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V-LIPARI,Ponticello-M.te Pelato-Canneto

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Trail stats

Distance
4.72 mi
Elevation gain
1,437 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
1,545 ft
Max elevation
1,539 ft
TrailRank 
30
Min elevation
1,539 ft
Trail type
One Way
Time
45 minutes
Coordinates
360
Uploaded
March 7, 2020
Recorded
January 2010
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near Porticello, Sicilia (Italia)

Viewed 517 times, downloaded 13 times

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Itinerary description

Itinerario: “La via della Pomice”
Tempo di percorrenza: 5 ore. Lunghezza km: 8 Difficoltà: T/E facile
Partenza in bus dall’hotel. Monte Pelato è l’ultimo dei vulcani attivi di Lipari, teatro di un’eruzione alto medioevale e interamente costituito da pomici, il cui fianco nord-orientale è stato “tagliato” da una colata riolitica di ossidiana. Il percorso parte da “Porticello” sede dell’ultima industria della pomice. Da qui in direzione dell’abitato di Acquacalda, si costeggia quest’ultimo fino a raggiungere i vigneti e la macchia mediterranea di Fossa Castagna, l’antico cratere, oggi ricoperto da erica (Erica arborea) e corbezzolo (Arbutus unedo). Sarà possibile poi raggiungere la cima del Monte Pelato e scendere verso l’abitato di Lami. Da questa piccola frazione una vecchia mulattiera conduce fino a Canneto.

Waypoints

PictographBus stop Altitude 128 ft

v Bus Acquacalda

PictographWaypoint Altitude 171 ft

v Cava di Ossidiana

È difficile credere che il nero dell’ossidiana e il bianco della pietra pomice derivino dalla stessa tipologia di fenomeno. Mentre la prima deve il suo colore alla composizione basica del magma da cui è prodotta, la seconda è chiara perché è acida e nasce da eruzioni ricche di gas con un’evaporazione veloce che conferisce alla pietra pomice la sua caratteristica porosità. Se l’ossidiana è la tipica roccia magmatica-vetrosa di origine effusiva, la pomice appartiene a quella categoria di materiali eruttivi generati da un’attività effusiva-esplosiva: insomma, entrambe derivano dal raffreddamento e dalla successiva solidificazione della lava, ma sono totalmente diverse per consistenza e colore. Ancora oggi è possibile visitare le cave di pietra pomice di Porticello o fare un bagno lungo le sue coste bianchissime, dove il mare assume una colorazione turchese unica al mondo. Anche l’ossidiana è facilmente reperibile nella sua forma più grezza, soprattutto nelle zone costiere o rurali dell’Isola di Lipari.

