Scarponi 68 :Sentiero Frassati della Basilicata
near Sasso di Castalda, Basilicata (Italia)
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Trail photos
Itinerary description
Il “Sentiero Frassati” della Basilicata è un percorso escursionistico di 22 chilometri che - toccando interessanti siti storici, religiosi e naturalistici – si sviluppa interamente nel territorio di Sasso di Castalda (Potenza), antico borgo dell’Appennino Lucano, ai piedi del gruppo montuoso Arioso-Pierfaone. Costituito da un anello di 14 chilometri e da una bretella di collegamento col centro storico di 4 chilometri, il percorso è stato individuato tenendo conto della memoria storica degli abitanti del paese, che utilizzavano i sentieri per andare a coltivare i campi, macinare il grano, raccogliere e trasportare legna, produrre carbone o pascolare le greggi. Si può ben dire, pertanto, che il “Sentiero Frassati” della Basilicata rappresenta la riscoperta e la valorizzazione di antiche vie, spesso dimenticate, che hanno legato un’intera comunità alle sue montagne.La particolare articolazione in due grandi segmenti (la bretella e l’anello) e la possibilità di raggiungere in auto vari punti del percorso, ne rendono possibile una personale modulazione in una o più escursioni, sicché davvero questo sentiero può ritenersi una grande ricchezza alla portata di tutti! Per quanto riguarda la segnatura del sentiero, la Sezione di Potenza del Club Alpino Italiano l’ha curata ispirandosi a quanto consiglia Spiro Dalla Porta Xidias, uno dei padri del C.A.I.: “La segnaletica sui sentieri toglie il gusto dell’avventura. Ciò nonostante, almeno sui principali sentieri, questa è necessaria per invitare gli escursionisti meno esperti a camminare con maggiore sicurezza. Facciamo in modo che questa non sia invasiva.” Ed allora, a tutti, un buon cammino … anzi, una buona avventura sul “Sentiero Frassati” della Basilicata!
Le vie della pietà
Preludio alla percorrenza del “Sentiero Frassati” è la visita del centro storico di Sasso di Castalda, che pressoché ad ogni angolo riserva la vista delle memorie di una religiosità semplice e antica, dalle chiese principali del patrono San Rocco e dell’Immacolata (già dell’Annunziata), alle numerose cappelle, tra cui quelle della Pietà e della Madonna delle Grazie (quest’ultima appena fuori l’abitato, uscendo dall’antico e ben restaurato Borgo della Manca); dalle edicole votive ricche talvolta di pregevoli icone in ceramica, alle numerose croci devozionali, la più antica delle quali – in pietra – risale al 1587.
La via del grano
Risalite le viuzze del centro storico, ci immettiamo su quella che un tempo era la principale via di collegamento tra il paese e la montagna. All’altezza del Calvario scorgiamo sulla sinistra un’ampia collina recintata: oggi è l’Oasi del Cervo, ed è possibile ammirarvi splendidi esemplari di ungulati, qui riprodottisi. Un tempo, nei mesi di luglio e agosto, quanti avevano mietuto il grano nelle zone circostanti portavano lì, sulle piazzole comunali (aie) che ancora si scorgono, i covoni (gregne) di grano e procedevano alla trebbiatura, che avveniva, in una prima fase, con l’ausilio di una grossa pietra trainata da animali con cui si schiacciavano i covoni sciolti e disseminati sull’aia. Per la definitiva separazione del grano dalla paglia (ventilazione) si sfruttava la corrente d’aria che solitamente risaliva dal vallone. In assenza di vento, per la ventilazione bisognava attendere il giorno successivo o, in caso di luna piena, l’immancabile brezza notturna. Raccolto in sacchi da cinquanta chili, periodicamente, con l’ausilio dei muli, si portava il grano al mulino per farne farina. La strada era la stessa che andiamo ora a percorrere, in direzione del torrente San Michele, che si supera grazie ad un primo ponticello di legno di recentissima costruzione. Ed ecco di fronte a noi profilarsi i ruderi del Mulino del Conte, che era l’unico del paese. Come la maggior parte dei mulini delle zone collinari e montuose della Lucania e del vicino Cilento, aveva un funzionamento a ruota orizzontale, che richiedeva meno spazio e minore quantità d’acqua. Per far ruotare la macina in pietra del mulino (mola), si utilizzava l’energia cinetica dell’acqua, ottenuta attraverso un condotto tronco-conico, ad asse quasi verticale (torre o saetta) ed un rudimentale boccaglio, detto “tubo addizionale”, dal quale l’acqua affluiva investendo le pale (generalmente in legno di ontano in quanto molto resistente all’immersione costante in acqua); esse trasmettevano direttamente il moto alla mola, che era montata sullo stesso albero della ruota (generalmente in legno di leccio perché conservava resistenza e stabilità).
