Rocchetta a Volturno (550 m)-Madonna delle Grotte (470 m)
near Rocchetta Nuova, Molise (Italia)
Viewed 459 times, downloaded 15 times
Trail photos
Itinerary description
Percorso direi turistico, i tempi sono lunghi in questa registrazione del percorso perché ero con amici e quindi è stata una piacevole passeggiata. Si può fare ovviamente senza attrezzatura da trekking, però consiglio sempre, visto che buona parte il percorso è su mulattiera, di essere almeno comodi nell'abbigliamento.
Si parte da Rocchetta nei pressi della fontana, dove si può riempire la borraccia e dopo una visita al volo al bacino, presa "Via boccacava", si devia verso la mulattiera "Via buia" ovviamente nei waypoint sono segnati i bivi per raggiungere agevolmente la Madonna delle Grotte. Il percorso come dicevo prima è praticamente su una comoda mulattiera, si incrocia solo lungo il percorso di nuovo "Via boccacava" dove volendo si può evitare parte della mulattiera se si vuole solo accorciare il percorso ma visto che e comunque è una piacevole camminata si può fare anche tutto. L'asfalto comincia nella via del ritorno, praticamente dalla chiesa fino al punto di partenza, altrimenti si può fare il percorso inverso rifacendo la mulattiera. Se poi si vuole proprio evitare completamente il percorso si può arrivare in macchina e parcheggiare proprio sopra la Madonna delle Grotte. In questa uscita avevamo le chiavi della chiesa, perché era una visita guidata, ma in giorni normali purtroppo la chiesa è chiusa e bisognerebbe chiedere al comune o cercare su internet numeri utili.
Qui parte di una descrizione della chiesa trovata su internet.
A pochi chilometri dalla badia di San Vincenzo, la chiesa di Santa Maria delle Grotte, collocata a sud-est di Rocchetta a Volturno e a breve distanza dal fiume che bagna il territorio, sorse su grotte naturali come rifugio per i monaci eremiti. La sequenza di un contesto rupestre rimodellato a scopo abitativo e una serie di attrezzature necessarie per la produzione olearia e vinaria in prossimità del sito, delineano le tracce di un vasto e articolato complesso monastico. Posto ai limiti di un antico tracciato, che collegava le abbazie benedettine di San Vincenzo e Montecassino, l’insediamento ha avuto inizio sfruttando le cavità rocciose sulle quali venne edificata una chiesa dedicata alla Vergine, evidentemente in memoria di un evento miracoloso occorso in un momento di carestia o calamità naturale. Probabilmente la chiesa è da riferirsi al tardo secolo XII o agli inizi di quello successivo, anche se con questo nome è nota solo dalla metà del XIII secolo. Una campana del 1331 recuperata da Angelo Pantoni a Rocchetta Vecchia e custodita nel campanile della basilica di San Vincenzo reca l’iscrizione “FRATER FRANGISCUS DE VULDE REGIA, PRIOR SCE M DE GRIPTIS”. Questa costituisce la prima testimonianza della chiesa e della presenza di una comunità monastica a Rocchetta. Tale testimonianza, la conformazione della chiesa e la decorazione pittorica interna, confermano la possibilità che vi sia stata una fase di maggior sviluppo della badia, che avrebbe raggiunto il suo apice tra XIII e il XIV secolo. Sulle origini dell’edificio benedettino non abbiamo notizie precise, ma appare evidente che la sua edificazione è legata all’insediamento del vicino monastero dedicato a San Vincenzo. Una serie di rimaneggiamenti delle strutture e diverse sovrapposizioni, che si sono susseguite nel corso dei secoli, riferibili alle diverse fasi della vita monastica, rendono difficile la comprensione delle stratificazioni e una più precisa cronologia degli ampliamenti subiti. La scelta del sito è da collegare alla presenza di una serie di grotte naturali che caratterizzano il territorio e hanno poi determinato il nome stesso della chiesa. Legata sicuramente ai riti arcaici della Madre Terra e all’idea del ventre di Maria, la grotta sembra essere un luogo privilegiato per le ierofanie mariane. In tutto il Mezzogiorno