Trezzone
near Aurogna, Lombardia (Italia)
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monti, che spandonsi per le campagne, il lago che mugghia, che imperversa, che rugge, e via ne viene alto e gonfio di un nuovo diritto d'inondar la terra. Già collegate l'acque domestiche alle straniere vanno e tornano, e si dan mano e ristagnano. Già v'han pieni i cortili, piene le camere terrene. Fuggi su per le scale? ti seguono; corri alle prime stanze? t'arrivano; voli a' più alti piani? sormontano. Sbocca per gli usci la piena, rompe per le finestre, si riversa da' tetti, trapana i volti, cola dalle soffitte e da ogni lato s'affaccia a presentarti il naufragio. Ahi! Bellano mio, dove sei tu ch'io più non ti veggo? Quanto popolo di già annegato! quante famiglie già spente! quante povere madri là sulle loggie e su i colmi delle lor case coi piè in acqua, colle mani alte a camparne i loro pargoletti! Quanti che sono alle ultime prove di trarsi nuoto, e chi aggrappato coi vivi, chi abbracciato co'morti! Ma con qual pro? Tra il fendente de' fulmini, tra lo scroscio de' tuoni, tra il rovescio de' nembi; l'orror che gli abbatte, la disperazione che gli sfianca, la divina giustizia che balenando fra le ac
que preme del piè sulle teste de' naufraghi e gli sprofonda. Questa fu già la strage una volta d'un mondo intero (1).
Ma Dio misericordioso non fa più cotali stragi. Ne abbiamo in pegno quell'arco, prima in mano della giustizia guerriera, poi appiè della misericordia pacifico (2). Ah! che sebbene più non torna il diluvio delle acque si universale, forse perciò che il mondo più non riviene si lordo: non è però, dicca Nahum profeta, che Dio tuttora non mandi correr la terra da passeggeri diluvj, i quali passano si, ma disertano, e dove trovan più colpe. più vi affogan colpevoli (3). Ne bramate alcuni riscontri? Eccoveli. Stende un diluvio di fuoco sterminatore sull'infame Pentapoli, ed eccovi colà le Sodome e le Gomorre fumanti; gira il diluvio a' nostri secoli, e copre sotto il bitume e le ceneri le campagne di Napoli e di Sicilia. Piomba un diluvio di mar fremente a sommerger i Faraoni ostinati, ed eccovi a in volger d'acque l'esercito egiziano tutto sepolto. Torna il diluvio a' nostri giorni e rotto a forza ogni argin marittimo trascorre rapidamente da' lidi a sobbissare in gran parte le Fiandre. Muove un diluvio d'arme e d'armati ad allagare in Oriente, ed eccovi a galla, dirò così, d'un mar di sangue ne' loro grandi cadaveri le monarchie greche, caldee, persiane, assire. Passa ne' di a noi men lontani il diluvio su per l'istesse contrade, e tutto vi assorbe nell'onde barbare quel vasto impero cristiano senza lasciarvi un palmo d'asciutto in cui ergere una bandiera, o inalberar una croce. Tal ne va il Dio delle vendette, e tal n'andrà passeggiando pe' suoi seguaci diluvj fino alla fin dei peccati e dove questi non cessino, fino alla fine del mondo (4). Egli non ha mai fatta, nè farà pace con chi nol teme; anzi altamente protesta per Osea profeta, che qualor anche contro di lui cospirino tutti gli uomini, egli trarrà da' loro occhi ribelli quasi un diluvio di pianto in cui gli affoghi o il dolore o la rabbia della punita lor ribellione (5). Questo egli è appunto il diluvio che in oggi allaga tante di nostre contrade, ed ogni di più ingrossa del nostro pianto. >
Riposo alquanti minuti il frate, poi proruppe:
«Misera Italia! che non posso io qui dissimular di vederti! Deh, non volere ch' io dica oggi di te: basti ad un tuo allievo il pianger teco in silenzio su la comune rovina. Troppo più si ragiona de' tuoi affanni di là da' mari e da' monti, dove ne vai famosa non men di nome che di sciagure. Chiedine all' Unno, al Vandalo, al Goto i quali già tante volte recaronti i lor pugnali alla gola: chiedine a' popoli più feroci or dell'Asia, or dell' Africa, i quali entro alle tue mura medesime si duellaron lor pretensioni a renderti schiava; domandane a' mostri del più gelato settentrione scesi già in tanti stormi a sfamarsi nel sacco di tue ricolte. O donna un tempo reina del mondo, ne hai sostenuti de' gioghi! ne hai tu logore delle catene! Evvi foggia d'abiti barbari, la qual veduta non siasi nelle tue contrade? evvi maniera d'arme e d'armati, la qual provata non siasi nelle tue membra? evvi suono o favella d'aspro linguaggio, la qual udita
(1) Genesi, c. VII. (2) Genesi, c. IX. (3) Nahum, c. I. (4) Isaia, e. VIII. (5) Osea, c. IV.
