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Chiese ed Abbazie

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April 13, 2022

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Itinerary description

Cicloescursione che unisce la visita di Chiese ed Abbazie, con la calma e la tranquillità degli argini dei fiumi e delle stradine bianche che attraversano la bellissima campagna di questa parte di Veneto. L’itinerario non ha particolari difficoltà, ci sono dei pezzetti di strada dove bisogna stare molto attenti al traffico, per il resto basta solo un po’ di gamba.

Waypoints

PictographIntersection Altitude 46 ft

Vighizzolo

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Ex Monastero di San Salvaro

Il complesso dell’ex monastero di San Salvaro sorge con la sua chiesa nel comune di Urbana, sulla riva destra del fiume Fratta, ai confini con il Veronese. Il monastero venne costruito lungo la “Callis Magna” l’antica via che collegava la Bassa Padovana con la Bassa Veronese, un crocevia di scambi commerciali, migrazioni e pellegrinaggi. Della chiesa si hanno notizie dal 1089, ma le sue origini sono probabilmente anteriori. Il monastero venne edificato attorno al 1100 e intitolato a “San Salvaro”, il Santo Salvatore, ossia il Cristo Redentore e destinato originariamente ad accogliere una Schola Sacerdotum, ossia un seminario sacerdotale. Nel 1181 Papa Alessandro III affidò il monastero e i relativi possedimenti all’Abbazia di Santa Maria delle Carceri, retta all’epoca dai monaci dell’ordine agostiniano di Porto di Ravenna. Quando nel 1407 Papa Gregorio XII soppresse l’ordine degli Agostiniani Portuensi, concesse l’Abbazia di Carceri e il Priorato di San Salvaro ai Camaldolesi di San Giorgio; a questi subentrarono nel corso del Quattrocento i monaci Camaldolesi di San Michele di Murano. Verso la fine del Seicento la proprietà passò alla famiglia veneziana dei Conti Carminati che lo adibirono a scopi abitativi, mentre la chiesa era retta da sacerdoti diocesani. Col passare del tempo però tutto il complesso cadde in uno stato di abbandono che lo ridusse a un rudere. La chiesa in stile romanico fu più volte oggetto di restauro nel corso dei secoli; l’ultimo intervento avvenne negli anni Settanta, a seguito del danneggiamento subito durante la Seconda Guerra Mondiale. Al suo interno si può ammirare nella conca dell’abside il Cristo Pantocratore che gli storici fanno risalire al periodo gotico. Nel 1995 il monastero di San Salvaro viene acquistato dalla Parrocchia e dal Comune di Urbana con lo scopo di restaurarlo e dare nuova vita al complesso. Oggi, il Monastero di San Salvaro ospita una scuola sacerdotale e un ostello per l’accoglienza di gruppi e lo svolgimento di incontri spirituali. È inoltre sede della Parrocchia e del Museo delle Antiche Vie.

PictographMonument Altitude 22 ft
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Torre campanaria e Casa Grompo

La Pieve di Casale di Scodosia estendeva la sua giurisdizione sulla chiesa di S. Gallo di Urbana e sulla “Schola Sacerdotum” di S. Salvaro, su Altaura e su S. Margherita. La sua fondazione sembra risalire al X secolo, mentre si sa che nel XII secolo essa tiene fra le sue mura il fonte battesimale. Alla fine del ‘400 il vescovo Barozzi visita la “Plepem archipresbiteralem Sancte Marie de Casali”, “la chiesa era allora larga circa 9 metri, lunga 17,50 e alta fino alle travature altri 9 metri, aveva tre navate divise da pilastri che reggevano ampi archi e la navata centrale finiva a oriente con un’abside e un muretto di mattoni divideva il tempio per i maschi e le femmine. Nella navata di destra era, nella parete esterna, un’altra abside più piccola mentre su quella di sinistra s’apriva la sacrestia che occupava il posto di un’altra absidiola. Il tetto era composto di capriate in legno e l’intonaco era in alcune pari dipinto. A occidente poi era la facciata con una porta sormontata da un rosone “oculus unus”. Dell’edificio originario è oggi visbile solo l’antica torre campanaria di linee medioevali, risalente con ogni probabilità al X-XI secolo, tutta in mattoni e con le bifore della cella divise da colonnine, di cui solo una è originale, rimasta intatta, col suo capitello a “pulvino”. Casa Grompo La villa, di chiara fattezza veneziana, spicca per il suo particolare piccolo poggiolo in pietra. I Grompo erano una famiglia di ricchi proprietari terrieri e questa loro dimora rientrava all'interno di un nutrito numero di proprietà immobiliari. La sue edificazione si può datare tra il '300 ed il '400.