luoghi di culto pagani legati ai riti agropastorali nascono in prossimità di antiche grotte naturali, in seguito dedicati alla Vergine, strutture successive si sovrappongono ad antiche spelonche nelle quali tracce di affreschi mariani contraddistinguono il toponimo. La chiesa di Rocchetta, che appare come una visione in pietra della teologia benedettina, costruita con tipiche pietre locali, porose e friabili, consta di due piccole navate, di cui una soltanto comunica con l’esterno, che corrisponde al fianco laterale destro, dove si apre nell’estremità sinistra un elegante portale in alabastro Volturense. Dei tre archi a tutto sesto che incorniciano il portale quello superiore è decorato da foglie d’acanto e poggia su esili colonnine poligonali con capitelli a crochet di raffinata esecuzione che richiamano modelli scultorei diffusi nel corso del Duecento tra la Puglia e l’Abruzzo, a testimonianza di quella circolazione culturale di modelli e di influssi che investì l’area adriatica per tutto il Medioevo. Anche nella sua semplicità il portale mostra i segni di quel raffinato virtuosismo scultoreo, espresso in fitte e sinuose sequenze vegetali, che contraddistingue numerosi edifici sacri molisani tra il XIII e il XIV secolo. Nella lunetta una ormai sbiadita Madonna con Bambino fra due angeli, attesta la centralità del culto mariano e conferma il ruolo di Maria, titolare della chiesa, come simbolo di intercessione. A destra della porta d’accesso, sulla ruvida e scarna muratura due semplici monofore fortemente strombate, offrono l’unica fonte di luce all’interno. Superato il portale si apre una navata a pianta rettangolare, con andamento verticale, dotata di un presbiterio con arco a sesto acuto e volta a crociera, mentre un’ampia arcata gotica e un più piccolo ingresso arcuato mettono in comunicazione la navata maggiore con quella più antica, di dimensioni minori, delimitata dalla parete rocciosa, sulla quale poggia l’intera struttura. A conclusione della navata minore si apre una cavità naturale, parte terminale dell’originario e più antico impianto della chiesa, successivamente modificata in seguito agli ampliamenti verificatisi nel corso del Medioevo, con l’inserimento di un’arcata, nel momento in cui il vano venne utilizzato come luogo di sepoltura. Attraverso il presbiterio si raggiungono due ambienti, quello di sinistra collegato mediante una porta, ha funzione di sagrestia, mentre quello a destra, limitato da un arco, risulta essere una vera e propria cappella laterale. Questa parte dell’edificio, che sporge dal muro di sud-ovest, e non si appoggia alle pareti rocciose, risalirebbe al 1513, come ricorda l’iscrizione sulla parete esterna. L’arcone trionfale a sesto acuto che poggia sugli affreschi campiti sulla parete longitudinale, non anteriori alla seconda metà del XIII secolo, porterebbe a pensare a una fase di ristrutturazione, evidentemente portata a termine tra il XII e il XIII, che coincide anche con la ricostruzione della chiesa di San Vincenzo, completata nel 1115 e consacrata ad opera di Papa Pasquale. Alla seconda metà del XIV secolo va riferita una successiva ristrutturazione, come testimonia un manoscritto dell’archivio della cattedrale di Isernia, ritrovato dal Ciarlanti, quando nel 1349 un terremoto colpì l’intera area. Altri cambiamenti furono apportati nei secoli successivi, e anche gli affreschi subirono manomissioni quando nel 1619 la chiesa fu “rivotata et bianchita”, come testimonia un’epigrafe posta sul portale. Il santuario di carattere eremitico di tipo rupestre, come molte chiese di fondazione monastica disseminate tra l’Abruzzo, la Campania e la Puglia, fu evidentemente semplice cappellina, caratterizzata da una funzione votiva o stazionale poiché collocata lungo la via antiqua, itinerario percorso dai pellegrini verso le regioni meridionali nei santuari del Gargano e di Bari o diretti verso i porti della costa pugliese, punto d’imbarco per la Terra