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valnogaredo tra vigne e castagni

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Trail stats

Distance
5.5 mi
Elevation gain
1,168 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
1,168 ft
Max elevation
1,100 ft
TrailRank 
60
Min elevation
97 ft
Trail type
Loop
Time
2 hours 4 minutes
Coordinates
656
Uploaded
October 6, 2019
Recorded
October 2019
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near Valnogaredo, Veneto (Italia)

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Itinerary description

Valnogaredo, tra vigne ecastagni
1. Chiesa di San Bartolomeo
Uno dei più interessanti monumenti religiosi del Settecento veneto.
La chiesa di San Bartolomeo sorge nel borgo di Valnogaredo, amena frazione di Cinto Euganeo, nel cuore dei Colli Euganei. E' considerata uno dei più interessanti monumenti religiosi del Settecento veneto; la sua fondazione è collegata alla presenza della nobile famiglia veneziana dei Contarini, che fin dal XV secolo possedevano in questa zona vasti possedimenti terrieri.
I Contarini fecero costruire la chiesa con canonica nelle immediate vicinanze della loro casa, la sontuosa villa Contarini che ancora oggi rappresenta il fulcro del paese. Il nuovo luogo di culto divenne ben presto la sede parrocchiale della vallata e i Contarini, tramite bolla papale del 1519, ne acquisirono lo jus patronato, che li vincolava a sostenere la manutenzione della chiesa ricevendo in cambio il diritto di nomina del parroco.
I fratelli Angelo e Giulio Contarini fecero ricostruire l’attuale chiesa nel 1758, essendo la precedente cadente e ormai insufficiente a contenere l’aumentato numero di parrocchiani. In seguito lo jus patronato passò ai vari eredi della famiglia Contarini, fino a quando i conti Zorzi, nuovi proprietari della villa di Valnogaredo, dimostrarono totale disinteresse per la nomina del parroco e nel 1876 l’Episcopato padovano fece definitivamente suo tale diritto.
L’esterno della chiesa
La chiesa si trova in posizione elevata e l'ingresso si raggiunge tramite ampie gradinate centrali e laterali. La facciata è monocuspida e sulla sommità del timpano si trova una croce sorretta da due angeli, mentre ai lati esterni dell’edificio sono poste le statue di San Giuseppe e di San Bartolomeo. In nicchie poste agli angoli arrotondati della facciata sono le statue di Sant’Antonio e San Domenico, mentre due angioletti sul frontone sorreggono l’iscrizione che riporta la data di costruzione dell'edificio. Decorazioni di gusto rocaille abbelliscono il portale d’ingresso e le statue, stilisticamente molto vicine a quelle della Villa Contarini, dimostrano di appartenere al periodo tardo dell’attività di Antonio Bonazza (1698-1763).
Ai piedi della scalinata della chiesa ci sono due piccoli bassorilievi che rappresentano uno la Madonna del Carmine e l’altro S. Antonio di Padova, entrambi attribuiti sempre al famoso scultore padovano.
Il campanile risale al 1568, ma le attuali forme sono frutto del rifacimento avvenuto nel 1872, come riporta la lapide posta sul lato settentrionale.
L’interno e le opere
La chiesa ha una sola navata e la decorazione interna è in stile rocaille: elementi conchigliari e vegetali in stucco inquadrano il grande affresco di Jacopo Guarana (1720-1808) nel soffitto e le cornici curvilinee delle due pale degli altari laterali. Tutti gli altari sono in marmo diaspro di Sicilia; ai lati dell’altare maggiore si trovano due angeli in marmo di Carrara, anch'essi opera del Bonazza e sono tra le più pregevoli sculture realizzate dall'artista.
L’affresco sul soffitto di Guarana merita un'osservazione più approfondita: le documentazioni scritte che riguardano la chiesa riportano che il soggetto raffigurato è la Gloria di San Bartolomeo, santo a cui la chiesa è dedicata. Tuttavia l’immagine non rispetta l’iconografia classica dell'apostolo, che viene comunemente rappresentato con gli effetti del suo martirio. Si ipotizza che il personaggio trasportato in cielo dagli angeli sia in realtà Gregorio Barbarigo, che proprio negli anni in cui si compiva la decorazione della chiesa era stato beatificato da papa Clemente XIII, il veneziano Carlo Rezzonico imparentato per via materna con la famiglia del cardinale. Ad ulteriore sostegno di tale ipotesi è anche la notevole somiglianza tra quella figura e il ritratto di Gregorio Barbarigo, realizzato dallo stesso Guarana nella pala raffigurante la Madonna del Carmine con il Bambino, Santa Cristina D’Alessandria e i Beati Gregorio Barbarigo e Simone Stock, collocata nell’altare laterale di sinistra. Alla luce di queste argomentazioni è dunque probabile che nel soffitto non sia rappresentata la gloria di San Bartolomeo, bensì la Beatificazione di Gregorio Barbarigo, il quale da cardinale aveva effettuato ben tre visite pastorali nella parrocchiale di Valnogaredo.