La via dell’acqua
Dopo aver raggiunto la parte alta dei ruderi del mulino, ed aver ammirato la magnifica “saetta” scalpellata a mano in blocchi di pietra, proseguiamo il cammino lungo il canale artificiale che portava al mulino l’acqua del torrente San Michele, che andiamo a riattraversare servendoci di un secondo ponticello. Ci inoltriamo, così, nella parte bassa del bosco della Costara, continuando a costeggiare il corso d’acqua. Ad un incrocio, sul limitar del bosco, termina la bretella di collegamento col paese ed inizia il percorso ad anello che noi, proseguendo diritto, compiremo in senso orario. Attraversato un piccolo ponte ci imbattiamo nelle costruzioni dell’Acquedotto Pugliese. Già negli anni ’20 era stato realizzato un piccolo acquedotto al servizio dei comuni di Sasso e Brienza, ma una maggior opera di captazione fu compiuta a metà degli anni ’50 nell’ambito di una più ampia attività di utilizzo delle varie e ricche sorgenti di Sasso per portare acqua in Puglia. E fu in quell’occasione che l’antica cappella di San Michele - edificata in esatta corrispondenza della sorgente (in perfetto ossequio al culto michaelico) - venne abbattuta e riedificata ad un centinaio di metri di distanza.
La via dei pastori
Dopo aver fatto una opportuna scorta di freschissima ed ottima acqua vicino alla cappella di San Michele, svoltiamo a destra e cominciamo a salire verso un gruppo di masserie (sulla destra ve n’è una appartenuta un tempo alla famiglia di don Giuseppe De Luca). Queste masserie venivano abitate generalmente da aprile a novembre: attigua alle stalle - dove venivano riparati per lo più mucche, pecore e capre – vi era un unico ambiente domestico (focagna) dove si mangiava e dormiva. Di primo mattino, dopo la mungitura, gli animali venivano istradati verso i pascoli in altura. In estate accadeva spesso che più mandrie si mettessero insieme (accucchiate) ed i pastori si alternassero tra la sorveglianza e l’attività casearia. Il sentiero che andiamo a percorrere, ben tracciato a tornantini nella prima parte, era anche la via attraversata dai muli che ritornavano dai boschi in altura carichi di legnatico secco, di cui si faceva ampia scorta per il rigido inverno. Terminati i tornanti ed un brevissimo tratto in ombra, in prossimità di un colletto proseguiamo verso destra, per prativi a pascolo, fino a raggiungere la località Madonna del Sasso, dove ben si stagliano sul paesaggio una edicola votiva in prossimità di un Camping.
La via dei boschi
Attraversata la strada asfaltata all’altezza della seconda edicola votiva, ci addentriamo a sinistra in un rimboschimento di pini ed abeti, in leggera discesa, fino a giungere alla Fontana di Fossa Cupa, una delle migliori acque della Basilicata. L’attività di rimboschimento fu avviata negli anni ’50 dal Corpo Forestale dello Stato ed interessò ampie zone del Meridione. Funzionale a quest’attività era anche la tracciatura o il ripristino di sentieri di montagna, come ben possiamo osservare proprio nel primo tratto di salita dalla fontana verso l’Arioso, dove ammireremo senz’altro una lunga serie di tornanti ben sistemati con pietre a secco. Arrivati a quota 1500, ci si addentra in un bosco di faggi che diventa man mano più fitto e prodigo di splendidi esemplari. Più in alto, a quota 1700, sfioriamo gli impianti sciistici del comprensorio Arioso-Pierfaone e, seguendo una stretta cresta, giungiamo alla cima del Monte Arioso (m. 1709), vetta del “Sentiero Frassati” della Basilicata e cima storica del CAI lucano perché proprio qui si indirizzò – il 15 giugno del 1878 – la prima escursione della Sezione Lucana del Club Alpino Italiano.