Santa. Com’è facile comprendere dalle diverse fasi, pur mantenendo il riferimento all’originale connotazione di grotta, una struttura di dimensioni maggiori, dedicata a Santa Maria, fu costruita sulla cavità rocciosa evidentemente non più sufficiente ad accogliere i pellegrini in transito e che sostavano per ringraziare la Vergine per la protezione lungo l’impervio cammino. La chiesa sorge sul percorso che collegava le terre di San Vincenzo alla Campania, dove da Benevento tramite la via Appia-Traiana si procedeva verso i porti pugliesi. Attraversando Aecae e di lì percorrendo la via Peregrinorium, un diverticolo che portava al santuario micaelico del Gargano, si raggiungeva la via litoranea sino al santuario nicolaiano di Bari, tappe importanti lungo la via francigena, mete di un pellegrinaggio non solo locale per tutto il Medioevo ed oltre. Per la naturale posizione geografica il territorio molisano fu un anello importante per lo snodo di itinerari religiosi. Attraverso il sistema di vie consolari di età romana, e i tratturi che collegavano l’Abruzzo alla Puglia, il Molise fu partecipe degli itinerari nord-sud, lungo la fascia adriatica della penisola, e degli itinerari est-ovest, tra l’Adriatico e il Tirreno. L’accostamento di trame romaniche e gotiche, con l’avvicendarsi di un apparato decorativo recettivo delle influenze locali provenenti da diverse estrazioni culturali, le pitture che risentono dei modelli bizantino-cassinesi e quelle di più marcato respiro gotico-angioino, confermano la confluenza culturale nella quale il monastero veniva a trovarsi. Verso la fine Duecento la badia di San Vincenzo, promotrice delle arti alle sorgenti del Volturno, era già in decadenza, mentre le pitture che si conservano nella parte più antica della chiesa di Santa Maria delle Grotte proseguono la tradizione pittorica fiorita a Montecassino verso la fine del secolo XI con la presenza di artisti bizantini fatti giungere dall’abate Desiderio per decorare sontuosamente la chiesa del monastero cassinese. Le affinità di alcuni frammenti scultorei ritrovati all’interno dell’edificio con opere di chiese abruzzesi è stata già rilevata dal Toesca, mentre Bertaux, che aveva attribuito al fenomeno artistico delle abbazie di Montecassino e di San Vincenzo un carattere unitario, ipotizzò l’esistenza di una vera e propria scuola benedettina, ritrovando nelle pitture della cripta di Epifanio le premesse di uno stile che arriverà ai massimi livelli secoli più tardi, quando Desiderio divenne abate cassinese. Fu certamente nell’età desideriana che la cultura benedettina si fuse con la tradizione bizantina, per la presenza di maestranze greche a Montecassino, che influenzarono la produzione coeva e successiva, quando l’iconografia orientale subentrò nei cicli pittorici dell’Italia meridionale.
Si parte da Rocchetta nei pressi della fontana, dove si può riempire la borraccia e dopo una visita al volo al bacino, presa "Via boccacava", si devia verso la mulattiera "Via buia" ovviamente nei waypoint sono segnati i bivi per raggiungere agevolmente la Madonna delle Grotte. Il percorso come dicevo prima è praticamente su una comoda mulattiera, si incrocia solo lungo il percorso di nuovo "Via boccacava" dove volendo si può evitare parte della mulattiera se si vuole solo accorciare il percorso ma visto che e comunque è una piacevole camminata si può fare anche tutto. L'asfalto comincia nella via del ritorno, praticamente dalla chiesa fino al punto di partenza, altrimenti si può fare il percorso inverso rifacendo la mulattiera. Se poi si vuole proprio evitare completamente il percorso si può arrivare in macchina e parcheggiare proprio sopra la Madonna delle Grotte. In questa uscita avevamo le chiavi della chiesa, perché era una visita guidata, ma in giorni normali purtroppo la chiesa è chiusa e bisognerebbe chiedere al comune o cercare su internet numeri utili.
Qui parte di una descrizione della chiesa trovata su internet.