non siasi nelle tue stragi? So, che non manca chi lusingandoti su molle cetra, ti reca a colpa dell'esser bella la gara dell'esser cerca; troppo apparir palese la ricca dote che tieni in vista alle genti per voler che nessun muova a domandarti in isposa. Eh fole! io ti dico, anzi tel dice Dio pe' suoi profeti, che i tuoi peccati, o Italia, accesero d'ognor le faci in mano alle furie che ti avvamparono (1). Superbia, lussuria e gola son quelle spie domestiche che t'hanno sempre scoperta a' tuoi nimici. Queste son quelle voci che udite in cielo, siccome un tempo spinsero a danno di Gerosolima il fiero turbin dell' armi assire e caldee, cosi pur esse incontro a te sovente spronarono la barbarie or asiatica, or africana (2).
N
« Quella trincea, che ti fiancheggia d'intorno con tanti monti, ben potea

E l'indomani si torna a Bellano in trionfo con l'orso..... (Cap. III, pag. 23).
farti sicura da ogni insulto straniero qualor tu avessi più rispettato il tuo Dio; ma dappoichè ne attizzasti l'immenso sdegno, mira a che t'han servito i baluardi dell'Appennino e dell'Alpe, se non se ad aprire il varco alle tue stragi. Chè vai tu dunque cercando fuori di te la cagion di quel male che in te si cova? E dimmi infatti, quando già carichi delle tue spoglie si dipartivano i barbari tuoi rivali, non ti levasti tu a stracciarti di dosso i cenci rimasiti dal loro furore? E dappoichè le guerre straniere t'ebber di già spolpate le carni, non ti volgesti tu nelle tue smanie civili a roderti da te medesima l'ossa? Mostrami le ferite del petto imbelle. Chi trafisse qui? dardo italiano o goto? spada domestica, o forestiera? Chi ti predò, chi t'arse, chi ti pestò con più rabbia? I Guelfi o gli Unni?
venuto il castigamatti; la peste ha scopato via la superbia di chi credeva poter fare e disfare a bacchetta... ci voleva proprio la peste a fare un po' di giustizia fuori del pretorio, e ad accomodare le uova nel paniere a quei due poveri tribolati. Oh! se fosse venuta due anni prima, quanti guai risparmiati: sarebbe stato proprio peccato dirne male: o anche per l'avvenire, quasi quasi sarebbe da au. gurarsene una di queste scope ad ogni vita d'uomo, e si potrebbe star a patti d'averla, ma guarire... pero la povera Perpetua è morta ! - Questo pensiero malinconico, cacciatosi fra mezzo a tanti giocondi, gli amareggiò l'anima. - Poveretta ! ci fosse stata anch'ella alla festa d'oggi, come avrebbe fatto baldoria coll'Agnese, e avrebbero riso insieme di questo raggio di sole, dopo tanto temporale. Con tutte le sue fantasticaggini, le mani arrovesciate sui fianchi e le gomita appuntate davanti quando s'arrogava di comandare, m'era affezionata, fedele, che sapeva ubbi. dire, tollerar i miei brontolamenti... ma Dio l'ha tirata con lui e... Dominus dedit, Dominus abstulit : sia fatta la sua volontà !
