La Ferrovia d'Irpinia: Treno storico da Avellino a Rocchetta S.Antonio-Lacedonia
near Atripalda, Campania (Italia)
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Trail photos
Itinerary description
Passa qualche giorno e Gerardo mi scrive: "Stamattina passa in edicola a comprare il Quotidiano del Sud". Questa è la storia di una meravigliosa esperienza e del mio primo articolo da giornalista (e ultimo, probabilmente!).
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Articolo pubblicato su "Il Quotidiano del Sud" del 18/09/2022
Immagina un territorio dalla storia remota, ancestrale. Una stirpe antica, che ha saputo dare del filo da torcere a Roma e mantenere nei secoli una propria forte identità. Una terra aspra che trema dalle sue viscere vulcaniche, ma anche dolce che sa regalare prodotti incredibili e scorci mozzafiato.
Immagina una stazione. Non particolarmente bella, ammettiamolo. Silente, sospesa, deserta. Avellino.
La complessa macchinazione politico-burocratica di stampo prettamente italico ci è riuscita, qui, in questo capoluogo di provincia. La strada ferrata che cade sconfitta dalla sua cugina di bitume, processo condensato (da Wikipedia) in un termine raccapricciante: “stazione autososituita”.
Immagina un treno. Uno sferragliante mastodonte metallico che fischia, stride, barrisce nervoso lungo la salita, espira leggero in discesa. Un mezzo che trasmette a chi viaggia la sensazione vibrante di movimento e di fatica.
Immagina un viaggio. 119 chilometri. Neanche un’ora di macchina su autostrada, dove per rompere la monotonia del percorso, ti fiondi disperato nel primo Autogrill, a costo di sfidare venditori di calzini, ladri d’auto, orde di ragazzini in gita e l’immancabile tanfo di urina del parcheggio.
Immagina invece uno spostamento fisico, nel quale la destinazione perde di significato ed anzi il tragitto diventa il vero protagonista.
Colline, borghi arroccati, Vigneti (con la V maiuscola perché parliamo di Aglianico e di Taurasi). Una galleria. Due. Diciannove in totale.
Un fiume. Un ponte in ferro battuto. Due. Cinquantotto (!). Opere d’arte prima ancora che opere ingegneristiche. Paternopoli, Castelvetere, Castelfranci, Montemarano.
E mentre cerchi di ricordare se a fine ‘800 bulldozer e betoniere esistessero già o meno (NO che non esistevano, e quelle traversine le hanno posate a mano una per una i nostri tris-nonni), il sole ti accieca e si spalanca una vallata. Sono i Picentini, dove castagne, tartufi, formaggi, perfino l’acqua hanno un valore unico. Cassano, Montella, Bagnoli, Nusco, S. Angelo, Lioni.
Poi l’Irpinia più brusca si apre e si ammorbidisce, e man mano i colori virano dal verde intenso all’ocra, che sa di Lucania. Uno specchio d’acqua che abbaglia. Un borgo avvinghiato sul fianco di una rupe rocciosa che sembra possa scivolare a precipizio da un momento all’altro.
A bordo del vagone anni 70’ gli uomini (e le donne) della terra raccontano con entusiasmo trascinante cosa significa questo viaggio, oggi. Si beve il vino, quello che nasce dai vigneti che puoi toccare con la mano se ti sporgi dal finestrino (occhio ai rovi) e si assaporano i prodotti del luogo.
Tre meravigliose regioni si toccano in questo angolo di Appennino e il convoglio danza lascivo lungo i confini nel suo sinuoso movimento. Conza, Cairano, Calitri, le pendici del Monte Vulture, un altro gigante vulcanico, sonnolento e benevolo.
E piano piano, a 20 meravigliosi chilometri orari, si compie un altro lento viraggio cromatico: è il momento del giallo oro abbacinante dei campi e delle masserie, che grida Puglia, grano duro e ulivi secolari. Colline dolci, riarse dal sole di mezzogiorno e sferzate dallo scirocco fanno volare l’immaginazione verso Oriente.
Capolinea. Rocchetta Sant’Antonio, un tempo crocevia di importanti strade ferrate, porto di terra dal quale salpavano avventurieri in cerca di fortuna, mascalzoni, professori, lavoratori migranti, nobili famiglie.
È questa la magia del viaggio lento, della locomotiva, della ferrovia storica ed eroica, dei borghi (che tutto sono fuorché MINORI), degli accenti che mutano, delle tradizioni rurali, del contatto umano (a chi serve Tripadvisor?), di donne e uomini della terra che si sono battuti per riportare in vita un pezzo del nostro passato e per trasformarlo in un pezzo del nostro futuro.
Perdersi tutto questo è peccato mortale.
Filippo (Piacenza)
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INFO tratte da Fondazione FS
LA LINEA:
Un’ardita opera ingegneristica che rappresenta la principale linea interna
della Campania, costruita per l’attraversamento dell’Appennino. La progettazione della Ferrovia dell’Irpinia venne realizzata dalla Società per le strade Ferrate del Mediterraneo in tre tempi: il primo tratto inaugurato fu quello
fra Rocchetta e Monteverde nel 1892, seguì il tratto da Avellino a Paternopoli nel 1893 e il completamento del tratto centrale nel 1895. Avviata con
una percorrenza giornaliera di 3 treni la linea è sempre rimasta confinata al
trasporto locale con un modesto numero di viaggiatori sia per i lunghi tempi
di percorrenza sia per la mancanza di collegamenti con gli abitati distanti
dalle stazioni. Oltre a ciò si devono ricordare i danneggiamenti provocati
dai bombardamenti alleati nel corso della seconda guerra mondiale e dal
terremoto che colpì l’Irpinia nel 1980.