PictographWaypoint Altitude 410 ft

v Cava di Pomice

È difficile credere che il nero dell’ossidiana e il bianco della pietra pomice derivino dalla stessa tipologia di fenomeno. Mentre la prima deve il suo colore alla composizione basica del magma da cui è prodotta, la seconda è chiara perché è acida e nasce da eruzioni ricche di gas con un’evaporazione veloce che conferisce alla pietra pomice la sua caratteristica porosità. Se l’ossidiana è la tipica roccia magmatica-vetrosa di origine effusiva, la pomice appartiene a quella categoria di materiali eruttivi generati da un’attività effusiva-esplosiva: insomma, entrambe derivano dal raffreddamento e dalla successiva solidificazione della lava, ma sono totalmente diverse per consistenza e colore. Ancora oggi è possibile visitare le cave di pietra pomice di Porticello o fare un bagno lungo le sue coste bianchissime, dove il mare assume una colorazione turchese unica al mondo. Anche l’ossidiana è facilmente reperibile nella sua forma più grezza, soprattutto nelle zone costiere o rurali dell’Isola di Lipari. L’estrazione della pomice e dell’ossidiana nell’isola di Lipari iniziò nel V millennio a.C., in corrispondenza dei primi insediamenti documentati, fenomeno che dava luogo ai primi timidi esempi di globalizzazione dei commerci, i minerali venivano esportati in tutto il Mediterraneo. La pomice trovava impiego nella abrasione di arpioni, ami da pesca, asce ecc., mentre l′ossidiana era destinata alla realizzazione di lame scheggiate, prodotto insostituito fino alla scoperta dei metalli. In epoca romana e successive la pomice fu usata anche come materiale leggero da costruzione. Le prime documentazioni connesse allo sfruttamento delle cave di pomice risalgono alla fine del XVI secolo, periodo nel quale si assistette ad una progressiva espansione degli insediamenti, in particolare di quello di Canneto, nel quale dalla seconda metà del XVII secolo si organizzarono piccoli commerci dediti all’esportazione della pomice, che raggiunsero stock di circa 500 tonnellate, principalmente destinati a Toscana, Campania e alla città di Marsiglia[i]. Dal XVIII secolo le possibilità commerciali offerte dall’utilizzazione dei giacimenti attrasse numerosi commercianti francesi, fenomeno che fece crescere l′esportazione della pomice fino a quote di 700 tonnellate annue[ii]. Deodat De Dolomieu nel 1781 definì l′isola di Lipari “l′immenso magazzino che fornisce la pomice a tutta l′Europa“, anche se all’epoca l’attività estrattiva era ancora poco organizzata e l’economia isolana era basata fondamentalmente sull’agricoltura, famosissimi erano i vini di malvasia e di uva passa, così come i capperi e i fichi secchi[iii] Un vero e proprio sfruttamento industriale si ebbe dal 1825, quando il marchese Vito Nunziante, già titolare di una concessione per le miniere di zolfo, allume e acido borico a Vulcano, ricevette anche l′autorizzazione allo sfruttamento esclusivo delle cave di pomice di Lipari, in breve il prodotto fu esportato fino in Inghilterra, Stati Uniti e Russia. Nel 1835 il Decurionato liparese impose il pagamento di un dazio sull′escavazione della pomice, provvedimento che fu ufficialmente approvato nel 1855, con atto del Ministro Cassisi della Real Segreteria di Stato. Il dazio consisteva in una tassa equivalente a 0,06 £ per ogni quintale di pomice bianca destinata al commercio. Verso la fine del XIX secolo alcune società straniere promossero la costruzione dei primi impianti di lavorazione del materiale, il francese Léonard Bacot selezionò e classificò le diverse qualità di pomice, in relazione alle diverse destinazioni