Altichiero e da Jacopo Avanzi, che alla più piccola sala delle Edicole, parimenti affrescata. Dalla piazza si possono ammirare altre parti di quanto resta delle varie ricostruzioni della reggia, nei cui pressi si trova anche l'originale Loggia dei Carraresi. "RITROVO" DI UNIVERSITARI. La presenza dei due dipartimenti dell'ateneo comporta una massiccia presenza di studenti nella piazza, soprattutto per i festeggiamenti delle lauree, quando sugli alberi vengono affissi i "papiri" e vi hanno luogo scherzi e canti. In piazza Capitaniato si trovava sino al dicembre del 2015, la grande statua di Amleto Sartori raffigurante il drammaturgo Angelo Beolco detto il Ruzante, commissionata dal Rotary Club di Padova nel 1958 e ricollocata presso il Teatro Verdi. Lungo l'asse mediano della piazza sorgono alcuni tra i più antichi alberi di Padova, quali le "Sophore japoniche (o Styphnolobium japonicum) messe a dimora nel 1861, nonché i bagolari (o Celtis australis).

PictographWaypoint Altitude 52 ft
Photo ofRaggiungendo il Duomo entrando Photo ofRaggiungendo il Duomo entrando Photo ofRaggiungendo il Duomo entrando

Raggiungendo il Duomo entrando

Prendendo via Accademia andiamo verso il Duomo. Ci arriveremo lateralmente e non nella piazza. Entriamo quindi da una porta laterale all’interno della chiesa. Il Duomo sorge sul luogo di precedenti chiese cattedrali, la prima forse paleocristiana, risalente al 300 d.c. Ricostruita diverse volte, fu consacrata nel 1075 con la traslazione del corpo di San Daniele. La realizzazione dell'attuale Duomo, al cui progetto partecipò Michelangelo, fu compiuta tra il XVI ed il XVIII secolo, su progetto di Andrea da Valle. Nel 1754 viene consacrato a Santa Maria Assunta. Il nuovo Presbiterio, inaugurato nel 1997, è abbellito da statue dell'artista toscano Giuliano Vangi. Collegato alla Cattedrale è il Battistero intitolato a San Giovanni Battista. L'edificio risale alla fine del XII secolo; ha pianta quadrata con alto tamburo circolare e cupola e un'absidiola con cupoletta. L'interno fu interamente affrescato da Giusto de' Menabuoi nel 1375-78 con storie della Genesi, dell'Apocalisse e di san Giovanni Battista. Il ciclo di affreschi, in tutto un centinaio di scene, rappresenta ancora oggi uno dei cicli pittorici più mirabili e spettacolari del Trecento. Orario: tutti i giorni 10:00 - 18:00. Gruppi su prenotazione. Per informazioni: tel. +39 049 656914 Dopo le visite al Duomo e al Battistero hai diverse possibilità : proseguire la tua visita d'arte al Museo Diocesano, che raccoglie numerosi tesori d'arte sacra, tra cui codici miniati, antichi reliquiari, dipinti di famosi artisti tra cui Giusto de' Menabuoi, Jacopo da Montagnana, Giambattista e Giandomenico Tiepolo, e ancora paramenti sacri ed ex voto (per informazioni: tel. +39 049 8761924); oppure dare un'occhiata all'Arco Valaresso, costruito nel Seicento in memoria di Alvise Valaresso, capitano e provveditore di sanità nel periodo in cui Padova fu colpita dalla peste; o ancora puoi sederti sui muretti del porticato a goderti il sole, come fanno gli studenti della vicina facoltà di Lettere e Filosofia.

PictographWaypoint Altitude 92 ft
Photo ofdal duomo e uscendo in piazza Photo ofdal duomo e uscendo in piazza Photo ofdal duomo e uscendo in piazza

dal duomo e uscendo in piazza

La storia Il Duomo sorge sul luogo di precedenti edifici sacri di cui il più antico, una cattedrale paleocristiana, sorgeva probabilmente sull'attuale sagrato. La nuova cattedrale consacrata nel 1075 dal Vescovo Ulderico fu danneggiata pochi anni dopo nel terremoto del 1117. La realizzazione dell'attuale Duomo fu compiuta tra il XVI ed il XVIII secolo. Vincitore del concorso che era stato bandito risultò Michelangelo, ma l'esecuzione dei lavori fu affidata all'architetto istriano Andrea da Valle e all'architetto Agostino Righetti che apportarono sostanziali modifiche al progetto originario. Il Duomo fu completato solo nel 1754 dall'architetto veneziano Girolamo Frigimelica, anche se la grandiosa facciata, con tre portali e due rosoni, da lui disegnata, non fu mai terminata e in seguito gravemente danneggiata, assieme alla grande cupola, nei bombardamenti del 1917 e 1918. Nel XIV secolo, nella sacrestia, sostenevano gli esami i laureandi in Legge, in chiesa invece gli studenti delle altre facoltà, mentre "il baccellierato" (grado che veniva conferito nel Medioevo allo studente che aveva conseguito il primo grado accademico, inferiore a quello di dottore), la "licenza" e la "laurea" venivano conferiti dal Vescovo nel salone che è in piazza, che porta ancor oggi scolpite, sul frontone della porta, tre teste di bue, il famoso stemma dell'Università. Nell'antistante piazza si teneva il "mercato dei porci", ma poi quando la piazza fu donata alla chiesa, essa fu adibita a cimitero divenendo quindi prato e in seguito, nel 1904, venne lastricata. Da via Dietro Duomo si vedono le tre absidi che concludono la navata centrale, le due absidi terminali del transetto (la navata più corta), il campanile, la cupola con l'alto tamburo e la grande lanterna. L'interno L'armonioso e luminoso interno, che ricorda quello di S. Giustina, è a croce latina con tre navate suddivise da pilastri. Sulla sinistra, nella Cappella della Madonna dei ciechi, è conservata una Madonna col bambino di Stefano dall'Arzere. Di Pietro Damini possiamo ammirare al secondo altare San Girolamo e il committente Girolamo Selvatico e nella terza cappella, la pala raffigurante Gesù Crocifisso con le sante Maddalena e Caterina. Presso la porta laterale il cenotafio (monumento sepolcrale onorario che non contiene la spoglia del defunto) di Francesco Petrarca che fu canonico del Duomo, opera ottocentesca di Rinaldo Rinaldi. La sacrestia dei Canonici conserva preziose opere d'arte tra cui una Madonna col bambino di Giusto de' Menabuoi, due pannelli con Santi di Giorgio Schiavone e due tele di Giandomenico Tiepolo, raffiguranti San Filippo Neri e San Girolamo Emiliani e una pregevole Deposizione di Jacopo Montagnana. Nell'armadio intagliato in noce del 1563 sono conservati preziosi reliquiari del XV secolo tra cui una croce processionale in argento dorato del 1228, un calamaio d'argento, una croce e due candelieri in argento e cristallo di rocca del XVI secolo. Il presbiterio, inaugurato nel 1997 dopo alcuni lavori di restauro, è adornato con le statue dello scultore toscano Giuliano Vangi. Scesi nella cripta possiamo ammirare l'altare di San Daniele con bassorilievi di Tiziano Aspetti (1565-1607). Nel transetto di destra, in fondo, sull'altare, l'icona raffigurante la Madonna col bambino che un'antica tradizione vuole sia appartenuta al Petrarca il quale credeva che fosse stata dipinta da Giotto. Il sottosuolo della Cattedrale conserva mosaici, resti di colonne, urne di terracotta, pietra lavorate, ossa di bue e di cavallo, forse resti di antichi sacrifici pagani. Alcuni capitelli bizantini con l'iscrizione alla Dea Fortuna si trovano ora al Museo Eremitani, altri oggetti, quali pietre, croci ecc., sono nel Museo Diocesano. Il Battistero Collegato al Duomo è il Battistero romanico intitolato a San Giovanni Battista. L'edificio risale alla fine del XII secolo ma è stato ricostruito nella sua forma attuale nel 1260 e consacrato nel 1281; ha pianta quadrata con alto tamburo circolare e cupola e un'abside con cupoletta. Il ciclo di affreschi voluti da Francesco da Carrara il Vecchio e da sua moglie Fina Buzzaccarini lo rende straordinario: commissionati a Giusto de' Menabuoi rappresenta ancora oggi uno dei cicli pittorici più spettacolari e meglio conservati del Trecento. In tutto un centinaio di scene, eseguite tra il 1375-78 con le storie della Genesi, dell'Apocalisse e di S.Giovanni Battista.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofPiazza Duomo, palazzo e via del Monte Photo ofPiazza Duomo, palazzo e via del Monte Photo ofPiazza Duomo, palazzo e via del Monte