A toglierlo a quelle malinconie, entrò nel salotto, coi ferri da calza in mano, una donna di quarant'anni, che aveva preso il posto della Perpetua.
« Che volete, Anastasia ? » le domandò don Abbondio, con tono di voce che mai non ebbe usato colla defunta.
Stando alla finestra della cucina a raggiustar un paio delle sue calzette, ho veduto quel signore dell'altro di, che attraversava la piazza, avviato alla nostra casa. »
« Il signor marchese! m sclamo don Abbondio w Presto, Anastasia, sgombrate quella seggiola da tutta quella roba, intanto che io scendo incontro al signor marchese. »
La serva, obbediente, si pose a levare i cinque o sei vecchi volumi di autori ecclesiastici, che ingombravano uno dei due seggioloni del salotto. Don Abbondio aveva vegliato parte della notte a squadernare que’libri, per cavarne un costrutto che facesse al bisogno della giornata del domani. Un discorsetto dall'altare agli sposi - aveva pensato - ci stà; tanto più che il signor marchese è amico del cardinale arcivescovo, e quando Sua Eminenza lo saprà... ne sarà soddisfatto, e vedrà che il povero don Abbondio. quando non vengono proprio ad attraversargli la via, sa fare come ogni altro curato. Ma leggi omelie, sfogliazza prediche, medita panegirici, quando il colse il sonno, se ne andò a letto colla testa più confusa di prima. Nel cacciarsi sotto le coltri, gli tornò il pensiero del discorso, ed egli lo caccid con un oufi non son mica un quaresimale, quattro parole, come mi suggerisco la mente ! e s'addormento.


Mi vego do stel
Ch'en veo scià ;
Ma ol Toni la Martiöle
Al l'ha menade a cà. )
In quel punto s'aperse una delle finestre della stanza di sopra, e piovettero nel cortile noci, nocciuole e castagne secche, i confetti della montagna; e insieme s'udi la voce d'una donna, la padrona della casa.
( Bravel »
« Evviva la sposa ! » risposero le ragazzine, al complimento di mamma Agnese.
Intanto che si divertono ad arraffar di terra le frutta, regalate dalla madre della sposa, penetriamo in casa. Già il dissi, l'uscio era aperto. Entriamo pure. Nella prima stanza, a piano terreno, troviamo una vecchia conoscenza dei lettori dei Promessi Sposi, un giovinetto di quindici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati, veniva ad essere un po' nípote della padrona di casa. Era Menico, che la mamma della sposa, occupata dietro la figliuola, aveva chiesto, come in imprestito, ai parenti per tutto quel giorno; é il ragazzo era venuto volontieri a prestar mano a ripulire, rassettare la casa.
Il pavimento era lustro, che vi si poteva mangiar sopra; non una ragnatela sulle pareti e alla soffitta, e tersi i vetri. Quanto alla mobiglia, se non era nuova, non man. cava di certa decenza; e in quella prima stanza vedevate un vecchio tavolo di noce, con quattro scranne, e l'aspo, che ad ogni ora che foste passati ne' di feriali, avreste sentito girare, girare, e que del paese dicevano : « Come lavora quella Lucia Mondella ! » Dimenticava sulla parete, di contro l'uscio del cortiletto, una tela dipinta, ma cosi rabescata, presso la cornice, di buchi, che stavasi attaccata per un miracolo. Dalla figura del santo e dell'anima. le, che gli vegliava appresso, pareva dovess'essere un sant'Antonio abate, ma nessuno sapeva raccapezzare se la bestia avesse piuttosto il grifo o il rostro, due corna o due ali, e lo stesso curato, nella filza de’santi del calendario, non ne aveva trovato uno d'affibbiargli quella figura. Questo quadro era stato recato da Pasturo, insieme alla dote di Agnese, in casa Mondella, e s'era sempre conser vato, come una reliquia dei buoni nonni; e per non offendere alcun personaggio, celeste, se lo chiamava, dalla .corte, con nome generico il Santo della casa. Nelle' gran. di disgrazie, nei momenti in cui l'anima ha bisogno di consolazioni, si ricorreva a cotesto lare
que preme del piè sulle teste de' naufraghi e gli sprofonda. Questa fu già la strage una volta d'un mondo intero (1).