d’uso. L′Amministrazione della riscossione del dazio fu appaltata a privati, al fine di risolvere il cronico problema delle evasioni, anche all’epoca fortemente radicato, il servizio così “esternalizzato”, come diremmo oggi, non aumentò le entrate gli evasori erano più furbi degli esattori. Nel 1884 fu redatto un vero e proprio Regolamento per la riscossione del diritto di percezione sulla pietra pomice che si estrae dalle cave dei demani comunali. Nello stesso anno l’escavazione fu affidata, con asta pubblica, l’escavazione in esclusiva della pomice a Gabriele Barthe contro il pagamento di 100.000 £ annue. La ditta Barthe non riuscì tuttavia ad entrare in possesso dei giacimenti illegalmente coltivati da altri, e, impotente ad esercitare pienamente il suo diritto citò in giudizio il Comune di Lipari, il quale non riuscendo a dimostrare il proprio diritto a concedere lo sfruttamento fu costretto ad annullare il contratto con il Barthe. Ancora, nel 1888 il monopolio per l′escavazione fu concesso alla Società L′Eolia, e nuovamente si verificarono le solite controversie con coloro i quali si attribuivano un diritto di scavare e commerciare. Un Decreto Reale del gennaio 1889 attribuì al Comune il pieno diritto di concedere in locazione i terreni demaniali, i cui confini però non furono precisamente delimitati. Anche la società Eolia citò in giudizio il Comune per chiedere una riduzione del canone d′affitto, il Comune vinse la controversia giudiziale e nel 1892 la Società Eolia fu posta in liquidazione. Nel 1903 Theodor Haan, di Dresda, avanzò al Comune di Lipari istanza di concessione ventennale contro il pagamento di un canone d′affitto di 65.000 £ annuali, l’accordo non fu mai formalizzato per la fortissima opposizione degli isolani all’ingerenza di un imprenditore straniero. La Legge n. 10 del 5 gennaio 1908 ridefinì la materia delle tasse comunali sull′estrazione della pomice, il Comune mantenne il diritto di esigere il dazio, fu introdotta una tassa di licenza da pagarsi mensilmente dal capogrotta per ogni cavatore che lavorava sotto di lui, fu prevista la figura di un direttore tecnico minerario, responsabile anche nelle cave private, fu introdotta una assicurazione contro gli infortuni, gli operai dovevano essere nativi dell′arcipelago, fu redatta la mappatura delle terre pomicifere e fu introdotto un registro di tutte le cave. La violazione di queste avrebbe comportato il sequestro del materiale e una sanzione fino a 100 £. Tra il 1911 e il 1921 il Comune di Lipari gestì una impegnativa contesa giudiziaria con il vescovo di Lipari, Monsignor Angelo Paino, il quale rivendicava la proprietà dei terreni pomici feri, sulla base di un diploma del 1088, concesso dal Conte Ruggero il Normanno all′Abate Ambrogio, con il quale si decretava il Monastero di San Bartolomeo proprietario dei territori delle isole Eolie. Il Comune difese con successo le sue spettanze producendo un diploma del 1134, il quale dimostrava che erano state donate alla Chiesa solamente le terre nullius, implicitamente, e non anche le proprietà private e gli usi civici delle terre comuni. La crisi economica mondiale del 1929 colpì pesantemente il commercio della pomice. Un nuovo pericolo per i commerci isolani si profilò nel 1935, quando gli industriali eoliani, Vincenzo D′Ambra e Francesco Carbone, insieme all′ing. Antonio Lamaro di Roma si interessarono allo sfruttamento della pomice dell’isola greca di Yali, che essendo di maggiore purezza avrebbe letteralmente azzerato l’esportazione della pomice di Lipari, anche perché, un po’ come accade oggi con la delocalizzazione