La via delle nevi
Attraversata la panoramicissima cresta del Monte Arioso, dove lo sguardo spazia dal Volturino al Sirino, dal Cervati agli Alburni - cime tutte innevata fino a primavera inoltrata – ci riaddentriamo in discesa nel bel bosco di faggi, intersecando altre piste da sci ed impianti di risalita. Dopo aver brevemente costeggiato la strada asfaltata che da Sasso di Castalda conduce agli impianti sciistici – terminando in prossimità del Rifugio del Forestale – girando a sinistra giungiamo all’incrocio di Tempa d’Albano. Da questo punto, a soli 200 metri, si può raggiungere il Belvedere delle Scaledde.
La via dell’aria
Dopo un’opportuna sosta sulle panchine del Belvedere delle Scaledde (che si affaccia, tra l’altro, sulla vicinissima vetta del monte Maruggio), ritornando per un po’ sui nostri passi cominciamo una lunga discesa che - escluso il breve tratto iniziale ancora all’ombra dei faggi - va man mano scoprendosi su lunghi prati, dove veramente sembrerà di “planare” … sulle ali del vento, che qui spesso si fa sentire. A metà discesa (a quota 1420) ci si potrà ristorare alla sorgente Acqua Ceresola, per poi proseguire lungo un arioso sentiero a mezza costa in fondo al quale, svoltando a destra, ci si immette nel bosco della Costara, fino ad arrivare, sempre in discesa, all’incrocio con il Rifugio La Costara (a circa 150 metri dal sentiero).
La via del Faggio di San Michele
Nel meraviglioso bosco della Costara è possibile ammirare gli esemplari più belli e vetusti di faggio della regione. Il sentiero coincide qui con uno dei percorsi fitness, seguendo il quale arriveremo in breve al cospetto del monumentale Faggio di San Michele, uno degli “alberi padri” della Basilicata, tutelato con legge regionale. Una comoda panchina ci invita ad una sosta ed alla lettura – su apposito cartello - della sua storia … e della sua leggenda.
L’escursionista curioso, che volesse “divagare” a vista tra queste possenti colonne della natura, non mancherà di scoprire qua e là, nella parte alta del bosco, gli spiazzi (aie) su cui venivano approntate le carbonaie. Ma anche restando sul “Sentiero Frassati”, che riprendiamo decisamente in discesa con ripidi zig-zag, non ci mancherà un’altra curiosità del bosco: la buca della neve! Ne incontriamo, infatti, una poco più sotto del Faggio di San Michele. Con diametri e profondità che potevano oscillare dai tre ai cinque metri, queste buche raccoglievano un’enorme quantità di neve, che vi veniva ammassata d’inverno, per poi essere prelevata d’estate e portata in paese per il confezionamento di gelati e granite. Al termine della ripida discesa tra i faggi, raggiungiamo il limitare del bosco nel punto esatto di chiusura dell’anello escursionistico e d’incrocio con la già nota bretella lungo la quale faremo ritorno in paese.
Fonte : dal web
Le vie della pietà
Preludio alla percorrenza del “Sentiero Frassati” è la visita del centro storico di Sasso di Castalda, che pressoché ad ogni angolo riserva la vista delle memorie di una religiosità semplice e antica, dalle chiese principali del patrono San Rocco e dell’Immacolata (già dell’Annunziata), alle numerose cappelle, tra cui quelle della Pietà e della Madonna delle Grazie (quest’ultima appena fuori l’abitato, uscendo dall’antico e ben restaurato Borgo della Manca); dalle edicole votive ricche talvolta di pregevoli icone in ceramica, alle numerose croci devozionali, la più antica delle quali – in pietra – risale al 1587.