Nell’altare laterale di destra si conserva un’altra pala con Gesù Bambino coi Santi Antonio, Francesco di Paola e il Santo Papa Urbano di Domenico Fedeli detto “il Maggiotto”, pittore contemporaneo del Guarana.
Ai lati dell’altare maggiore si trovano le “Storie di Mosè” di pittore ignoto. In sacrestia altre tele di artisti anonimi: un Angelo che suona l’arpa, Il profeta Elia rifocillato da un Angelo e una copia del Veronese, Il martirio di Santa Giustina, il cui originale si ammira nell’omonima basilica di Padova. Addossato alla parete interna sopra l’ingresso vi è l’organo, rinnovato nel 1955 dalla ditta Guerrini di Bassano del Grappa. Si trova racchiuso in un tempietto di legno dipinto a somiglianza degli altari e decorato con figure di strumenti musicali.
Si ricorda, infine, che all'interno della chiesa di San Bartolomeo è conservato il corpo del santo Papa Adeodato (martire dell’anno 618). La reliquia fu donata nella seconda metà del XVII secolo da Papa Innocenzo XII al nobile Domenico Contarini. Si pensa che tale preziosa donazione sia avvenuta in seguito alla richiesta di Angelo Contarini, fratello di Domenico, che per tanti anni, in quel secolo, rimase a Roma come ambasciatore ordinario della Serenissima presso il Sommo Pontefice. In solenne processione la venerata spoglia venne da Este accompagnata a Valnogaredo; il santo martire ora giace sotto l’Altare Maggiore e una lapide dietro lo stesso lo ricorda ai posteri.
2. Villa Contarini Piva
Maestosa dimora della potente famiglia veneziana dei Contarini.
La maestosa Villa Contarini a Valnogaredo è l'esemplare manifestazione di come le più potenti famiglie veneziane colonizzarono l'area euganea durante il lungo dominio della Repubblica Serenissima nella terraferma veneta. Si tratta di una dimora gentilizia dalle dimensioni notevoli e dalla struttura articolata, inserita in un contesto paesaggistico di grande bellezza. La sua costruzione risale alla fine del '400 e si colloca nel territorio come punto nevralgico della gestione economica ed amministrativa delle campagne.
I Contarini erano una delle più importanti famiglie veneziane, con ben otto esponenti arrivati a ricoprire la massima carica del dogato veneto; nel corso del XV secolo possedevano un'ingente quantità di appezzamenti terrieri sui Colli Euganei, tanto da diventare la famiglia con le più estese proprietà fondiarie della zona, seconda solo alle due grandi abbazie di Praglia e Santa Giustina. Il loro arrivo a Valnogaredo risale al 1482; nel corso del secolo successivo la famiglia acquistò una vecchia casa, che apparteneva in origine ai Delesmanini, che nel 1585 i fratelli Angelo e Domenico Contarini abbatterono per edificare sulla stessa area un altro immobile.
Domenico, del ramo contariniano detto dei Ronzinetti, assai avanti con gli anni e delegata al figlio procuratore la rappresentanza della famiglia, stava assaporando la dolcezza dell’autunno nella villa di Valnogaredo, quando il 16 ottobre 1659 lo raggiunse la notizia dell’elezione a doge. I patrizi veneti arrivarono in pompa magna a Valnogaredo per annunciargli la notizia con lussuose peote e burchielli. A ricordo dello storico avvenimento, sopra la porta centrale del palazzo venne murata una lapide, con iscrizione dettata dall’insigne latinista don Giovanni Filiasi, a quell’epoca parroco di Valnogaredo.
Dopo la sua costruzione avvenuta nel 1585, la villa ha via via subito delle trasformazioni difficili da seguire storicamente. Il complesso costituito non solo dalla casa ma anche dalle stalle, dai granai e dall’orto venne rimaneggiato da Domenico IV Contarini nel 1704 come testimoniato da tale data impressa alla base del parafulmine. A lui si deve anche l’aggiunta del famoso giardino abbellito da statue e giochi d’acqua. Un lungo e ombroso viale congiungeva il canale Bisatto al palazzo e tracce di esso rimangono in isolate colonne sgretolate dal tempo. Viale e giardino vennero poi trasformati in vigneto e frutteto e poche sono le statue che sono rimaste.
Nel corso dell'Ottocento la proprietà della villa passò prima al conte vicentino Michiel Angiolo Zorzi e al figlio Pietro, poi alla nobile famiglia di Antonio Rota. Nel 1955 il palazzo venne acquistato dalla famiglia Piva che è l’attuale proprietaria della villa e ne ha curato il restauro statico e decorativo negli anni '60.
L'esterno della villa