Ma Dio misericordioso non fa più cotali stragi. Ne abbiamo in pegno quell'arco, prima in mano della giustizia guerriera, poi appiè della misericordia pacifico (2). Ah! che sebbene più non torna il diluvio delle acque si universale, forse perciò che il mondo più non riviene si lordo: non è però, dicca Nahum profeta, che Dio tuttora non mandi correr la terra da passeggeri diluvj, i quali passano si, ma disertano, e dove trovan più colpe. più vi affogan colpevoli (3). Ne bramate alcuni riscontri? Eccoveli. Stende un diluvio di fuoco sterminatore sull'infame Pentapoli, ed eccovi colà le Sodome e le Gomorre fumanti; gira il diluvio a' nostri secoli, e copre sotto il bitume e le ceneri le campagne di Napoli e di Sicilia. Piomba un diluvio di mar fremente a sommerger i Faraoni ostinati, ed eccovi a in volger d'acque l'esercito egiziano tutto sepolto. Torna il diluvio a' nostri giorni e rotto a forza ogni argin marittimo trascorre rapidamente da' lidi a sobbissare in gran parte le Fiandre. Muove un diluvio d'arme e d'armati ad allagare in Oriente, ed eccovi a galla, dirò così, d'un mar di sangue ne' loro grandi cadaveri le monarchie greche, caldee, persiane, assire. Passa ne' di a noi men lontani il diluvio su per l'istesse contrade, e tutto vi assorbe nell'onde barbare quel vasto impero cristiano senza lasciarvi un palmo d'asciutto in cui ergere una bandiera, o inalberar una croce. Tal ne va il Dio delle vendette, e tal n'andrà passeggiando pe' suoi seguaci diluvj fino alla fin dei peccati e dove questi non cessino, fino alla fine del mondo (4). Egli non ha mai fatta, nè farà pace con chi nol teme; anzi altamente protesta per Osea profeta, che qualor anche contro di lui cospirino tutti gli uomini, egli trarrà da' loro occhi ribelli quasi un diluvio di pianto in cui gli affoghi o il dolore o la rabbia della punita lor ribellione (5). Questo egli è appunto il diluvio che in oggi allaga tante di nostre contrade, ed ogni di più ingrossa del nostro pianto. >
Riposo alquanti minuti il frate, poi proruppe:
«Misera Italia! che non posso io qui dissimular di vederti! Deh, non volere ch' io dica oggi di te: basti ad un tuo allievo il pianger teco in silenzio su la comune rovina. Troppo più si ragiona de' tuoi affanni di là da' mari e da' monti, dove ne vai famosa non men di nome che di sciagure. Chiedine all' Unno, al Vandalo, al Goto i quali già tante volte recaronti i lor pugnali alla gola: chiedine a' popoli più feroci or dell'Asia, or dell' Africa, i quali entro alle tue mura medesime si duellaron lor pretensioni a renderti schiava; domandane a' mostri del più gelato settentrione scesi già in tanti stormi a sfamarsi nel sacco di tue ricolte. O donna un tempo reina del mondo, ne hai sostenuti de' gioghi! ne hai tu logore delle catene! Evvi foggia d'abiti barbari, la qual veduta non siasi nelle tue contrade? evvi maniera d'arme e d'armati, la qual provata non siasi nelle tue membra? evvi suono o favella d'aspro linguaggio, la qual udita
(1) Genesi, c. VII. (2) Genesi, c. IX. (3) Nahum, c. I. (4) Isaia, e. VIII. (5) Osea, c. IV.