La via del grano
Risalite le viuzze del centro storico, ci immettiamo su quella che un tempo era la principale via di collegamento tra il paese e la montagna. All’altezza del Calvario scorgiamo sulla sinistra un’ampia collina recintata: oggi è l’Oasi del Cervo, ed è possibile ammirarvi splendidi esemplari di ungulati, qui riprodottisi. Un tempo, nei mesi di luglio e agosto, quanti avevano mietuto il grano nelle zone circostanti portavano lì, sulle piazzole comunali (aie) che ancora si scorgono, i covoni (gregne) di grano e procedevano alla trebbiatura, che avveniva, in una prima fase, con l’ausilio di una grossa pietra trainata da animali con cui si schiacciavano i covoni sciolti e disseminati sull’aia. Per la definitiva separazione del grano dalla paglia (ventilazione) si sfruttava la corrente d’aria che solitamente risaliva dal vallone. In assenza di vento, per la ventilazione bisognava attendere il giorno successivo o, in caso di luna piena, l’immancabile brezza notturna. Raccolto in sacchi da cinquanta chili, periodicamente, con l’ausilio dei muli, si portava il grano al mulino per farne farina. La strada era la stessa che andiamo ora a percorrere, in direzione del torrente San Michele, che si supera grazie ad un primo ponticello di legno di recentissima costruzione. Ed ecco di fronte a noi profilarsi i ruderi del Mulino del Conte, che era l’unico del paese. Come la maggior parte dei mulini delle zone collinari e montuose della Lucania e del vicino Cilento, aveva un funzionamento a ruota orizzontale, che richiedeva meno spazio e minore quantità d’acqua. Per far ruotare la macina in pietra del mulino (mola), si utilizzava l’energia cinetica dell’acqua, ottenuta attraverso un condotto tronco-conico, ad asse quasi verticale (torre o saetta) ed un rudimentale boccaglio, detto “tubo addizionale”, dal quale l’acqua affluiva investendo le pale (generalmente in legno di ontano in quanto molto resistente all’immersione costante in acqua); esse trasmettevano direttamente il moto alla mola, che era montata sullo stesso albero della ruota (generalmente in legno di leccio perché conservava resistenza e stabilità).
La via dell’acqua
Dopo aver raggiunto la parte alta dei ruderi del mulino, ed aver ammirato la magnifica “saetta” scalpellata a mano in blocchi di pietra, proseguiamo il cammino lungo il canale artificiale che portava al mulino l’acqua del torrente San Michele, che andiamo a riattraversare servendoci di un secondo ponticello. Ci inoltriamo, così, nella parte bassa del bosco della Costara, continuando a costeggiare il corso d’acqua. Ad un incrocio, sul limitar del bosco, termina la bretella di collegamento col paese ed inizia il percorso ad anello che noi, proseguendo diritto, compiremo in senso orario. Attraversato un piccolo ponte ci imbattiamo nelle costruzioni dell’Acquedotto Pugliese. Già negli anni ’20 era stato realizzato un piccolo acquedotto al servizio dei comuni di Sasso e Brienza, ma una maggior opera di captazione fu compiuta a metà degli anni ’50 nell’ambito di una più ampia attività di utilizzo delle varie e ricche sorgenti di Sasso per portare acqua in Puglia. E fu in quell’occasione che l’antica cappella di San Michele - edificata in esatta corrispondenza della sorgente (in perfetto ossequio al culto michaelico) - venne abbattuta e riedificata ad un centinaio di metri di distanza.
La via dei pastori
Dopo aver fatto una opportuna scorta di freschissima ed ottima acqua vicino alla cappella di San Michele, svoltiamo a destra e cominciamo a salire verso un gruppo di masserie (sulla destra ve n’è una appartenuta un tempo alla famiglia di don Giuseppe De Luca). Queste masserie venivano abitate generalmente da aprile a novembre: attigua alle stalle - dove venivano riparati per lo più mucche, pecore e capre – vi era un unico ambiente domestico (focagna) dove si mangiava e dormiva. Di primo mattino, dopo la mungitura, gli animali venivano istradati verso i pascoli in altura. In estate accadeva spesso che più mandrie si mettessero insieme (accucchiate) ed i pastori si alternassero tra la sorveglianza e l’attività casearia. Il sentiero che andiamo a percorrere, ben tracciato a tornantini nella prima parte, era anche la via attraversata dai muli che ritornavano dai boschi in altura carichi di legnatico secco, di cui si faceva ampia scorta per il rigido inverno. Terminati i tornanti ed un brevissimo tratto in ombra, in prossimità di un colletto proseguiamo verso destra, per prativi a pascolo, fino a raggiungere la località Madonna del Sasso, dove ben si stagliano sul paesaggio una edicola votiva in prossimità di un Camping.