Il palazzo ha una struttura rettangolare con il corpo centrale aggettante in facciata in corrispondenza della sala centrale. Da questa avanza un balcone che orna una trifora a colonnine semplici a base quadrata che finiscono col sorreggere tre archi a tutto sesto. Ad arco a tutto sesto sono pure tutte le finestre del primo piano. Il lato sinistro si allunga con un bel portale che è l’ingresso principale del palazzo e nel suo attico è murata la lapide che ricorda l’elezione dogale di Domenico Contarini. La vera facciata dell’edificio è quella che guarda la corte ed è liscia e tirata a marmorino. Colpisce subito l’estrema semplicità di linee, l’equilibrio delle proporzioni e il ritmo regolare e simmetrico delle aperture che sono ravvicinate al centro.
La barchessa si apre verso il giardino con arcate policentriche; la struttura adiacente, costruita per contenere il salone delle feste, è anch'essa porticata con arcate a tutto sesto che si aprono verso la corte interna.
Numerose statue, oggi irreperibili, ornavano il parco della villa. Due statue, sui pilastri della cinta muraria che delimita il parco, rappresentano due contadini, ma sono alquanto rovinate e possono lasciare qualche incertezza sull’attribuzione. Quelle sui pilastri dei cancelli d’ingresso che ritraggono due cacciatori e due contadini appaiono opera sicura di Antonio Bonazza (1798-1763).
L'interno di Villa Contarini Piva
La decorazione interna della villa consiste negli affreschi del salone al primo piano attribuiti a Jacopo Guarana (1720-1808) e negli stucchi presenti in alcune camere e nella salone delle feste attribuiti invece ad Andrea Urbani (1711-1798). Il salone del primo piano è interamente affrescato e una coerente unità collega i brani figurali e la parte ornamentale. Il piano illusivo comprende Scene pastorali e Divinità dell’Olimpo in un continuum spaziale dalla terra al cielo. Sulle pareti della sala, dentro a fastose incorniciature rocaille si svolgono due episodi de Il Pastor Fido, tragicommedia pastorale di Battista Guarini: il "Gioco della mosca cieca" con Corisca, Mirtillo e Amarilli e il "Matrimonio", allietato da danze e musica con pastorelle. A fianco, alla stessa altezza del pavimento, si apre una balconata dove un personaggio offre una ciambella ad una donna con un cagnolino: un’istantanea di realtà quotidiana accanto alla favola arcadico-pastorale.
Guarana, che non solo seppe far fronte alle numerose richieste di pale d’altare e di soffitti ad affresco per chiese di Venezia e della Terraferma, ma fu soprattutto ricercato dalla nobiltà per affrescare le proprie dimore cittadine e le ville di campagna, divenne uno dei più importanti pittori del Settecento. Probabilmente si trasferì nel 1765 a Valnogaredo per decorare Villa Contarini e per lavorare nella chiesa parrocchiale di San Bartolomeo.
3. Laghetto di Laghizzolo.
Il sito si colloca tra le pendici occidentali del M. Venda e le pendici settentrionali del M.
Vendevolo, interamente in Comune di Teolo. Vi si accede direttamente lungo un strada sterrata che si diparte dalla strada Castelnuovo-Boccon, presso il ristorante “Al Laghetto”.
Sono state censite le seguenti specie erbacee igrofile: Lycopus europaeus, Gratiola officinalis, Lythrum salicaria, Typha latifolia, Galim palustre, Juncus effusus e Carex sp.
Sono presenti varie specie amanti dei suoli umidi o fangosi; Bidens frondosa, Scrophularia
nodosa, Gnaphalium uliginosum, Echinochloa crus-galli, Juncus tenuis, Tussilago farfara e
Polygonum mite. Al momento del rilievo la vegetazione spondicola del laghetto si presentava in piena evoluzione con un copertura del suolo ancora scarsa.
Nei dintorni, a pochissima distanza del sito, esiste una ampia stazione di Osmunda regalis, una
specie protetta a livello nazionale. L‟entità avrebbe bisogno di un‟adeguata tutela perchè ultimamente sono stati osservati numerosi cespi sradicati (secondo alcuni ad opera di cinghiali). La stazione, prosperante in un bosco igrofilo con sorgenti superficiali, è la maggiore dei Colli e non ha equivalenti nel Veneto. Potrebbe essere presa in considerazione l‟idea di allargare l‟area protetta fino a includere il bosco dove cresce la rara felce.
Si annovera per l‟area la presenza certa di 5 specie di cui fra gli anfibi Triturus alpestris, Salamandra salamandra, Rana dalmatina, Bufo bufo e tra i rettili di Podarcis muralis.
Avifauna nidificante. Non sono state riscontrate presenze tipiche di zone umide.
Minacce. Allo stato attuale i principali generatori di rischio sono l‟eccessiva fruizione turistico ricreativa e l‟eccessivo transito di mezzi motorizzati.