delle produzioni in paesi in via di sviluppo, i costi di produzione sarebbero stati inferiori, per l′assenza della tassa d′escavazione, per le minori spese d′imbarco e per i minori costi della mano d’opera. Solo gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale impedirono l′impresa, seppure si verificò comunque un repentino declino del mercato della pomice proprio in relazione alla guerra, dal quale il settore si risollevò solo dopo il 1950, principalmente per merito di una maggiore meccanizzata dell’attività estrattiva. Tuttavia la eccessiva parcellizzazione delle cave risultò un punto critico del settore, si contavano circa 40 coltivazioni, condotte da modeste aziende individuali o da singoli cavatori, tra le più importanti la ditta Saltalamacchia Dietrich di Acquacalda, poi l′Italpomice, la società Eolpomice, la ditta G.Restuccia & Co., poi Pumex S.p.A., la ditta Th. Ferlazzo, la ditta Angelo D′Ambra e la Cooperativa San Cristoforo di Canneto. Dal 1968 la Pumex S.p.A., costituitasi nel 1958 da una fusione, acquisì gradualmente tutte le altre attività d′estrazione e commercio della pomice, razionalizzazione che permise migliori performance industriali, nei primi tre anni l′esportazione passò dalle 487.000 a 596.000 tonnellate. Insieme alla Pumex continuarono l’attività industriale Italpomice di Acquacalda e la Cooperativa S.Cristoforo di Canneto quest’ultima si occupava unicamente del settore produttivo e proseguì la sua attività fino alla seconda metà degli anni ′80. La formazione dei giacimenti pomiciferi (Da: http://www.salinamia.net/Pomice_0.7/index.html) Nell′isola di Lipari l′ultima eruzione è stata attestata intorno al VI-VIII sec. d.C., quando una colata di ossidiana formò le Rocche Rosse e le bianche pomici lanciate dal cratere andarono a costruire il Monte Pilato. La pomice è una roccia ignea effusiva a pasta vitrea, molto leggera e vescicolata, generalmente di colore bianco e d′aspetto scoriaceo, formatasi durante violente eruzioni di tipo esplosivo. Nel corso di queste eruzioni, i gas vulcanici dissolti nella parte liquida del magma si espandono rapidamente e danno vita ad una sorta di schiuma la cui parte liquida, raffreddandosi e solidificandosi con altrettanta rapidità, assume un aspetto vetroso attorno alle bolle di gas. Tutti i tipi di magma (basalto, andesite, dacite e riolite) possono, in determinate condizioni (ovvero se vengono portati bruscamente a basse pressioni), portare alla formazione di materiale pomiceo; nonostante ciò, il termine pomice viene più soventemente associato ai magmi di tipo acido. Questi, infatti, contenendo elevate percentuali di silice ed essendo, di conseguenza, più viscosi, danno luogo più facilmente ad eruzioni di tipo esplosivo ed intrappolano più facilmente le bolle di gas. La pomice di Lipari si differenzia da materiale analogo di diversa provenienza grazie alla sua notevole quantità di silice (70% circa contro il 50-60% medio delle altre pomici) che, conferendole maggior durezza e maggiore resistenza agli agenti chimici, la rende particolarmente pregiata e pura. Dal punto di vista della struttura fisica, la pomice di Lipari può essere definita come una schiuma solida caratterizzata da un′elevatissima porosità (fino all′85%), la cui struttura a fori non comunicanti tra loro impedisce il passaggio dell′aria e l′assorbimento dell′acqua. Caratteristica peculiare del giacimento di pomice liparese è quella di essersi formato per effetto di un unico episodio eruttivo, il che conferisce particolare omogeneità alle caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali di cui è composto.