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Chiesa di Santa Maria dell'Anconese

A Megliadino San Vitale ci sono due chiese, entrambe molto antiche e situate a poca distanza l’una dall’altra: San Vitale e Santa Maria dell’Anconese. Dai loro nomi, è evidente la matrice bizantina dei due edifici, San Vitale e Anconese sono nomi che troviamo infatti nella religiosità ravennate. La chiesa di Santa Maria dell’Anconese, eretta nell’anno 700 a contrasto dei movimenti degli iconoclasti, risentiva molto dello stile ravennate, oltre che nel nome, anche nell’architettura, come testimoniano i pilastri che ornano le pareti esterne. Costruita con materiale vario preso da alcuni capitelli e materiali di scarto, la chiesa di Santa Maria dell’Anconese perse il suo ruolo strategico di chiesa matrice del territorio con l’arrivo nel 970 delle spoglie di S. Fidenzio nella vicina chiesa di S. Tommaso. L’edificio divenne in seguito la cappella di un attiguo convento di suore ma dal XVI secolo perse la sua importanza, tanto che i materiali dell’annesso convento e della chiesa furono utilizzati come materiali di riporto per l’Abbazia di Carceri. Nel 1498 il vescovo Barozzi visitò la chiesa, che in quel periodo versava in condizioni di degrado e senza rendite. Ma nello stesso anno, come spesso accade, la fede diede la spinta alla rinascita: a seguito di un evento che i fedeli lessero come un miracolo, la comunità decise di avviare ingenti lavori di ristrutturazione. La chiesa venne restaurata anche in seguito, nel 1688 dal reverendo Casumaro. All’interno della chiesa sono visibili alcuni elementi architettonici di epoca romana nella muratura e un piccolo lacerto di affresco quattrocentesco.

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Abbazia della Vangadizza

L'abbazia della Vangadizza è stata, tra il X secolo e il 1792, un'abbazia territoriale immediatamente soggetta alla Santa Sede con sede a Badia Polesine nella chiesa di Santa Maria della Vangadizza. Fu Stato indipendente fino al XIV secolo. La nascita dell'abbazia della Vangadizza viene generalmente connessa alle cospicue donazioni del marchese Almerico di Mantova e di sua moglie Franca, l'ultima delle quali (e l'unica di sicura datazione) fu una disposizione del 6 dicembre 954, fatta dalla signora Franca, ormai vedova; in questa disposizione la basilica di Santa Maria, che si trova presso l'Adige in località "Vedre", risulta appena ricostruita, mentre non si sa molto altro della precedente e più modesta chiesa. Altre donazioni le fa Ugo di Toscana, con l'avallo dei re d'Italia Berengario II e Adalberto: nella donazione del 30 maggio 961 si parla per la prima volta di un abate e in quella del 29 maggio 993 si parla di un monastero benedettino in costruzione. L'abbazia della Vangadizza ottenne l'indipendenza feudale il 26 dicembre 996 e intorno all'anno 1000, durante il pontificato di Silvestro II, divenne diocesi immediatamente soggetta alla Santa Sede. Nel 1066 il marchese Alberto Azzo II d'Este vi seppellì l'eremita francese Teobaldo di Provins. L'indipendenza del monastero venne poi confermata dall'imperatore Federico Barbarossa il 7 agosto 1177 e da papa Celestino III il 26 giugno 1196. Sotto il potere temporale degli abati benedettini, molti contadini giunsero per bonificare il territorio; i terreni erano concessi in enfiteusi, esigendo canoni molto bassi; questo portò a un progressivo miglioramento della zona. L'abbazia riscuoteva tributi e prebende per conto proprio e offriva protezione agli abitanti. A partire dal 23 settembre 1213 l'abbazia della Vangadizza iniziò a seguire l'ordine camaldolese, con la denominazione ufficiale latina di Abbatia Sanctae Mariae de Vangaditia, Ordinis Camaldulensis, nullius Dioecesis, Provinciae Ravennatensis (abbazia di Santa Maria della Vangadizza, Ordine Camaldolese, immediatamente soggetta alla Santa Sede, Provincia ecclesiastica di Ravenna). La regola camaldolese prevedeva un distacco contemplativo dalle vicende umane e non prevedeva la cura pastorale; se, da un lato, ciò sviluppò le attività culturali con la creazione di una biblioteca fornitissima e di una scuola per lo studio di filosofia, teologia, canto sacro, arti e scienze, dall'altro lato portò ad un progressivo allontanamento del monastero dalla realtà del territorio, provocando malumori nelle parrocchie e culminando in dissidi interni alla fine del XIV secolo. All'inizio del XV secolo l'abbazia della Vangadizza perse il potere temporale e la gestione fu affidata in commendam, ossia a personale ecclesiastico esterno. Tra gli abati commendatari si ricorda il cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota, in carica nel 1448 e, nella prima metà del Settecento, il cardinale Angelo Maria Querini, vescovo di Brescia. Nel 1747 fu fondato un seminario. L'abbazia della Vangadizza venne soppressa l'11 aprile 1789 dalla Repubblica di Venezia, che il 27 marzo 1790 ne incamerò i beni. Il 7 settembre 1792 essa fu soppressa anche come diocesi e le dodici parrocchie polesane furono aggregate alla diocesi di Adria, mentre la parrocchia di Rubano fu aggregata alla diocesi di Padova. Il 25 aprile 1810 la basilica di Santa Maria della Vangadizza, di stile romanico-gotico, venne chiusa e iniziarono i lavori di demolizione, che si interruppero quando erano quasi completati. Del fabbricato si sono salvati solo una cappella absidale e il campanile pendente. Gli altari ed altre parti sono state trasferiti nella chiesa di San Michele Arcangelo di Canda. Nella piazza antistante sono presenti due sarcofagi che custodiscono le spoglie di Alberto Azzo II d'Este e della moglie Cunegonda di Altdorf, capostipiti degli Estensi.