4. Pozza delle Volpi
Ubicazione: Comune di Vo‟, al confine con il Comune di Cinto Euganeo; vi si accede dalla strada
forestale del Venda, oppure da Ca‟ Alto Venda tramite un breve sentiero che si immette nella strada forestale, oppure anche attraverso sentieri che si articolano dalla stradina forestale di Laghizzolo.
La Pozza delle Volpi è una piccola fonte perenne scavata su terreno argilloso, quindi impermeabile, che rimane interamente inondata anche nei periodi di maggiore siccità. L‟alimentazione dipende, molto probabilmente, dall‟accumulo dell‟acqua sotto l‟abbondante detrito di falda che ricopre il versante occidentale del M. Venda. Nel corso del 2004 il sito è stato oggetto di interventi di pulizia e della posa in opera di una staccionata, che si dimostra fondamentale per la dissuasione all‟ingresso del cinghiale, Sus scrofa, che ha scelto la fonte come abbeveratoio preferenziale. Tali interventi si sono rivelati sicuramente utili, anche in funzione di una fruizione turistico ricreativa del luogo, il quale, grazie alla vicinanza con i vicini “Maronari” e del “Laghetto del Venda”, viene visitato da un elevato numero di persone.
Non v‟è traccia di entità vascolari legate al mezzo idrico. Per ciò che riguarda la fauna, invece, il
piccolo invaso si è rivelato utilissimo alla sopravvivenza degli anfibi “terricoli”. Le reiterate
osservazioni hanno evidenziato la presenza costante di una popolazione consistente di Triturus
vulgaris meridionalis, di un discreto numero di Salamandra Salamandra, di qualche individuo di
Bombina variegata e, nelle vicinanze, lo stazionamento di un numero non esiguo di Rana dalmatina.
È da tenere presente che nella zona esiste anche un‟altra pozza, sottoposta a parziale o totale
disseccamento estivo, favorevole all‟insediamento degli anuri e degli urodeli “boschivi” e che
potrebbe, forse, con piccoli interventi, mantenere l‟acqua per un periodo più lungo. Anche questa,
dopo un‟opportuna sistemazione, andrebbe recintata, a causa della assidua frequentazione del luogo, di un numero significativo di cinghiali, che potrebbe determinare un danno per gli anfibi presenti.
Come già osservato in altre occasioni, il mantenimento di pozze con acque sorgive e fresche in quota nei Colli, si rivela di grande importanza per la sopravvivenza di varie specie di anfibi. Sono questi, infatti, gli habitat privilegiati, insieme agli slarghi dei “Calti” perenni, dove il turbinio delle acque cessa o si attenua fortemente, per Tritoni e Salamandre. In particolare, per l‟ultima specie, si può affermare che da una stima fondata sulla memoria storica, rispetto al periodo degli Anni Cinquanta e Sessanta, il calo del numero di individui presenti sui Colli appare consistente.
Emergenze faunistiche. Per ciò che riguarda l‟erpetofauna, invece, il piccolo invaso si rivela utilissimo alla sopravvivenza degli anfibi “terricoli”. Reiterate osservazioni (Masin, com. pers.
2005) hanno evidenziato la presenza costante di una popolazione di Triturus vulgaris (peraltro non
rivenuto direttamente nel corso dei rilievi erpetologici 2004), di Triturus alpestris, di Salamandra
salamandra, di Bombina variegata e, nelle vicinanze, di Rana dalmatina e fra i rettili di Podarcis
muralis. In termini potenziali il numero di specie che possono essere presenti nell‟area è 16 di cui 7 rettili e 9 anfibi.