PictographWaypoint Altitude 417 ft

v Cave di Pomice

L’estrazione della pomice a Lipari Danilo Stentella 07/11/2009 Industria estrattiva 13,023 Visualizzazioni L’estrazione della pomice e dell’ossidiana nell’isola di Lipari iniziò nel V millennio a.C., in corrispondenza dei primi insediamenti documentati, fenomeno che dava luogo ai primi timidi esempi di globalizzazione dei commerci, i minerali venivano esportati in tutto il Mediterraneo. La pomice trovava impiego nella abrasione di arpioni, ami da pesca, asce ecc., mentre l′ossidiana era destinata alla realizzazione di lame scheggiate, prodotto insostituito fino alla scoperta dei metalli. In epoca romana e successive la pomice fu usata anche come materiale leggero da costruzione. Le prime documentazioni connesse allo sfruttamento delle cave di pomice risalgono alla fine del XVI secolo, periodo nel quale si assistette ad una progressiva espansione degli insediamenti, in particolare di quello di Canneto, nel quale dalla seconda metà del XVII secolo si organizzarono piccoli commerci dediti all’esportazione della pomice, che raggiunsero stock di circa 500 tonnellate, principalmente destinati a Toscana, Campania e alla città di Marsiglia[i]. Dal XVIII secolo le possibilità commerciali offerte dall’utilizzazione dei giacimenti attrasse numerosi commercianti francesi, fenomeno che fece crescere l′esportazione della pomice fino a quote di 700 tonnellate annue[ii]. Deodat De Dolomieu nel 1781 definì l′isola di Lipari “l′immenso magazzino che fornisce la pomice a tutta l′Europa“, anche se all’epoca l’attività estrattiva era ancora poco organizzata e l’economia isolana era basata fondamentalmente sull’agricoltura, famosissimi erano i vini di malvasia e di uva passa, così come i capperi e i fichi secchi[iii] Un vero e proprio sfruttamento industriale si ebbe dal 1825, quando il marchese Vito Nunziante, già titolare di una concessione per le miniere di zolfo, allume e acido borico a Vulcano, ricevette anche l′autorizzazione allo sfruttamento esclusivo delle cave di pomice di Lipari, in breve il prodotto fu esportato fino in Inghilterra, Stati Uniti e Russia. Nel 1835 il Decurionato liparese impose il pagamento di un dazio sull′escavazione della pomice, provvedimento che fu ufficialmente approvato nel 1855, con atto del Ministro Cassisi della Real Segreteria di Stato. Il dazio consisteva in una tassa equivalente a 0,06 £ per ogni quintale di pomice bianca destinata al commercio. Verso la fine del XIX secolo alcune società straniere promossero la costruzione dei primi impianti di lavorazione del materiale, il francese Léonard Bacot selezionò e classificò le diverse qualità di pomice, in relazione alle diverse destinazioni d’uso. L′Amministrazione della riscossione del dazio fu appaltata a privati, al fine di risolvere il cronico problema delle evasioni, anche all’epoca fortemente radicato, il servizio così “esternalizzato”, come diremmo oggi, non aumentò le entrate gli evasori erano più furbi degli esattori. Nel 1884 fu redatto un vero e proprio Regolamento per la riscossione del diritto di percezione sulla pietra pomice che si estrae dalle cave dei demani comunali. Nello stesso anno l’escavazione fu affidata, con asta pubblica, l’escavazione in esclusiva della pomice a Gabriele Barthe contro il pagamento di 100.000 £ annue. La ditta Barthe non riuscì tuttavia ad entrare in possesso dei giacimenti illegalmente coltivati da altri, e, impotente ad esercitare pienamente il suo diritto citò in giudizio il Comune di Lipari, il quale non riuscendo a dimostrare il proprio diritto a concedere lo sfruttamento fu costretto ad annullare il contratto con il Barthe. Ancora, nel 1888 il monopolio per l′escavazione fu concesso alla Società L′Eolia, e nuovamente si verificarono le solite controversie con coloro i quali si attribuivano un diritto di scavare e commerciare. Un Decreto Reale del gennaio 1889 attribuì al Comune il pieno diritto di concedere in locazione i terreni demaniali, i cui confini però non furono precisamente delimitati. Anche la società Eolia citò in giudizio il Comune per chiedere una riduzione del canone d′affitto, il Comune vinse la controversia giudiziale e nel 1892 la Società Eolia fu posta in liquidazione. Nel 1903 Theodor Haan, di Dresda, avanzò al Comune di Lipari istanza di concessione ventennale contro il pagamento di un canone d′affitto di 65.000 £ annuali, l’accordo non fu mai formalizzato per la fortissima opposizione degli isolani all’ingerenza di un imprenditore straniero. La Legge n. 10 del 5 gennaio 1908 ridefinì la materia delle tasse comunali sull′estrazione della pomice, il Comune mantenne il diritto di esigere il dazio, fu introdotta una tassa di licenza da pagarsi mensilmente dal capogrotta per ogni cavatore che lavorava sotto di lui, fu prevista la figura di un direttore tecnico minerario, responsabile anche nelle cave private, fu introdotta una assicurazione contro gli infortuni, gli operai dovevano