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Abbazia di Santa Maria delle Carceri

L'abbazia di Santa Maria delle Carceri, conosciuta anche come abbazia di Carceri, è un'abbazia situata nel comune di Carceri nella bassa padovana. Fondata nel XII secolo come ospizio per i pellegrinaggi che si dirigevano verso Roma lungo la via padovana, fu ampliata dal XV al XVII secolo dai monaci camaldolesi. Dopo essere stata venduta nel 1690 per finanziare la guerra della Repubblica di Venezia contro l'Impero ottomano, rimase abbandonata fino alla metà del XX secolo. L'abbazia nacque sulle ceneri di una vecchia chiesa, nel 1189 quando i canonici Portuensi consacrarono la nuova chiesa che avevano edificato sulla chiesa preesistente, antecedente all'anno Mille, cui è ancora conservato il battistero, sostituendo il primitivo edificio con un'ampia aula romanica a tre navate. I monaci agostiniani vi rimasero infatti fino al 1407 e la loro attività fu preziosissima per la bonifica delle terre, la costruzione di strade e di argini di contenimento delle acque ed in definitiva per il popolamento delle campagne di questa zona della provincia di Padova, che era spesso soggetta ad inondazioni dell'Adige. Gli agostiniani lasciarono però Carceri in seguito a numerose carestie e pestilenze che decimarono la comunità. Del periodo è rimasto un chiostrino di 24 colonnine in marmo rosso di Verona, variamente abbinate e composite, che sostengono altrettanti capitelli e archetti formando una struttura leggera ed elegante ma allo stesso tempo tanto robusta da sostenere una parete in muratura massiccia e pesante. È un po' un'anticipazione di ciò che avverrà in Palazzo Ducale a Venezia, dove porticati al piano terra costruiti con strutture leggere e aggraziate reggono l'enorme massa muraria dei saloni soprastanti. Nel 1407 papa Gregorio XII trasferì il possesso e la cura della chiesa e del monastero al monaci camaldolesi che la ressero fino alla fine del XVII secolo. Essi continuarono l'opera di bonifica delle terre, ampliarono le strutture dell'abbazia dotandola di quattro chiostri, costruirono la biblioteca e vi costituirono una vera e propria Accademia di Studi. L'abbazia divenne quindi un centro di potere temporale e spirituale tra i più importanti del Veneto. Del periodo camaldolese rimangono il grande chiostro del XVI secolo, la navata della chiesa ed il coro, la foresteria, parte della biblioteca cui, dispersi i preziosi volumi, rimangono i locali oggi denominati sala degli affreschi. Nel 1690 papa Alessandro VIII mise all'asta l'abbazia per ricavarne fondi al fine di finanziare le campagne militari della Guerra di Candia dei Veneziani contro i turchi che minacciavano l'integrità dell'Europa. L'intero complesso fu acquistato dalla famiglia Carminati che a sua volta in seguito la cedette in locazione. A causa dei continui passaggi di proprietà l'abbazia lentamente decadde, fu oggetto di saccheggi, furti, spoliazioni, privata di tutto ciò che poteva servire ai poveri abitanti della zona. L'abbazia stessa e le sue adiacenza vennero trasformate in una grande fattoria ed adattate alle nuove esigenze. Del periodo in cui fu proprietà della famiglia Carminati restano la villa (oggi canonica) il cui piano nobile è decorato da affreschi ed intarsi. Durante la seconda guerra mondiale, le opere più preziose della Biblioteca nazionale Marciana furono ospitate nell'abbazia di Carceri. Nel 1951 i conti Carminati, dopo aver venduto tutte le terre circostanti, donarono quanto rimaneva di tutto il complesso edilizio, ormai fatiscente, alla parrocchia di Carceri. Da metà degli anni novanta un gruppo di volontari è impegnato alla ristrutturazione del monastero e della foresteria per riportare l'abbazia al suo antico splendore. All'interno del complesso architettonico è stato realizzato un piccolo museo etnografico. da wikipedia