Piazza Duomo, palazzo e via del Monte

Le dimensioni attuali della piazza e del sagrato sono diverse da quelle sedimentate nei secoli, fino all'allargamento e al collegamento viario con l'attuale via Gregorio Barbarigo operato all'inizio del Novecento. Tutto l'angolo sud-est era occupato da fabbricati, in continuazione del fronte meridionale di via dei Soncin, che impedivano la veduta frontale della facciata della Cattedrale dallo sbocco della via nella piazza. Il palazzo del Monte di Pietà Nuovo è un edificio di origine medievale che si innalza tra piazza Duomo e via Monte di Pietà a Padova. La costruzione ospitò il Monte di Pietà dal XVI secolo. Il loggiato trecentesco regge un ampliamento dovuto a Giovanni Maria Falconetto. Si differenzia per essere stata la seconda sede del Monte di Pietà, la prima fu il palazzo del Monte di Pietà Vecchio sulla Stra' Maggiore ora via Dante. Passiamo sotto il loggiato del palazzo del Monte per prendere la via omonima e girare in via Daniele Manin tornando verso piazza delle Erbe.

PictographWaypoint Altitude 59 ft
Photo ofTornando in piazza delle Erbe Photo ofTornando in piazza delle Erbe Photo ofTornando in piazza delle Erbe

Tornando in piazza delle Erbe

Torniamo verso piazza delle erbe e passando davanti alla facciata della chiesa di San Canziano andiamo dentro l’università per cercare il bar Mario e bere lo storico aperitivo “Polifonico” o anche il “Morandino”. Un luogo davvero particolare che si trova all’interno del palazzo del Bo, e avremo modo di visitare anche il museo della goliardia.

PictographMuseum Altitude 56 ft
Photo ofMuseo della goliardia e il bar Mario Photo ofMuseo della goliardia e il bar Mario Photo ofMuseo della goliardia e il bar Mario

Museo della goliardia e il bar Mario

GaudeaMUS!, il Museum Goliardicum Patavinum ha sede all’interno di Palazzo del Bo e si affaccia sul Cortile Nuovo, nell’atrio antistante lo storico bar Mario. Il percorso espositivo di GaudeaMUS!, progettato e realizzato dalla Fondazione Otto Febbraio e finanziato dalla Fondazione Cariparo, si articola in 12 vetrine e tocca i principali aspetti storico culturali della goliardia, il tradizionale spirito che anima le comunità delle studentesse e degli studenti universitari. Obiettivo dell’esposizione, ad accesso gratuito, è quello di mostrare a visitatrici e visitatori, e tramandare alle future generazioni, i valori e le tradizioni secolari di cui la goliardia patavina è da sempre portatrice. GaudeaMUS! vuole spiegare il senso, l’origine e la storia di costumi, manifestazioni e tradizioni studentesche che – se agli occhi esterni possono apparire carnevaleschi, superficiali o grotteschi – hanno invece un significato profondo, che va compreso, riscoperto e tramandato come parte costitutiva del patrimonio culturale del nostro Ateneo e della città di Padova. L’itinerario museale propone 350 tra vestimenti, feluche e documenti; oggetti che danno l’opportunità di assaporare l’interpretazione della Patavina Libertas – filo conduttore del Museo – e di comprendere come tale valore sia stato diversamente espresso nei secoli da studenti e studentesse. Molte delle tradizioni e dei costumi che la goliardia patavina ancora oggi difende e tramanda rappresentano una perpetuazione anche simbolica degli antichi privilegi studenteschi sanciti dalla Costituzione Authentica Habita, emanata nel 1155 dall’imperatore Federico I Barbarossa ed è proprio da qui che inizia il percorso. L’elezione del Tribuno, gli Ordini Goliardici (o Accademie), il dono della gallina al rettore, la figura del Questore del Bo, la questua goliardica, le feluche delle Facoltà, orsine, mantelli, sai, insegne di ogni genere sono disponibili per scoprire le ‘regole’ scritte e non scritte negli anni, contenute nei codici come ‘il Morandini’ o tramandate verbalmente. Altro tema trattato nel Museo, è la musica goliardica. All’interno di GaudeaMUS! sono visibili i testi originali di canzoni che hanno fatto la storia della Goliardia del ‘900 nonché strumenti, storici indumenti e produzioni musicali della celeberrima banda musicale ed Ente Morale Polifonica Vitaliano Lenguazza. A tutto ciò si aggiungono il racconto di memorabili scherzi goliardici (corredati di foto e articoli di stampa), del processo di iniziazione goliardica, del battesimo della feluca, di sagaci manifesti ‘goliardico-politici’ e di molto altro. Una parte è dedicata al papiro di laurea, tradizione unica dell’Ateneo, e alla sua storia con riproduzioni e originali dell’800 e del ‘900.