A pochi chilometri dalla badia di San Vincenzo, la chiesa di Santa Maria delle Grotte, collocata a sud-est di Rocchetta a Volturno e a breve distanza dal fiume che bagna il territorio, sorse su grotte naturali come rifugio per i monaci eremiti. La sequenza di un contesto rupestre rimodellato a scopo abitativo e una serie di attrezzature necessarie per la produzione olearia e vinaria in prossimità del sito, delineano le tracce di un vasto e articolato complesso monastico. Posto ai limiti di un antico tracciato, che collegava le abbazie benedettine di San Vincenzo e Montecassino, l’insediamento ha avuto inizio sfruttando le cavità rocciose sulle quali venne edificata una chiesa dedicata alla Vergine, evidentemente in memoria di un evento miracoloso occorso in un momento di carestia o calamità naturale. Probabilmente la chiesa è da riferirsi al tardo secolo XII o agli inizi di quello successivo, anche se con questo nome è nota solo dalla metà del XIII secolo. Una campana del 1331 recuperata da Angelo Pantoni a Rocchetta Vecchia e custodita nel campanile della basilica di San Vincenzo reca l’iscrizione “FRATER FRANGISCUS DE VULDE REGIA, PRIOR SCE M DE GRIPTIS”. Questa costituisce la prima testimonianza della chiesa e della presenza di una comunità monastica a Rocchetta. Tale testimonianza, la conformazione della chiesa e la decorazione pittorica interna, confermano la possibilità che vi sia stata una fase di maggior sviluppo della badia, che avrebbe raggiunto il suo apice tra XIII e il XIV secolo. Sulle origini dell’edificio benedettino non abbiamo notizie precise, ma appare evidente che la sua edificazione è legata all’insediamento del vicino monastero dedicato a San Vincenzo. Una serie di rimaneggiamenti delle strutture e diverse sovrapposizioni, che si sono susseguite nel corso dei secoli, riferibili alle diverse fasi della vita monastica, rendono difficile la comprensione delle stratificazioni e una più precisa cronologia degli ampliamenti subiti. La scelta del sito è da collegare alla presenza di una serie di grotte naturali che caratterizzano il territorio e hanno poi determinato il nome stesso della chiesa. Legata sicuramente ai riti arcaici della Madre Terra e all’idea del ventre di Maria, la grotta sembra essere un luogo privilegiato per le ierofanie mariane. In tutto il Mezzogiorno luoghi di culto pagani legati ai riti agropastorali nascono in prossimità di antiche grotte naturali, in seguito dedicati alla Vergine, strutture successive si sovrappongono ad antiche spelonche nelle quali tracce di affreschi mariani contraddistinguono il toponimo. La chiesa di Rocchetta, che appare come una visione in pietra della teologia benedettina, costruita con tipiche pietre locali, porose e friabili, consta di due piccole navate, di cui una soltanto comunica con l’esterno, che corrisponde al fianco laterale destro, dove si apre nell’estremità sinistra un elegante portale in alabastro Volturense. Dei tre archi a tutto sesto che incorniciano il portale quello superiore è decorato da foglie d’acanto e poggia su esili colonnine poligonali con capitelli a crochet di raffinata esecuzione che richiamano modelli scultorei diffusi nel corso del Duecento tra la Puglia e l’Abruzzo, a testimonianza di quella circolazione culturale di modelli e di influssi che investì l’area adriatica per tutto il Medioevo. Anche nella sua semplicità il portale mostra i segni di quel raffinato virtuosismo scultoreo, espresso in fitte e sinuose sequenze vegetali, che contraddistingue numerosi edifici sacri molisani tra il XIII e il XIV secolo. Nella lunetta una ormai sbiadita Madonna con Bambino fra due angeli, attesta la centralità del culto mariano e conferma il ruolo di Maria, titolare della chiesa, come simbolo di intercessione. A destra della porta d’accesso, sulla ruvida e scarna muratura due semplici monofore fortemente strombate, offrono l’unica fonte di luce all’interno. Superato il portale si apre una navata a pianta rettangolare, con andamento verticale, dotata di un presbiterio con arco a sesto acuto e volta a crociera, mentre un’ampia arcata gotica e un più piccolo ingresso arcuato mettono in comunicazione la navata maggiore con quella più antica, di dimensioni minori, delimitata dalla parete rocciosa, sulla quale poggia l’intera struttura. A conclusione della navata minore si apre una cavità naturale, parte terminale dell’originario e più antico impianto della chiesa, successivamente modificata in seguito agli ampliamenti verificatisi nel corso del Medioevo, con l’inserimento di un’arcata, nel momento in cui il vano venne utilizzato come luogo di sepoltura. Attraverso il presbiterio si raggiungono due ambienti, quello di sinistra collegato mediante una porta, ha funzione di sagrestia, mentre quello a destra, limitato da un arco, risulta essere una vera e propria cappella laterale. Questa parte dell’edificio, che sporge dal muro di sud-ovest, e non si appoggia alle pareti