Dopo gli ultimi interventi di manutenzione del 2003, il servizio venne sospeso con l’entrata in vigore dell’orario invernale il 12 dicembre 2010. Il primo
treno turistico percorse la linea da Avellino a Calitri nel novembre del 1995
in occasione del suo centenario e da allora altri eventi si sono succeduti.
Dopo la chiusura dal servizio sono stati attivati treni turistici da Foggia, via
Rocchetta, fino a Conza nel 2016, a Lioni nel 2017 per arrivare nel maggio
del 2018 alla riapertura dell’intero tracciato.
IL TERRITORIO
La Ferrovia dell’Irpinia attraversa il cuore della Campania con paesi arroccati sui monti come in un presepe e paesaggi verdi solcati dai fiumi. La linea lunga 119 km esce da Avellino con la curva del viadotto Milano e prosegue verso nord per immettersi dopo la stazione di Montefalcione nella valle del Calore.
Con una lieve discesa piega verso est dopo la stazione di Montemiletto per attraversare il Calore sul Ponte Principe e seguirne il corso attraversandolo più volte.
Con tratti in salita e viadotti si arriva alle fermate di Castelvetere e Castelfranci, con viste sui monti Picentini.
Da qui prosegue verso sud con le fermate di Cassano Irpino e Montella, piega a nord in direzione di Bagnoli Irpino per arrivare al culmine del tracciato a 672m presso la stazione di Nusco.
Da qui la linea inizia la sua discesa verso Rocchetta in direzione est attraversando più volte il fiume Ofanto e incontrando le stazioni di Campo di Nusco, Sant’Angelo dei Lombardi e Lioni. Aggira quindi il lago di Conza con una variante aperta nel 1982 dopo la costruzione della diga di Conza. Dopo la stazione di Cairano la linea attraversa più volte il confine fra Campania e Basilicata lungo il fiume Ofanto. Dopo la fermata di San Tommaso del Piano la linea punta verso nord passando dalle stazioni di Monticchio e Aquilonia per arrivare in Puglia alla stazione di Rocchetta Sant’Antonio.
IL TRENO
Per chi è appassionato il treno è composto da automotrici FIAT ALn 668 (serie 1800), costruite tra il 1971 e il 1973, che sono state trasferite in rimessa a Benevento dopo una revisione curata dalla SITAV di Piacenza. La livrea è nei colori d'origine grigio azzurro e bianco panna con fascia rossa.
Waypoints
Castello
l Castello d'Aquino è uno dei pochi esempi di architettura militare di transizione, che non ha subito modifiche di difficile lettura e risulta sostanzialmente integro. Fu terminato nel 1507 per volere di Ladislao II d’Aquino e diede l’avvio allo sviluppo del paese che, fino a poco prima, era rimasto nella sua configurazione iniziale, oggi riconoscibile nel quartiere “cittadella”. È facile riconoscere nel progettista del castello, l'archittetto senese Francesco di Giorgio Martini, lo stesso che ha realizzato il castello di Carovigno. Il castello ha una forma triangolare (come il castello di Carovigno) con tre torri a geometria ogivale poste in ciascun vertice; è costruito sul punto più alto di uno sperone di roccia strapiombante su lato sud e in declivio sul lato nord e ne segue l’orografia. La costruzione del castello è avvenuta in due fasi distinte ma vicine nel tempo, probabilmente non più di vent’anni l’una dall’altra, e ciò si riscontra dall’osservazione delle soluzioni di continuità nette nel paramento murario in corrispondenza dell’attacco tra la torre ovest, la più alta, e il resto del fabbricato. La suddetta torre, inoltre, risulta funzionalmente autonoma rispetto al resto del castello. Le torri a ogiva sono di tipo casamattato, la tipologia che permette la coesistenza delle funzioni di difesa passiva, data dalla massa e dalla sezione della muratura che offre una resistenza maggiore rispetto alla sezione circolare, e attiva, per la presenza delle casematte. La forma ogivale prelude il bastione a pianta pentagonale che ha la faccia disegnata dalla linea di difesa. L’asse dell’ogiva è direzionato verso la cittadella, in quanto dagli altri lati il castello si difendeva grazie al naturale andamento orografico del colle. Il significato di tale orientamento può anche esser dovuto al fatto che il castello non ha mai svolto la funzione di difesa, si tratta più che altro di simbolo di potere del barone. Secondo alcune fonti, invece, nel luogo in cui è situata attualmente la torre, precedentemente era collocata una torre normanna, per cui la scelta è ricaduta su questo sito. Attualmente non sono visibili le merlature della torre principale in seguito ad un rialzo della torre avvenuto nella metà del 1700 dopo un parziale crollo dovuto al terribile terremoto del 1712, che ha interessato gran parte della cittadella. L'imponente edificio costruito in pietre calcaree giallo-ocra tipiche del luogo è distribuito su quattro livelli; a piano terra si trovano i principali locali di servizio, dai quali si accede al piano superiore dove sono ubicati tutti gli ambienti residenziali; al secondo piano ritroviamo gli stessi vani presenti al piano inferiore, mentre al terzo piano si estende un’unica stanza dalla quale parte la scala di accesso alla torre ogivale.
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