PictographWaypoint Altitude 92 ft
Photo ofBuoni motivi per bere il Polifonico Photo ofBuoni motivi per bere il Polifonico Photo ofBuoni motivi per bere il Polifonico

Buoni motivi per bere il Polifonico

Dovete assolutamente ordinare il famoso polifonico al bar Mario, aperitivo misterioso di cui non è mai stato indovinato la ricetta. Appeso all’ingresso trovate elencati 69 buoni motivi per berlo. Il prezzo di un bicchiere di polifonico è di €1,70. Se potete assaggiare anche l’altro famoso aperitivo: “il Morandini”.

PictographWaypoint Altitude 92 ft
Photo ofIl bar Mario Photo ofIl bar Mario Photo ofIl bar Mario

Il bar Mario

Il bar da Mario è un luogo leggendario d’incontro della goliardia patavina che si trova all’interno del Bo, sede della facoltà di giurisprudenza. Il piccolo locale ha le pareti ricoperte di cimeli, opere dell’artista Amen e tantissime foto che raccontano la storia del locale. Il titolario, Mario è da sessant’anni testimone degli avvenimenti di uno degli atenei più antichi del mondo, ed è considerato un monumento vivente della città. Dovete assolutamente ordinare il famoso polifonico, aperitivo misterioso di cui non è mai stato indovinato la ricetta. Se siete fortunati di non trovare il locale pieno vi consiglio di fare due chiacchere con Mario e la figlia Stefania, sempre disponibili a raccontarvi aneddoti curiosi. Fate attenzione agli orari del bar infatti chiude alle 18:30 come l’università. Entrando in questo posto è possibile scoprire la storia del Università. Dalla fine degli anni Sessanta, questa piccola bottega/bar è il cuore della goliardia patavina e della sua orchestra polifonica. Mario Sensi, principe del Bo con feluca (il tipico cappello goliardico) e medaglia d’oro, ha visto 58 generazioni di studenti passare per il suo locale; la maggior parte di questi studia Giurisprudenza, ma semplicemente perché si trova nelle sede di questa storica facoltà. Il Bo ha tanti misteri, uno di questi si trova sicuramente nel bicchiere dell’aperitivo “Polifonico”, che potete assaggiare solo da Mario. Inutile fare domande, la ricetta è un segreto del creatore. Il nome, invece, è chiaro: deriva dall’orchestra polifonica goliardica Vitaliano Lenguazza, fondata nel 1958 a Padova. Tra le bottiglie, campeggiano ciondoli con il teschio di bue (storico simbolo dell’Unipd), stemmi dei vari ordini goliardici, feluche e tantissime foto di quasi sessant’anni di storia patavina. Le pareti di questo bar sono un’opera di Amen, pseudonimo del famoso pittore padovano Antonio Menegazzo. Nato al Portello nel 1892, amava lo spirito goliardico che da vita ad ogni caricatura e illustrazione satirica. “Cartellonista” di una nascente pubblicità, ma anche rinomato pittore oltreoceano, nel 1947 lascia il suo segno sulle pareti del Bo. Dalla sua pennellata si materializza la vita dello studente, dalla firma del papiro goliardico destinata alla matricola, fino al giorno della laurea. L’Università di Padova, sede della rivoluzione scientifica, è stata fondata da studenti e professori che desideravano un luogo dove potersi acculturare. i Clerici vagantes, giungevano da tutta Europa per assistere alle lezioni che si tenevano al Bo, nato per essere un centro del sapere, aperto a tutti. E in questo piccolo bar, tra storiche mura, questo spirito non si è mai estinto: “una volta che entri in questo locale cerchiamo di adottarti”, dice Stefania, la figlia di Mario, “e se sei una persona a cui piace sapere sempre qualcosa di nuovo a livello culturale, sei nel posto giusto”. Nelle foto si può vedere “Un metro di polifonico”, i dipinti di Amen sul muro e la foto dei cappelli “le feluche”.

PictographWaypoint Altitude 92 ft
Photo ofLe foto sotto bancone e i medaglioni Photo ofLe foto sotto bancone e i medaglioni Photo ofLe foto sotto bancone e i medaglioni

Le foto sotto bancone e i medaglioni

Se il locale non è pieno Mario o la figlia Stefania, saranno disponibili a raccontarvi aneddoti curiosi, sui vari cimeli appesi, tra le bottiglie, campeggiano ciondoli con il teschio di bue (storico simbolo dell’Unipd), stemmi dei vari ordini goliardici, feluche e tantissime foto di quasi sessant’anni di storia patavina. Potranno dirvi molte cose anche sui i dipinti al muro o sulle foto sotto al bancone. Foto che racconto di memorabili scherzi goliardici, del processo di iniziazione goliardica, del battesimo della feluca, di sagaci manifesti ‘goliardico-politici’ e di molto altro. L’elezione del Tribuno, gli Ordini Goliardici (o Accademie), il dono della gallina al rettore, la figura del Questore del Bo, la questua goliardica, le feluche delle Facoltà, orsine, mantelli, sai, insegne di ogni genere sono disponibili per scoprire le ‘regole’ scritte e non scritte negli anni, contenute nei codici come ‘il Morandini’ o tramandate verbalmente.