non siasi nelle tue stragi? So, che non manca chi lusingandoti su molle cetra, ti reca a colpa dell'esser bella la gara dell'esser cerca; troppo apparir palese la ricca dote che tieni in vista alle genti per voler che nessun muova a domandarti in isposa. Eh fole! io ti dico, anzi tel dice Dio pe' suoi profeti, che i tuoi peccati, o Italia, accesero d'ognor le faci in mano alle furie che ti avvamparono (1). Superbia, lussuria e gola son quelle spie domestiche che t'hanno sempre scoperta a' tuoi nimici. Queste son quelle voci che udite in cielo, siccome un tempo spinsero a danno di Gerosolima il fiero turbin dell' armi assire e caldee, cosi pur esse incontro a te sovente spronarono la barbarie or asiatica, or africana (2).
N
« Quella trincea, che ti fiancheggia d'intorno con tanti monti, ben potea

E l'indomani si torna a Bellano in trionfo con l'orso..... (Cap. III, pag. 23).
farti sicura da ogni insulto straniero qualor tu avessi più rispettato il tuo Dio; ma dappoichè ne attizzasti l'immenso sdegno, mira a che t'han servito i baluardi dell'Appennino e dell'Alpe, se non se ad aprire il varco alle tue stragi. Chè vai tu dunque cercando fuori di te la cagion di quel male che in te si cova? E dimmi infatti, quando già carichi delle tue spoglie si dipartivano i barbari tuoi rivali, non ti levasti tu a stracciarti di dosso i cenci rimasiti dal loro furore? E dappoichè le guerre straniere t'ebber di già spolpate le carni, non ti volgesti tu nelle tue smanie civili a roderti da te medesima l'ossa? Mostrami le ferite del petto imbelle. Chi trafisse qui? dardo italiano o goto? spada domestica, o forestiera? Chi ti predò, chi t'arse, chi ti pestò con più rabbia? I Guelfi o gli Unni?
venuto il castigamatti; la peste ha scopato via la superbia di chi credeva poter fare e disfare a bacchetta... ci voleva proprio la peste a fare un po' di giustizia fuori del pretorio, e ad accomodare le uova nel paniere a quei due poveri tribolati. Oh! se fosse venuta due anni prima, quanti guai risparmiati: sarebbe stato proprio peccato dirne male: o anche per l'avvenire, quasi quasi sarebbe da au. gurarsene una di queste scope ad ogni vita d'uomo, e si potrebbe star a patti d'averla, ma guarire... pero la povera Perpetua è morta ! - Questo pensiero malinconico, cacciatosi fra mezzo a tanti giocondi, gli amareggiò l'anima. - Poveretta ! ci fosse stata anch'ella alla festa d'oggi, come avrebbe fatto baldoria coll'Agnese, e avrebbero riso insieme di questo raggio di sole, dopo tanto temporale. Con tutte le sue fantasticaggini, le mani arrovesciate sui fianchi e le gomita appuntate davanti quando s'arrogava di comandare, m'era affezionata, fedele, che sapeva ubbi. dire, tollerar i miei brontolamenti... ma Dio l'ha tirata con lui e... Dominus dedit, Dominus abstulit : sia fatta la sua volontà !
A toglierlo a quelle malinconie, entrò nel salotto, coi ferri da calza in mano, una donna di quarant'anni, che aveva preso il posto della Perpetua.
« Che volete, Anastasia ? » le domandò don Abbondio, con tono di voce che mai non ebbe usato colla defunta.