essere nativi dell′arcipelago, fu redatta la mappatura delle terre pomicifere e fu introdotto un registro di tutte le cave. La violazione di queste avrebbe comportato il sequestro del materiale e una sanzione fino a 100 £. Tra il 1911 e il 1921 il Comune di Lipari gestì una impegnativa contesa giudiziaria con il vescovo di Lipari, Monsignor Angelo Paino, il quale rivendicava la proprietà dei terreni pomici feri, sulla base di un diploma del 1088, concesso dal Conte Ruggero il Normanno all′Abate Ambrogio, con il quale si decretava il Monastero di San Bartolomeo proprietario dei territori delle isole Eolie. Il Comune difese con successo le sue spettanze producendo un diploma del 1134, il quale dimostrava che erano state donate alla Chiesa solamente le terre nullius, implicitamente, e non anche le proprietà private e gli usi civici delle terre comuni. La crisi economica mondiale del 1929 colpì pesantemente il commercio della pomice. Un nuovo pericolo per i commerci isolani si profilò nel 1935, quando gli industriali eoliani, Vincenzo D′Ambra e Francesco Carbone, insieme all′ing. Antonio Lamaro di Roma si interessarono allo sfruttamento della pomice dell’isola greca di Yali, che essendo di maggiore purezza avrebbe letteralmente azzerato l’esportazione della pomice di Lipari, anche perché, un po’ come accade oggi con la delocalizzazione delle produzioni in paesi in via di sviluppo, i costi di produzione sarebbero stati inferiori, per l′assenza della tassa d′escavazione, per le minori spese d′imbarco e per i minori costi della mano d’opera. Solo gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale impedirono l′impresa, seppure si verificò comunque un repentino declino del mercato della pomice proprio in relazione alla guerra, dal quale il settore si risollevò solo dopo il 1950, principalmente per merito di una maggiore meccanizzata dell’attività estrattiva. Tuttavia la eccessiva parcellizzazione delle cave risultò un punto critico del settore, si contavano circa 40 coltivazioni, condotte da modeste aziende individuali o da singoli cavatori, tra le più importanti la ditta Saltalamacchia Dietrich di Acquacalda, poi l′Italpomice, la società Eolpomice, la ditta G.Restuccia & Co., poi Pumex S.p.A., la ditta Th. Ferlazzo, la ditta Angelo D′Ambra e la Cooperativa San Cristoforo di Canneto. Dal 1968 la Pumex S.p.A., costituitasi nel 1958 da una fusione, acquisì gradualmente tutte le altre attività d′estrazione e commercio della pomice, razionalizzazione che permise migliori performance industriali, nei primi tre anni l′esportazione passò dalle 487.000 a 596.000 tonnellate. Insieme alla Pumex continuarono l’attività industriale Italpomice di Acquacalda e la Cooperativa S.Cristoforo di Canneto quest’ultima si occupava unicamente del settore produttivo e proseguì la sua attività fino alla seconda metà degli anni ′80. La formazione dei giacimenti pomiciferi (Da: http://www.salinamia.net/Pomice_0.7/index.html) Nell′isola di Lipari l′ultima eruzione è stata attestata intorno al VI-VIII sec. d.C., quando una colata di ossidiana formò le Rocche Rosse e le bianche pomici lanciate dal cratere andarono a costruire il Monte Pilato. La pomice è una roccia ignea effusiva a pasta vitrea, molto leggera e vescicolata, generalmente di colore bianco e d′aspetto scoriaceo, formatasi durante violente eruzioni di tipo esplosivo. Nel corso di queste eruzioni, i gas vulcanici dissolti nella parte liquida del magma si espandono rapidamente e danno vita ad una sorta di schiuma la cui parte liquida, raffreddandosi e solidificandosi con altrettanta rapidità, assume un aspetto vetroso attorno alle bolle di gas. Tutti i tipi di magma (basalto, andesite, dacite e riolite) possono, in determinate condizioni (ovvero se vengono portati bruscamente a basse pressioni), portare alla formazione di materiale pomiceo; nonostante ciò, il termine pomice viene più soventemente associato ai magmi di tipo acido. Questi, infatti, contenendo elevate percentuali di silice ed essendo, di conseguenza, più viscosi, danno luogo più facilmente ad eruzioni di tipo esplosivo ed intrappolano più facilmente le bolle di gas. La pomice di Lipari si differenzia da materiale analogo di diversa provenienza grazie alla sua notevole quantità di silice (70% circa contro il 50-60% medio delle altre pomici) che, conferendole maggior durezza e maggiore resistenza agli agenti chimici, la rende particolarmente pregiata e pura. Dal punto di vista della struttura fisica, la pomice di Lipari può essere definita come una schiuma solida caratterizzata da un′elevatissima porosità (fino all′85%), la cui struttura a fori non comunicanti tra loro impedisce il passaggio dell′aria e l′assorbimento dell′acqua. Caratteristica peculiare del giacimento di pomice liparese è quella di essersi formato per effetto di un unico episodio eruttivo, il che conferisce particolare omogeneità alle caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali di cui è composto.