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofGhetto Ebraico Photo ofGhetto Ebraico Photo ofGhetto Ebraico

Ghetto Ebraico

A sud della Piazza delle Erbe si trova la zona del ghetto ebraico, operante dal 1603 e abolito nel 1797. Era chiuso di notte da quattro porte: quella settentrionale in via delle Piazze, poco a sud di San Canziano; quella orientale in via San Martino e Solferino, vicino allo sbocco in via Roma; quella occidentale nella stessa strada, prima dell'incontro con via dei Fabbri; quella meridionale in via dell'Arco, dove confluisce in via Marsala. La prima grande Sinagoga di Padova fu quella di rito tedesco, inaugurata nel 1683 in via delle Piazze. Era collegata a sud con la sinagoga di rito spagnolo che aveva di fronte quella di rito italiano, l'unica tuttora funzionante. Fu trasformata nel 1892 per accogliervi anche i fedeli di rito italiano e spagnolo. Nel 1943 fu devastata da un incendio doloso. Il restauro è stato completato nel 1998. Nonostante le trasformazioni e i rifacimenti il Ghetto conserva la sua impronta con le caratteristiche case alte, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, come le quattro colonne con capitelli tutti diversi in via San Martino e Solferino, di fronte all'imbocco di via dell'Arco. Oggi in questa zona si concentrano molte enoteche e localini tipici. Per questo il momento migliore per passeggiare nel ghetto e viverne in pieno l'atmosfera è il tardo pomeriggio, quando le osterie e i locali della zona si riempiono di giovani che si ritrovano per un'ombra e quatro ciacoe. Ce n'è un po' per tutti i gusti: i locali frequentati dagli studenti, chiassosi ma "alla mano", piccole enoteche dall'atmosfera romantica e tranquilla, wine bar molto alla moda... fai un giro nel ghetto e scegli quello che ti si addice di più! Attenzione però: di domenica è molto difficile trovare un locale aperto...

PictographWaypoint Altitude 56 ft
Photo ofCasa Bonaffari Photo ofCasa Bonaffari Photo ofCasa Bonaffari

Casa Bonaffari

Venendo dal quartiere ebraico verso piazza duomo ci soffermiamo su casa Bonaffari prima di proseguire per piazza del Castello su Via San Gregorio Barbarigo. Casa Bonaffari è una delle poche case costruite dai familiari e dai collaboratori dei Carraresi che si siano conservate sino ad oggi è l'elegante palazzetto Bonaffari, posto in posizione centrale nella piazza del Duomo, proprio di fronte alla chiesa. È impossibile risalire all'aspetto architettonico originario dell'esterno, in quanto l'attuale è il risultato dei restauri novecenteschi che l'hanno liberato di pesanti superfetazioni cinquecentesche. Originale e interessante è il cortile interno, scandito da tre ordini di logge sovrapposte. Nel 1370 l'edificio risultava proprietà di Jacobello da Milano, poi passò a Baldo dei Bonaffari da Piombino, studente di diritto presso lo Studio patavino nel 1381, poi giurista e consigliere della famiglia carrarese. Incaricato di delicate ambascerie anche presso i Visconti, Baldo dei Bonaffari si era distinto per una fedelta integerrima nei confronti di Francesco Novello, che l'aveva premiato favorendo il matrimonio con la ricca Sibilla de Cetto. Con la moglie progetto, finanzio e realizzo la costruzione dell'Ospedale e della chiesa di San Francesco.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofPiazza del Castello Photo ofPiazza del Castello Photo ofPiazza del Castello

Piazza del Castello

Il Castello Carrarese costituisce uno dei più importanti beni storici, architettonici, artistici e militari di Padova. L'antico edificio sorge sull'area che un tempo ospitava il castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256, come perno difensivo della cinta muraria duecentesca. Castello Carrarese A costituirne la traccia più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri dell'antico castello. Caduto il tiranno le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi che fece ricostruire il Castello. I Carraresi fecero, inoltre, dipingere le due torri a scacchi bianchi e rossi, così come Giusto de' Menabuoi nel 1382 le rappresentò nella veduta della città, affrescata nella cappella del Beato Luca Belludi nella basilica di Sant'Antonio. Tutto il castello dunque era decorato dentro e fuori, e i restauri degli ultimi dieci anni eseguiti negli ambienti dell'osservatorio hanno consentito di riportare alla luce visibili tracce di vivo colore rosso e di bianco negli angoli più nascosti della Specola che su quel castello fu edificata. Il Castello venne collegato alla Reggia Carrarese dal traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di collegare i centri del potere politico e militare. Con la costruzione delle mura rinascimentali e a seguito del lungo periodo di pace di cui godette la città sotto il dominio della Repubblica di Venezia, il valore strategico del Castel Vecchio di Padova, così veniva ormai denominato nel Settecento, venne meno. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnuovo sul versante est delle mura ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni. Il Castello nella signoria dei Carraresi La data e la paternità del nuovo castello trecentesco trovano la prima diretta conferma nel rinvenimento, avvenuto attorno al 1810, di un pozzo, trovato nel grande cortile situato all'interno di quella parte del castello trasformata in carcere agli inizi dell'Ottocento. Il pozzo era formato di pietre in una delle quali era scolpita la data: 12 giugno 1374, e il nome dell'illustre Francesco settimo dei Carrara, principe di Padova, costruttore di questo edificio. Nel 1990, in un locale al primo piano della settecentesca casa dell'astronomo, fu rinvenuta una seconda firma dell'illustre principe: sotto l'intonaco settecentesco apparvero i resti di una decorazione floreale con le iniziali FC, ovvero Francesco da Carrara. I resti del Castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il Castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra e tuttora l'Amministrazione carceraria padovana ha alcuni uffici in piazza Castello. La trasformazione in Specola aveva costretto l'architetto Cerato a restaurare quelle che nei suoi disegni erano chiamate "fabbriche dirupate"; nella nuova casa dell'astronomo tutti i muri erano stati intonacati nascondendo così i resti delle antiche decorazioni. Anche l'antico scalone che dal pianoterra portava, attraverso una loggia, alla torre e alle mura occidentali del castello, fu in parte modificato per necessità strutturali, pur conservando l'antico percorso e le colonnine di sostegno alla loggia soprastante. Gli interni Un altra notevole testimonianza rinvenuta sempre al primo piano, è la decorazione di una parete con pappagalli. Le cronache del tempo narrano della stanza dei pappagalli dove mangiava il principe di Padova quando soggiornava al castello. Di questa decorazione si erano perdute traccia e collocazione; qualche storico riteneva si trovasse nella reggia dei Carraresi, e che fosse andata definitivamente perduta. Ora sappiamo con certezza che Francesco da Carrara aveva fatto decorare tutti gli ambienti del castello difensivo, un luogo dove si recava per visitare le truppe e dove poteva soggiornare e pranzare in una grande stanza rallegrata da numerosi pappagalli dipinti sui muri; dalle cronache apprendiamo anche come il suo copricapo fosse adornato con le penne degli esotici uccelli. Anche al pianoterra della casa dell'astronomo sono state rinvenute decorazioni floreali in parte restaurate, mentre nella volta di quell'ambiente della torre dove nel pavimento si trovava il foro di accesso alle prigioni di Ezzelino, e dove nella prima metà del Settecento erano depositate le polveri da sparo, è stato riportato alla luce il grande carro, lo stemma dei carraresi, che necessita ancora, assieme ad altre tracce decorative sulle pareti, di un accurato restauro. In questo ambiente ora è collocata la biblioteca dell'osservatorio, che fra qualche anno potrà essere spostata in ambiente più idoneo. Si potrà così procedere al restauro delle decorazioni a fresco e destinare ad uso museale quello che un tempo era il triste luogo di accesso all'orribile prigione voluta da Ezzelino. Una testimonianza, rimasta integra nel tempo, è la Madonna con Bambino situata in un ambiente a nord della grande torre, lungo il percorso occidentale delle mura carraresi. I recenti restauri hanno confermato l'opinione che la Madonna trecentesca, da sempre visibile nei locali della Specola, non si trovasse all'interno di una cappella votiva, bensì fosse collocata all'aperto, all'interno della sommità della torretta difensiva sopra menzionata, di cui ora si possono vedere anche all'interno particolari architettonici come le merlature e le feritoie per il lancio di munizioni. Si tratta dunque dell'effigie di una Madonna collocata in un luogo dove poteva servire di protezione ed incoraggiamento per i soldati nel caso di attacco al castello. Alla Specola dunque si trovano prestigiose testimonianze del Castel Vecchio di Padova. Non rimane nulla, invece, se non qualche testimonianza scritta, di un precedente castello con un alta torre detta Torlonga edificato nel decimo secolo a difesa della città ai tempi delle invasioni degli Ungari, come viene riferito dallo storico padovano Giuseppe Gennari in una sua opera del 1776 riguardante il corso dei fiumi in Padova. Ma quell'edificio e la Torlonga non esistevano più quando Ezzelino da Romano decise di costruire il suo castello: è probabile che fossero crollati durante il disastroso terremoto del 1117 che mandò in rovina molti prestigiosi edifici, compresa la cattedrale, non solo a Padova, ma in quasi tutta la pianura padana. Castello Carrarese Il Castello ritrovato Il Castello è oggetto di opera di restauro e di bonifica sia della struttura che degli affreschi, nella prospettiva di essere restituito, in maniera quanto più integrale, alla città. Le opere di tutela del Castello mirano a farlo diventare un'importante polo culturale cittadino attraverso una serie di progetti ed iniziative che prenderanno forma una volta completati i lavori di bonifica e restauro.