rocciose, risalirebbe al 1513, come ricorda l’iscrizione sulla parete esterna. L’arcone trionfale a sesto acuto che poggia sugli affreschi campiti sulla parete longitudinale, non anteriori alla seconda metà del XIII secolo, porterebbe a pensare a una fase di ristrutturazione, evidentemente portata a termine tra il XII e il XIII, che coincide anche con la ricostruzione della chiesa di San Vincenzo, completata nel 1115 e consacrata ad opera di Papa Pasquale. Alla seconda metà del XIV secolo va riferita una successiva ristrutturazione, come testimonia un manoscritto dell’archivio della cattedrale di Isernia, ritrovato dal Ciarlanti, quando nel 1349 un terremoto colpì l’intera area. Altri cambiamenti furono apportati nei secoli successivi, e anche gli affreschi subirono manomissioni quando nel 1619 la chiesa fu “rivotata et bianchita”, come testimonia un’epigrafe posta sul portale. Il santuario di carattere eremitico di tipo rupestre, come molte chiese di fondazione monastica disseminate tra l’Abruzzo, la Campania e la Puglia, fu evidentemente semplice cappellina, caratterizzata da una funzione votiva o stazionale poiché collocata lungo la via antiqua, itinerario percorso dai pellegrini verso le regioni meridionali nei santuari del Gargano e di Bari o diretti verso i porti della costa pugliese, punto d’imbarco per la Terra Santa. Com’è facile comprendere dalle diverse fasi, pur mantenendo il riferimento all’originale connotazione di grotta, una struttura di dimensioni maggiori, dedicata a Santa Maria, fu costruita sulla cavità rocciosa evidentemente non più sufficiente ad accogliere i pellegrini in transito e che sostavano per ringraziare la Vergine per la protezione lungo l’impervio cammino. La chiesa sorge sul percorso che collegava le terre di San Vincenzo alla Campania, dove da Benevento tramite la via Appia-Traiana si procedeva verso i porti pugliesi. Attraversando Aecae e di lì percorrendo la via Peregrinorium, un diverticolo che portava al santuario micaelico del Gargano, si raggiungeva la via litoranea sino al santuario nicolaiano di Bari, tappe importanti lungo la via francigena, mete di un pellegrinaggio non solo locale per tutto il Medioevo ed oltre. Per la naturale posizione geografica il territorio molisano fu un anello importante per lo snodo di itinerari religiosi. Attraverso il sistema di vie consolari di età romana, e i tratturi che collegavano l’Abruzzo alla Puglia, il Molise fu partecipe degli itinerari nord-sud, lungo la fascia adriatica della penisola, e degli itinerari est-ovest, tra l’Adriatico e il Tirreno. L’accostamento di trame romaniche e gotiche, con l’avvicendarsi di un apparato decorativo recettivo delle influenze locali provenenti da diverse estrazioni culturali, le pitture che risentono dei modelli bizantino-cassinesi e quelle di più marcato respiro gotico-angioino, confermano la confluenza culturale nella quale il monastero veniva a trovarsi. Verso la fine Duecento la badia di San Vincenzo, promotrice delle arti alle sorgenti del Volturno, era già in decadenza, mentre le pitture che si conservano nella parte più antica della chiesa di Santa Maria delle Grotte proseguono la tradizione pittorica fiorita a Montecassino verso la fine del secolo XI con la presenza di artisti bizantini fatti giungere dall’abate Desiderio per decorare sontuosamente la chiesa del monastero cassinese. Le affinità di alcuni frammenti scultorei ritrovati all’interno dell’edificio con opere di chiese abruzzesi è stata già rilevata dal Toesca, mentre Bertaux, che aveva attribuito al fenomeno artistico delle abbazie di Montecassino e di San Vincenzo un carattere unitario, ipotizzò l’esistenza di una vera e propria scuola benedettina, ritrovando nelle pitture della cripta di Epifanio le premesse di uno stile che arriverà ai massimi livelli secoli più tardi, quando Desiderio divenne abate cassinese. Fu certamente nell’età desideriana che la cultura benedettina si fuse con la tradizione bizantina, per la presenza di maestranze greche a Montecassino, che influenzarono la produzione coeva e successiva, quando l’iconografia orientale subentrò nei cicli pittorici dell’Italia meridionale.
Waypoints
Comments (1)
You can add a comment or review this trail
I have followed this trail View more
Information
Easy to follow
Scenery
Easy
Ringrazio l'autore di questo percorso per le dettagliatissime indicazioni , per le foto e per la traccia, onestamente non si può aggiungere nulla che non sia ripetitivo.
Riporto solo delle considerazioni personali: ho fatto questo giro a metà Settembre 2022 in compagnia di mia moglie. Rispetto alle foto la vegetazione era molto più folta, abbiamo avuto la senzazione di camminare in un lungo tunnel e abbiamo avuto un senso di leggera claustrofobia. Di paesaggi neanche l'ombra quindi non mi sento di consigliare questo giro a meno che non lo si voglia intendere come un mini pellegrinaggio verso la chiesetta della madonna delle grotte.