5. Buso della Casara

La più importante opera di approviggionamento idrico ideata dai Romani
Il territorio dei Colli Euganei per motivi geologici non consente la formazione di grandi disponibilità di acqua, ma punta su una rete di piccole sorgenti. I romani sfruttarono queste ultime per l'approvvigionamento idrico costruendo un sistema di acquedotti che avevano la funzione di collegare le sorgenti alle abitazioni. Un esempio significativo è rappresentato dal Buso della Casara, sulle pendici del monte Vendevolo, in località Valnogaredo a Cinto Euganeo, costruito per rifornire d'acqua l'antica città di Ateste (Este). Più di 100 metri di gallerie e cunicoli scavati nella riolite e facilmente percorribili perché realizzate a “misura d'uomo”.
I cunicoli sono delimitati da due muretti ricoperti da tegoloni dove veniva incanalata l'acqua proveniente dalle sorgenti. La realizzazione di incavi ha permesso il posizionamento di apposite lucerne ideate per illuminare i meandri nascosti durante le operazioni di manutenzione. Il minuzioso sistema progettato dai Romani prevedeva un bacino di raccolta in corrispondenza dello sbocco delle gallerie denominato caput acquae; da qui partiva il condotto in tubatura che, dopo un percorso di circa 10 chilometri in leggera pendenza, raggiungeva l'acquedotto di Este.
Nei secoli successivi queste gallerie si ostruirono; nonostante ciò scorreva abbondante acqua che veniva impiegata per lavare gli indumenti. Tra il 1970 e il 1971 il comune di Cinto Euganeo decise di effettuare dei lavori di asporto dei detriti; durante gli scavi venne ritrovata una barchetta ricavata da un tronco di pioppo lunga più di un metro e con due fori a poppa e a prua, la quale pare venisse utilizzata come mezzo per trasportare materiali.

Tra il 1999 e il 2000, grazie ai consigli degli abitanti del luogo, il Buso della Casara è stato interessato da interventi di manutenzione per migliorarne l'accessibilità.

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PictographLake Altitude 778 ft
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Laghetto del Venda

PictographLake Altitude 1,068 ft
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Sorgente delle volpi

PictographFountain Altitude 630 ft
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Buso della Casara

Buso della Casara La più importante opera di approviggionamento idrico ideata dai Romani Il territorio dei Colli Euganei per motivi geologici non consente la formazione di grandi disponibilità di acqua, ma punta su una rete di piccole sorgenti. I romani sfruttarono queste ultime per l'approvvigionamento idrico costruendo un sistema di acquedotti che avevano la funzione di collegare le sorgenti alle abitazioni. Un esempio significativo è rappresentato dal Buso della Casara, sulle pendici del monte Vendevolo, in località Valnogaredo a Cinto Euganeo, costruito per rifornire d'acqua l'antica città di Ateste (Este). Più di 100 metri di gallerie e cunicoli scavati nella riolite e facilmente percorribili perché realizzate a “misura d'uomo”. I cunicoli sono delimitati da due muretti ricoperti da tegoloni dove veniva incanalata l'acqua proveniente dalle sorgenti. La realizzazione di incavi ha permesso il posizionamento di apposite lucerne ideate per illuminare i meandri nascosti durante le operazioni di manutenzione. Il minuzioso sistema progettato dai Romani prevedeva un bacino di raccolta in corrispondenza dello sbocco delle gallerie denominato caput acquae; da qui partiva il condotto in tubatura che, dopo un percorso di circa 10 chilometri in leggera pendenza, raggiungeva l'acquedotto di Este. Nei secoli successivi queste gallerie si ostruirono; nonostante ciò scorreva abbondante acqua che veniva impiegata per lavare gli indumenti. Tra il 1970 e il 1971 il comune di Cinto Euganeo decise di effettuare dei lavori di asporto dei detriti; durante gli scavi venne ritrovata una barchetta ricavata da un tronco di pioppo lunga più di un metro e con due fori a poppa e a prua, la quale pare venisse utilizzata come mezzo per trasportare materiali. Tra il 1999 e il 2000, grazie ai consigli degli abitanti del luogo, il Buso della Casara è stato interessato da interventi di manutenzione per migliorarne l'accessibilità.

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