La via dei boschi
Attraversata la strada asfaltata all’altezza della seconda edicola votiva, ci addentriamo a sinistra in un rimboschimento di pini ed abeti, in leggera discesa, fino a giungere alla Fontana di Fossa Cupa, una delle migliori acque della Basilicata. L’attività di rimboschimento fu avviata negli anni ’50 dal Corpo Forestale dello Stato ed interessò ampie zone del Meridione. Funzionale a quest’attività era anche la tracciatura o il ripristino di sentieri di montagna, come ben possiamo osservare proprio nel primo tratto di salita dalla fontana verso l’Arioso, dove ammireremo senz’altro una lunga serie di tornanti ben sistemati con pietre a secco. Arrivati a quota 1500, ci si addentra in un bosco di faggi che diventa man mano più fitto e prodigo di splendidi esemplari. Più in alto, a quota 1700, sfioriamo gli impianti sciistici del comprensorio Arioso-Pierfaone e, seguendo una stretta cresta, giungiamo alla cima del Monte Arioso (m. 1709), vetta del “Sentiero Frassati” della Basilicata e cima storica del CAI lucano perché proprio qui si indirizzò – il 15 giugno del 1878 – la prima escursione della Sezione Lucana del Club Alpino Italiano.
La via delle nevi
Attraversata la panoramicissima cresta del Monte Arioso, dove lo sguardo spazia dal Volturino al Sirino, dal Cervati agli Alburni - cime tutte innevata fino a primavera inoltrata – ci riaddentriamo in discesa nel bel bosco di faggi, intersecando altre piste da sci ed impianti di risalita. Dopo aver brevemente costeggiato la strada asfaltata che da Sasso di Castalda conduce agli impianti sciistici – terminando in prossimità del Rifugio del Forestale – girando a sinistra giungiamo all’incrocio di Tempa d’Albano. Da questo punto, a soli 200 metri, si può raggiungere il Belvedere delle Scaledde.
La via dell’aria
Dopo un’opportuna sosta sulle panchine del Belvedere delle Scaledde (che si affaccia, tra l’altro, sulla vicinissima vetta del monte Maruggio), ritornando per un po’ sui nostri passi cominciamo una lunga discesa che - escluso il breve tratto iniziale ancora all’ombra dei faggi - va man mano scoprendosi su lunghi prati, dove veramente sembrerà di “planare” … sulle ali del vento, che qui spesso si fa sentire. A metà discesa (a quota 1420) ci si potrà ristorare alla sorgente Acqua Ceresola, per poi proseguire lungo un arioso sentiero a mezza costa in fondo al quale, svoltando a destra, ci si immette nel bosco della Costara, fino ad arrivare, sempre in discesa, all’incrocio con il Rifugio La Costara (a circa 150 metri dal sentiero).
La via del Faggio di San Michele
Nel meraviglioso bosco della Costara è possibile ammirare gli esemplari più belli e vetusti di faggio della regione. Il sentiero coincide qui con uno dei percorsi fitness, seguendo il quale arriveremo in breve al cospetto del monumentale Faggio di San Michele, uno degli “alberi padri” della Basilicata, tutelato con legge regionale. Una comoda panchina ci invita ad una sosta ed alla lettura – su apposito cartello - della sua storia … e della sua leggenda.
L’escursionista curioso, che volesse “divagare” a vista tra queste possenti colonne della natura, non mancherà di scoprire qua e là, nella parte alta del bosco, gli spiazzi (aie) su cui venivano approntate le carbonaie. Ma anche restando sul “Sentiero Frassati”, che riprendiamo decisamente in discesa con ripidi zig-zag, non ci mancherà un’altra curiosità del bosco: la buca della neve! Ne incontriamo, infatti, una poco più sotto del Faggio di San Michele. Con diametri e profondità che potevano oscillare dai tre ai cinque metri, queste buche raccoglievano un’enorme quantità di neve, che vi veniva ammassata d’inverno, per poi essere prelevata d’estate e portata in paese per il confezionamento di gelati e granite. Al termine della ripida discesa tra i faggi, raggiungiamo il limitare del bosco nel punto esatto di chiusura dell’anello escursionistico e d’incrocio con la già nota bretella lungo la quale faremo ritorno in paese.
Fonte : dal web
Waypoints
Comments (2)
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Information
Easy to follow
Scenery
Easy
Molto bello purtroppo causa temporale non ho potuto completarlo!
Hai percorso solo la bretella , quando riavrai possibilità fallo tutto ne vale la pena