PictographWaypoint Altitude 46 ft
Photo ofVia San Tommaso, ponte Sant’Agostino e la riviera Paleocapa Photo ofVia San Tommaso, ponte Sant’Agostino e la riviera Paleocapa Photo ofVia San Tommaso, ponte Sant’Agostino e la riviera Paleocapa

Via San Tommaso, ponte Sant’Agostino e la riviera Paleocapa

Dalla piazza del castello prende via San Tommaso passando davanti alla chiesa omonima e oltrepassare il ponte di Sant’Agostino per arrivare sulla riviera Paleocapa. Padova è una città di porte ma anche di ponti, perlopiù di origine romana: i veri Belvedere della città dei quali si può comprendere la sua importante relazione con l’acqua e i canali che la bagnano. Uno dei più panoramici è Ponte Molino. Invece dal ponte di Ferro (passerella di San Benedetto) nel mese di giugno, potete respirare il profumo pungente dei tigli in fiore e scrutare all’orizzonte il ponte dei Tadi. Se proseguite a piedi percorrendo tutta la Riviera Paleocapa, arriverete al ponte omonimo e ammirerete un altro monumento padovano, la Specola, sede museale dell’osservatorio astronomico. Altri scorci sulla città, e altri ponti di interesse sono: ponte San Gregorio Barbarigo, ponte San Leonardo, ponte della Morte, ponte di San Lorenzo, ponte Sant’Agostino.

PictographWaypoint Altitude 52 ft
Photo ofPonte Paleocapa e la Madonna dell’acqua lurida Photo ofPonte Paleocapa e la Madonna dell’acqua lurida Photo ofPonte Paleocapa e la Madonna dell’acqua lurida

Ponte Paleocapa e la Madonna dell’acqua lurida

A questo incrocio con il caffè la specola trovate il ponte Paleocapa dove potrete osservare un’altra particolarità di Padova: la Madonna dell’acqua lurida. La vedete con lo sfondo della torre sulla Specola.

PictographWaypoint Altitude 39 ft
Photo ofLa specola Photo ofLa specola Photo ofLa specola

La specola

Da piazza Accademia Delia il vicolo dell’osservatorio porta alla Specola (osservatorio astronomico di Padova) sotto la torre, all’ingresso, trovate il cartello con info su orari apertura e biglietti che si acquistano presso l’oratorio di San Michele. Si prosegue il cammino passando sotto l’arco per accedere alla piazzetta di San Michele.

PictographWaypoint Altitude 43 ft
Photo ofOratorio di San Michele e Chiesa del Torresino Photo ofOratorio di San Michele e Chiesa del Torresino Photo ofOratorio di San Michele e Chiesa del Torresino