Stando alla finestra della cucina a raggiustar un paio delle sue calzette, ho veduto quel signore dell'altro di, che attraversava la piazza, avviato alla nostra casa. »
« Il signor marchese! m sclamo don Abbondio w Presto, Anastasia, sgombrate quella seggiola da tutta quella roba, intanto che io scendo incontro al signor marchese. »
La serva, obbediente, si pose a levare i cinque o sei vecchi volumi di autori ecclesiastici, che ingombravano uno dei due seggioloni del salotto. Don Abbondio aveva vegliato parte della notte a squadernare que’libri, per cavarne un costrutto che facesse al bisogno della giornata del domani. Un discorsetto dall'altare agli sposi - aveva pensato - ci stà; tanto più che il signor marchese è amico del cardinale arcivescovo, e quando Sua Eminenza lo saprà... ne sarà soddisfatto, e vedrà che il povero don Abbondio. quando non vengono proprio ad attraversargli la via, sa fare come ogni altro curato. Ma leggi omelie, sfogliazza prediche, medita panegirici, quando il colse il sonno, se ne andò a letto colla testa più confusa di prima. Nel cacciarsi sotto le coltri, gli tornò il pensiero del discorso, ed egli lo caccid con un oufi non son mica un quaresimale, quattro parole, come mi suggerisco la mente ! e s'addormento.


Mi vego do stel
Ch'en veo scià ;
Ma ol Toni la Martiöle
Al l'ha menade a cà. )
In quel punto s'aperse una delle finestre della stanza di sopra, e piovettero nel cortile noci, nocciuole e castagne secche, i confetti della montagna; e insieme s'udi la voce d'una donna, la padrona della casa.
( Bravel »
« Evviva la sposa ! » risposero le ragazzine, al complimento di mamma Agnese.
Intanto che si divertono ad arraffar di terra le frutta, regalate dalla madre della sposa, penetriamo in casa. Già il dissi, l'uscio era aperto. Entriamo pure. Nella prima stanza, a piano terreno, troviamo una vecchia conoscenza dei lettori dei Promessi Sposi, un giovinetto di quindici anni, sveglio la sua parte, e che, per via di cugini e di cognati, veniva ad essere un po' nípote della padrona di casa. Era Menico, che la mamma della sposa, occupata dietro la figliuola, aveva chiesto, come in imprestito, ai parenti per tutto quel giorno; é il ragazzo era venuto volontieri a prestar mano a ripulire, rassettare la casa.
Il pavimento era lustro, che vi si poteva mangiar sopra; non una ragnatela sulle pareti e alla soffitta, e tersi i vetri. Quanto alla mobiglia, se non era nuova, non man. cava di certa decenza; e in quella prima stanza vedevate un vecchio tavolo di noce, con quattro scranne, e l'aspo, che ad ogni ora che foste passati ne' di feriali, avreste sentito girare, girare, e que del paese dicevano : « Come lavora quella Lucia Mondella ! » Dimenticava sulla parete, di contro l'uscio del cortiletto, una tela dipinta, ma cosi rabescata, presso la cornice, di buchi, che stavasi attaccata per un miracolo. Dalla figura del santo e dell'anima. le, che gli vegliava appresso, pareva dovess'essere un sant'Antonio abate, ma nessuno sapeva raccapezzare se la bestia avesse piuttosto il grifo o il rostro, due corna o due ali, e lo stesso curato, nella filza de’santi del calendario, non ne aveva trovato uno d'affibbiargli quella figura. Questo quadro era stato recato da Pasturo, insieme alla dote di Agnese, in casa Mondella, e s'era sempre conser vato, come una reliquia dei buoni nonni; e per non offendere alcun personaggio, celeste, se lo chiamava, dalla .corte, con nome generico il Santo della casa. Nelle' gran. di disgrazie, nei momenti in cui l'anima ha bisogno di consolazioni, si ricorreva a cotesto lare
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