PictographWaypoint Altitude 177 ft

v Colata di ossidiana

PictographWaypoint Altitude 53 ft

v Lipari

Città

PictographSummit Altitude 1,535 ft

v Monte Pelato

Una delle escursioni più interessanti sull'isola di Lipari, arcipelago vulcanico delle Eolie, è l'ascensione al Monte Pelato attraverso il sentiero che parte dall'estremo est della spiaggia di Acquacalda e attraversa l'antica colata delle Rocche Rosse. La colata è datata tra l'VIII ed il VII secolo d.C. ed è una delle più recenti dell'isola. Il Monte Pilato è il punto più alto dell'orlo del cratere da cui è fuoriuscita ed è costituito da bianchi depositi piroclastici di pomice. La pomice è una roccia molto leggera che si origina con attività vulcanica esplosiva in presenza di magmi viscosi ricchi in silice. La ben nota pomice di Lipari fu oggetto di estrazione ed esportazione per uso industriale fino al 2005. Un magma viscoso e ricco in silice è detto 'acido'. A Lipari la colata delle Rocche Rosse, così come quella poco distante, a sud, di Forgia Vecchia, ha la particolarità di essere il risultato della solidificazione di lava acida. Colata riolitica Rocche Rosse Dal raffreddamento in superficie di un magma acido, che contiene tra il 20 ed il 60% di quarzo, e non meno del 35% di feldspato alcalino tra tutti i feldspati, si ottene una roccia che si chiama riolite o liparite. Per confronto si ricorda che le rocce effusive più diffuse, i basalti, contengono molto meno quarzo (tra 0 e 20%), e non più del 10% di feldspato alcalino (90-100% plagioclasio tra tutti i feldspati). Le colate riolitiche, proprio per la composizione chimica della lava che le origina, hanno aspetto molto diverso da quelle basaltiche e una volta solidificate presentano caratteristiche tipiche. In genere la loro parte più interna è costituita roccia chiara e compatta, la riolite litoide, avvolta in un involucro nero di vetro vulcanico, l'ossidiana. La parte ancora più esterna è invece costituita da frammenti più o meno grandi e mescolati di pomice ed ossidiana. Ossidiana di Lipari con sferuliti L'ossidiana è un vetro nero e lucente a frattura concoide che è stato importante materiale per l'industria litica preistorica, per la facilità con cui è possibile ottenere, per scheggiatura, parti taglienti. Vetro significa che la materia, a causa del rapido raffreddamento che ha subito con l'esposizione subaerea, non ha avuto il tempo di organizzarsi in cristalli, che sono strutture ordinate e periodiche di atomi che per crescere hanno bisogno di tempo. Con il tempo però l'ossidiana tende comunque a cristallizzare. Il processo di devetrificazione lentamente coinvolge l''intero vetro vulcanico tanto che non sono conosciute in natura ossidiane più vecchie di 225 milioni di anni. Localmente, all'interno della pasta vetrosa dell'ossidiana delle Rocche Rosse si notano numerose piccole bolle bianche del diametro di circa un millimetro, le sferuliti, costituite da aggregati cristallini bianchi probabilmente di feldspato alcalino, cristobalite e quarzo. La diffusione di rioliti e altre rocce effusive acide a Lipari e in altre isole delle Eolie suggeriscono che il fuso da cui si originano si è in qualche modo arricchito in silice o per subduzione e fusione di rocce crostali o per un processo detto differenziazione magmatica. Queste considerazioni sono alla base delle ipotesi circa l'origine del vulcanismo eoliano. la ninfa del corbezzolo (Charaxes Jasius) Sulla colata di Rocche Rosse e sul cono di pomice di monte Pilato cresce oggi una fitta macchia di erica arborea, cisto rosa e corbezzolo. In estate è possibile incontrare una splendida farfalla il cui bruco si insedia tra le foglie di quest'ultimo: la ninfa del corbezzolo (Charaxes Jasius).

PictographWaypoint Altitude 151 ft

v Porticello -cave di pomice

Nella area settentrionale dell’isola potrete trovare Spiaggia Porticello. Si estende tra le cave di Campo Bianco (a sinistra) e la calata nera di ossidiana delle Rocche Rosse ( a destra). È una spiaggia ghiaiosa, caratterizzata anch’essa dalla presenza di pomice bianca.

PictographWaypoint Altitude 36 ft

v Spiaggia Bianca

Nella parte Nord-Est di Lipari c'è una spiaggia bianchissima e spettacolare. È piuttosto affollata ad agosto ma non lo è in primavera e durante la settimana. La spiaggia si trova nella zona di Lipari dove ci sono le cave di pomice ed ossidiana. Il litorale è completamente ricoperto da una distesa di pomice bianca, mentre l'enorme duna che sovrasta la spiaggia è fatta di pomice finissima. SPIAGGIA BIANCA DI LIPARI La spiaggia bianca di Lipari, anche se conosciuta ovunque con questo nome che ne racconta la caratteristica più bella, si chiama in realtà spiaggia Acquacalda e prende il nome dal borgo poco distante, sulla costa settentrionale dell’isola.

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