Oratorio di San Michele e Chiesa del Torresino

L'edificio che vediamo oggi è quanto rimane dell'antica chiesa dedicata a San Michele e ai Santi Arcangeli, che ospitava anche altri affreschi di Jacopo da Verona. La Cappella di Santa Maria fu eretta a seguito di un incendio, avvenuto durante l'assedio del vicino Castelvecchio nel corso della riconquista di Padova ai Visconti da parte dell'ultimo Signore, Francesco II Novello da Carrara. Gli affreschi che decorano la cappella di Santa Maria della chiesa di San Michele, realizzati nel 1397 da Jacopo da Verona, sono incentrati sul ciclo mariano. I soggetti rappresentati sono Annunciazione, Natività e Adorazione dei magi, Ascensione, Pentecoste, Morte della Vergine e San Michele. Nel sottarco della cappella busti di Evangelisti e Dottori della Chiesa. Una lapide ancora in sito conferma la paternità di Jacopo da Verona e testimonia che la Cappella fu voluta nel 1397 da Piero, figlio di Bartolomeo de Bovi, cugino di Piero di Bonaventura, ufficiale della zecca dei Carraresi. L'attuale edificio è frutto di un ampliamento ottocentesco. Altri lacerti di affreschi, anche cinquecenteschi, decorano le parti già pertinenti alla navata. Dagli affreschi emerge la figura di un pittore eclettico, che accanto agli elementi derivati dalla formazione presso Altichiero, della cui arte offre una visione più domestica, ne accoglie altri presi da Giotto, Avanzi e Giusto Menabuoi. Il tono borghese e, si potrebbe dire, quotidiano della decorazione si contrappone alle eleganze aristocratiche che avevano caratterizzato la cultura figurativa cittadina negli anni immediatamente precedenti. Ancora una volta è particolarmente insistente l'attenzione ritrattistica nelle scene dell'Adorazione dei Magi e della Dormitio Virginis. In quest'ultima compaiono personaggi che sono stati variamente identificati in Petrarca, Francesco il Vecchio e Francesco II Novello da Carrara e lo stesso Bovi raffigurato a capo scoperto in primo piano. E' stato ipotizzato, che qui Jacopo abbia lavorato con aiuti, forse i suoi due figli, ricordati dai documenti come pittori. Dall’orario di San Michele si prosegue lungo Riviera Tiso da Camposampiero e si gira a destra in via Arrigo Boito e successivamente a sinistra su via del Torresino fino alla chiesa. Al termine di via del Torresino arriviamo alla chiesa detta del Torresino, una delle più interessanti di Padova. La sua storia richiama i tempi tragici di una delle pestilenze più devastanti per la città nei quali unica difesa era affidarsi alla Vergine Maria. Venne dato l’incarico della costruzione di un tempio in onore della Vergine a uno dei più famosi architetti del tempo, Girolamo Frigimelica, che ebbe vita non facile a causa di gravi dissidi con i figli che tentarono di spodestarlo per un suo amore, pare, per una donna che era al suo servizio. Andòa Modena in volontario esilio alla corte del duca Rinaldo d’Este senza vedere conclusa la sua opera. Dalle antiche origini all’attuale Santuario Risale al XIV secolo la più antica origine della Chiesa di Santa Maria del Pianto, oggi parrocchia Madonna Addolorata, quando, nel 1403[1], venne edificata una semplice cappella a protezione di una effige della Pietà dipinta sulla parete di una delle torri di vedetta delle mura medievali della città di Padova. Per questo conosciuta, a tutt’oggi, anche come Chiesa del Torresino. La venerazione per l’effigie dell’Addolorata si fa risalire tra il 1492 e il 1500, quando Padova venne colpita dalla pestilenza. In un documento celebrativo del 1900, in riferimento al 1403, è scritto: “Grande infatti era la venerazione per la B. Vergine e tutti, ricchi e poveri, nobili e plebei accorrevano al suo santuario a chiedere una grazia o ad offrire sull’altare fiori, ceri o elemosine, secondo le proprie forze. Molte sono le tabelle[2] in questa epoca che pendono dalle colonnine laterali o dai muri in rendimento di grazie ricevute”. In seguito alla lunga dominazione veneziana (1405 – 1797), essendo stati pacificati i territori circostanti la città, le mura non risultarono più necessarie alla difesa e furono parzialmente demolite. La demolizione determinò il danneggiamento della cappella e, in seguito alla demolizione della stessa, anche l’effige della Madonna fu danneggiata. Nel 1479 i canonici di San Giorgio in Alga, del vicino monastero di Santa Maria in Vanzo, promossero la costruzione di una piccola chiesa nei pressi della cappella. E’ a questo periodo che potrebbe risalire la realizzazione del nuovo affresco della Pietà, ancora oggi inserito nell’altare maggiore. Il radicale intervento di rinnovamento delle strutture, con la realizzazione dell’attuale edificio come santuario mariano, avvenne nel XVIII secolo. Daniele Trabaldi, membro della confraternita di Santa Maria della Pietà e tipografo del vicino seminario, propose l’ampliamento della chiesa esistente affidandone la progettazione al conte Girolamo Frigimelica (AF 04). Definito il progetto tra il 1718 e il 1719, i lavori ebbero inizio nel 1720 proseguendo, a ritmi alterni, a seconda delle donazioni dei fedeli e dei prestiti ottenuti (AF 05). L’assistenza del Frigimelica probabilmente terminò nel 1722, anno in cui partì per Modena dove rimase fino alla morte. L’architetto continuò ad interessarsi alle ulteriori opere edilizie del Torresino anche da lontano inviando nel 1726 il disegno che gli era stato richiesto per la facciata e il vestibolo. I lavori, seguiti da uno dei suoi collaboratori più qualificati che lo aveva affiancato nel cantiere, il padovano Sante Bonato, continuarono nel corso degli anni trenta e quaranta con il consolidamento, la decorazione e l’arredamento della chiesa, finalmente consacrata nel 1753 dal vescovo di Padova, cardinale Carlo Rezzonico (AF 06), futuro papa Clemente XIII. L’architetto Girolamo Roberti Frigimelica (Padova, 1653 – Modena, 1732) Agli inizi del XVI secolo, un gruppo di architetti veneti, come Sebastiano Serlio e Vincenzo Scamozzi, perseguiva la ricerca di un nuovo linguaggio architettonico. Nello stesso periodo un gruppo di architetti che gravitava a Padova intorno alla figura di Girolamo Frigimelica, rielaborava la lezione classico – palladiana con uno studio rigoroso delle simmetrie, il gusto per la decorazione e l’arredo. Il Frigimelica, architetto