PictographReligious site Altitude -18 ft
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Chiesa di Santa Maria dei Prati

La chiesa di Santa Maria ai Prati, indicata anche come chiesa di Santa Maria dei Prà, italianizzato in "dei prati", di Prà o popolarmente Ciesazza, per la sua antichità o per l'abbandono a seguito di inondazioni, è un edificio religioso ubicato a Chiesazza, località del comune Ponso che ne ha assunto il toponimo, sulla strada che collega il centro della bassa padovana a Piacenza d'Adige. L'edificio, eretto nell'XI secolo e modificato nei secoli successivi, senza comunque perdere la sua originale connotazione stilistica, è uno dei pochi esempi rimasti di chiesa campestre romanica nel territorio della Bassa Padovana. L'edificio ripropone l'impostazione classica del tempo nella costruzione di edifici destinati al culto, pianta a navata unica e copertura a capanna, di gusto romanico, con orientamento, anche questo tipico per l'epoca, con facciata posta a ovest. A una più attenta osservazione dei materiali utilizzati, la costruzione rivela numerosi interventi che si sono susseguiti nei secoli, anche per la necessaria manutenzione a seguito di devastanti inondazioni del territorio circostante. Lo zoccolo è costituito da un'accozzaglia di vari materiali di risulta, tra cui parti di laterizi e spolia di epoca romana oltre a blocchi di trachite presumibilmente provenienti dalle cave dei vicini Colli Euganei. Tutta la struttura è in muratura a mattoni faccia a vista, compreso il campanile che, come la parte superiore dell'edificio, si ritiene di epoca rinascimentale. Originariamente presentava anche un'abside scomparsa nel tempo, demolita o inglobata dalla struttura allungatasi per ospitare un maggior numero di fedeli. L'interno è accessibile tramite un semplice portale sulla facciata principale, impreziosita da modanature, e uno minore posto sul lato sinistro, nei pressi del campanile, anch'esso romanico e a pianta quadrata. L'interno conserva numerosi affreschi a tema religioso, realizzati, ad un esame di pigmenti usati e tecnica pittorica, presumibilmente nel XIII secolo, tra i quali spiccano due ritratti della Madonna col Bambino, un'annunciazione e un San Giovanni. da wikipedia

PictographCastle Altitude 21 ft
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Villa Correr

Costruita verso la fine del XVII secolo come dimora estiva della famiglia Correr, una nobile famiglia di origini veneziane che possedeva cospicue proprietà nel sud-est del paese. La villa è emblema significativo dello splendore veneziano che risale ai tempi della sua dominazione, dagli inizi del Quattrocento alla fine del Settecento. Costruita con materiali recuperati dalla precedente abitazione rustica del 1500, ad oggi mantiene ancora immutato il suo giardino, le decorazioni su intonaco in terra naturale e le finestre a medaglioni di Murano. Un atto notarile risalente al 1857 attesta che la villa fu venduta dai Correr ad Antonio Ferrari, il quale compì molteplici modifiche all'abitazione e alle proprie adiacenze, trasformandola da villa domenicale estiva a maestosa casa colonica. Alcune modifiche si possono ritrovare nell'abbattimento di alcune statue dell'ala Est ed Ovest al fine di sopraelevare la villa di un piano e nella costruzione di una tettoia per l'essiccazione del tabacco nel fabbricato, ex convento. Alla morte di Antonio Ferrari la villa passò, per testamento, al conte Antonio Donà Delle Rose di Venezia, alla moglie Giustina e alla sorella Maddalena Martinengo. Intorno al 1900 villa e proprietà furono assegnate in dote alla figlia del conte Antonio Donà Delle Rose che sposò il conte Girolamo Medolao Albani di Bergamo. Nel 1921 i fratelli Dalla Francesca comprarono villa e terreni adiacenti. Dopo varie divisioni dei terreni tra i fratelli, l'avvocato Mario e la moglie Enrichetta Fiorentino divennero gli unici proprietari della villa e dei terreni. Nel 1980 lo stabile fu venduto al comune di Casale di Scodosia che da qualche tempo l'ha adibita a mostre, musei e molteplici iniziative culturali come il Civico Museo etnografico-archeologico, ricco di materiale derivante proprio dalle vecchie scuderie della villa stessa e la mostra nazionale dell'antiquariato. La famiglia Correr è presente a Casale di Scodosia già nel Cinquecento, come emerge dagli estimi. Il catalogo provinciale (Marsilio, 2001) riferisce che forse la corte dominicale è stata costruita sui resti di un castello.

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