padovano, fu anche un erudito e un cultore di letteratura classica, fu poeta e importante librettista. La sua passione per le attività di tipo speculativo e letterario lo portò ad aderire all’Accademia dei Ricovrati[3] sin dal 1675 e a costituire a Padova una propria accademia di architettura. Quanto la cultura umanistica possa essere stata di supporto ad arti di tipo tecnico è evidente se guardiamo all’opera di Frigimelica. Il suo essere un artista-umanista, dedito alle lettere e alle scienze oltre che alle arti figurative, di sicuro giovò al Frigimelica architetto, studioso delle proporzioni e degli effetti scenografici delle sue opere. Attivo a Padova, Vicenza, Strà e Modena. A Vicenza progettò la chiesa di San Gaetano (AF 07), a Padova progettò la chiesa di Santa Lucia e lavorò anche alla fabbrica del Duomo, a Strà progettò Villa Pisani. Ma il suo capolavoro, che è anche il compendio della sua cultura intrisa di classicità, è la Chiesa del Torresino in Padova. L’esperienza architettonica del Frigimelica derivava proprio dallo studio delle riedizioni dei libri serliani e delle architetture di Scamozzi, come la Chiesa di San Gaetano di Padova e il disegno del tempio di Bacco di Serlio (AF 08 e AF 09), da cui trasse non poche indicazioni all’impianto della Chiesa del Torresino. Quasi certamente Villa Capra Valmarana, La Rotonda e I quattro libri dell’architettura del Palladio, oltre agli studi del Serlio citati, furono da guida al Frigimelica nel disegnare una chiesa a pianta centrale con aggiunta di un atrio rettangolare. La sua cultura barocca è presente nella concezione scenografica dello spazio interno, con le otto colonne che fermano lo sguardo sull’altare maggiore avendo sullo sfondo il quadro dell’Addolorata, (AF 10) mentre la cultura rinascimentale di derivazione classica è presente nelle proporzioni dell’atrio e nelle divisioni degli spazi della facciata, con le colonne corinzie a reggere il timpano (AF 11). *L’esilio di Girolamo Frigimelica* A lavori non ancora ultimati il Frigimelica si trasferì a Modena; in questo fu determinante il Conte padovano Benedetto Selvatico che era entrato al servizio del duca Rinaldo d’Este (AF 12) già nel 1719. Nel tempo, la posizione del Selvatico a corte si era andata deteriorando, odiato anche dai figli di Rinaldo in quanto artefice del forte contenimento delle spese volto a sanare il dissesto della casa estense. Il Selvatico aveva cercato quindi l’appoggio di Girolamo e, facendo leva sulla necessità di questi di allontanarsi da Padova, ne aveva favorito la collocazione a corte. A spingerlo a lasciare Padova e a costringerlo al volontario esilio, come egli stesso lo aveva definito, furono le liti familiari: era infatti da anni in lite con i figli maschi che gli avevano intentato numerose cause legate alla gestione del patrimonio familiare e ai continui tentativi di spodestarlo da capo della Casa. Il primogenito Antonio, nato dal matrimonio con la contessa Chiara Zacco, e già legato ad una donna con la quale aveva avuto dei figli, non aveva nessuna intenzione di sposarsi assumendosi la responsabilità di futuro capo famiglia. Ecco cosa ne scrive il padre: “è portato all’interesse in eccesso non per accumulare, ma per consumare il dannaro nei suoi vizj”. Giovanni Andrea, nato dal secondo matrimonio con Maddalena Falier, aveva invece sposato Antonia Buzzaccarini, frutto di un patto tra i due fratelli. Riferendosi ad Antonio, il padre scrive ancora: “questi per continuare negli amori poco onesti, hà lasciato maritare il fratello, ed hà persuaso mè a lasciarlo maritare: poi si sono uniti tutti insieme contro di mè”, cioè insieme agli altri due maschi, di secondo letto, Giacomo e Francesco, religiosi dell’ordine dei Teatini, che Girolamo riteneva complici di Antonio e Giovanni Andrea. Ma al di là delle vicende giudiziarie ciò che più pesava al Frigimelica era il non detto circa le vere motivazioni che inducevano i figli a trarlo in giudizio, così da indurre il sospetto che vi fosse una qualche indegna situazione a suo carico rovinandogli la reputazione. L’accusa dei figli, mai formalmente espressa, si trova in uno dei memoriali nel quale Girolamo scrive: “Il Co. Andrea fu così scellerato di andar cercando, se io avessi sposato donna di condizione a me inferiore (…). Da ciò in gran parte è venuta la risoluzione, l’abbandonar la Casa, e la Patria, e darmi a questa estrema disperazione d’un volontario esilio, ma reso necessario dalle persecuzioni de’ figli”. Si trattava di Giustina Bissonata, che lavorava come domestica in casa Frigimelica dal 1697 e che lo seguì a Modena, dove sarebbe passata per sua moglie. L’ostilità dei figli sembra nascesse dall’influenza che, secondo loro, la donna aveva sul padre nell’amministrazione del denaro. In effetti, il fatto che la Bissonata fosse riuscita a sistemare tutta la famiglia alle dipendenze del Frigimelica e che tutti si premurassero di ossequiare la donna con saluti poco confacenti a una domestica sembra confermare l’esistenza degli stretti rapporti che si erano andati a stabilire tra Girolamo e Giustina. In seguito a una lite tra Giustina e un’altra domestica, quest’ultima fu cacciata di casa. La cameriera fu accolta in un convento sotto la protezione dei Buzzaccarini che si schierarono apertamente contro il Frigimelica. Benedetto Selvatico aveva usato forti argomenti per convincere Girolamo a trasferirsi: grandi guadagni, la possibilità di disporre liberamente dei suoi beni di sussistenza, un alloggio comodissimo, ecc. In realtà il Selvatico, al quale serviva semplicemente un alleato a corte, intendeva riservare all’amico una posizione puramente “decorativa”, ininfluente, di letterato, precettore o poeta cesareo, visti i suoi trascorsi di librettista di molte opere e poeta, con gli Epigrammi italiani (1697). Il Selvatico riuscì a inimicarsi del tutto i figli del duca che giunsero a minacciarlo pesantemente. In seguito a queste minacce il conte fuggì precipitosamente da Modena portando con sé carte riguardanti segreti di stato. Accusato dal duca di diserzione e di lesa maestà fu condannato a perpetua infamia. A Frigimelica, al contrario, entrato nelle grazie del duca, vennero affidati importanti incarichi diplomatici tra cui il ruolo di “Ambasciatore veneto presso la casa Estense”. Terminando, nel 1731 con la nomina a “Ministro di stato”. Soppiantato a corte dall’amico Girolamo, il Selvatico gli giurò odio eterno e gli intentò una causa per la “Francazione d’un Capitale Livellario di 2000 ducati”. Si trattava dell’ennesima causa cui dovette far fronte. Anche a Modena non riuscì a trovar pace, tanto che la speranza dell’agognato rientro in patria, restò pura illusione. *La Chiesa del Torresino e i suoi tesori* La facciata della Chiesa era inizialmente costituita da un corpo centrale a due ali; quella di sinistra fu demolita all’inizio del ’900. Il gioco dei piani, l’inserimento delle colonne che interrompono la geometria piana, l’uso di un ordine minore nei corpi laterali presenta una graduazione prospettica che prepara al dinamismo delle superfici curve del corpo della chiesa. Ciò si evidenzia anche nell’inserimento delle porte negli intercolumni con il motivo borrominiano della sovrapposizione delle finestre alle porte laterali senza soluzione di continuità (AF 11). Sopra il portale maggiore è inserita l’iscrizione che ricorda l’anno dell’officiatura della chiesa (AF 13). Il frontone triangolare è decorato con un bassorilievo raffigurante la Pietà, attribuito a Francesco Bonazza (AF 14). Il tema della Passione di Cristo e del dolore della Madonna è ripreso nelle cinque sculture poste alla sommità della facciata con la raffigurazione dei principali testimoni della crocifissione[4]. (AF 15 e AF 16)) La veduta da ovest del complesso dell’edificio richiama, nel campanile e nel tiburio merlato, che racchiude la cupola nascondendone all’esterno il volume emisferico, l’antica origine della chiesa (AF 17). Interessante e suggestiva anche la veduta absidale esterna dell’edificio che ancora una volta conferma la dinamicità delle forme e dei volumi e il tradizionale gusto barocco di origine borrominiana dell’architettura di questa chiesa (AF 18). L’interno è caratterizzato dalla solennità delle strutture con statue disposte su tutto il perimetro dell’edificio. L’atrio rettangolare introduce all’aula circolare attraverso un grandioso arco a tutto sesto con efficace effetto scenografico. Nell’atrio si trovano una tela raffigurante Padova che invoca la Madonna per la liberazione dalla peste del 1691 (AF 19), commissionata dalla Confraternita di Santa Maria della Pietà a Francesco Onorati, a ricordo della liberazione dalla pestilenza che colpì Padova agli inizi del 1500, avvenuta per intercessione della Madonna, e una tela del Seicento raffigurante la Natività di Gesù, opera di Giulio Cirello (fine secolo XVII). Al di sopra del portale maggiore è collocato un dipinto realizzato nel 1863 da Ferdinando Suman[5] raffigurante l’Apparizione della Madonna a un artigiano (AF 20). Secondo un racconto di Flaminio Corner[6], la Madonna annunciò la fine della peste e per dar maggior prova dell’evento, che sarebbe avvenuto da lì a una settimana, fece sbocciare delle rose in pieno inverno. Ai lati dell’arco due ordini di nicchie; in quelle inferiori sono collocati, a sinistra un Crocifisso processionale (AF 21), scultura lignea del XVIII secolo e a destra il fonte battesimale. Due sculture in pietra di Costozza raffiguranti la Fede e la Religione di Tommaso Bonazza, trovano posto nelle due nicchie superiori. Oltre l’arco, l’aula circolare è raccordata a tre cappelle in cui sono collocati i due altari laterali con, al centro, l’altare maggiore collocato sotto la cupola racchiusa nella torretta e sorretta da otto colonne corinzie (AF 22). Nelle nicchie del vano dell’emiciclo sono collocate otto statue di Antonio Bonazza rappresentanti da sinistra la Pazienza, la Prudenza, la Verginità, la Purezza, l’Umiltà, la Carità, (AF 23) la Castità, l’Innocenza. Sono opere di altissima qualità databili verso il 1741. Alle sculture si alternano quattordici tele raffiguranti gli episodi della Via Crucis. L’altare di sinistra, realizzato in marmo rosso di Verona, ospita la tela con la Natività di Gesù di Guy Louis Vernansal[7] realizzata nel 1722. Sull’altare di destra è collocata una seconda tela dello stesso Vernansal, raffigurante la Natività di Maria risalente al 1723 (AF 24). Nella cappella centrale l’altare maggiore accoglie il lacerto d’affresco raffigurante la Pietà (AF 25). L’affresco, restaurato più volte, è ora collocato all’interno di una cornice lignea decorata con semicolonne corinzie scanalate. Ai due lati dell’altare due sculture in pietra di Costozza per la mano di Giovanni Bonazza. A sinistra San Giovanni evangelista, (AF 26) a destra Santa Maria Maddalena. I pennacchi della cupola (AF 27), affrescati da un ignoto autore settecentesco, raffigurano quattro episodi della vita di Gesù: La fuga di Maria e Giuseppe con Gesù in Egitto, Gesù che sale sul monte Calvario (AF 28), Gesù innalzato sulla croce e il Compianto su Cristo morto, variazione sul tema della Pietà dove compaiono, accanto alla Madonna e al Cristo deposto ai piedi della croce, anche le altre Marie e l’apostolo Giovanni. Superiormente, entro finte nicchie, l’immagine di quattro profeti: Mosè con le tavole della legge, Isaia, profeta della nascita di Gesù, Daniele e Davide. Dall’atrio si accede alla cappella invernale, già sagrestia. Al suo interno sono collocati una tela raffigurante L’Eterno Padre benedicente tra angeli (AF 29)di ignoto autore settecentesco e un grande bassorilievo ligneo riproducente la Pietà, (AF 30) realizzata nel 1940 dallo scultore Amleto Sartori[8]. Nella cappella si trovano anche una scultura lignea settecentesca raffigurante San Francesco di Paola (AF 31) e una serie di tavolette in legno dipinto con immagini della Pietà, di Angeli e del Monogramma mariano databili tra il XVI e il XVII secolo. Proseguiamo poi su via Andrea Memmo costeggiando il seminario maggiore di Padova per incrociare nuovamente via Umberto I. Quindi andiamo a destra per ritornare a Prato della Valle.

PictographWaypoint Altitude 46 ft
Photo ofritorno a Prato alla Valle e Abbazia di Santa Giustina Photo ofritorno a Prato alla Valle e Abbazia di Santa Giustina Photo ofritorno a Prato alla Valle e Abbazia di Santa Giustina

ritorno a Prato alla Valle e Abbazia di Santa Giustina

Ritornati a Prato della Valle ci rechiamo all'Abbazia di Santa Giustina

Comments

    You can or this trail