Rifugio manfrè - parco avventura - Ariel - rifugio galvarina - rifugio Poggio la caccia - pagghiaru
near Villa Milia, Sicilia (Italia)
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Trail photos
Itinerary description
Rifugio manfrè - parco avventura - Ariel - rifugio galvarina - rifugio Poggio la caccia - pagghiaru
percorso molto eterogeneo.
nella vegetazione: castagni, faggi, pini, roverelle, ginestre, maggiociondoli.
nel selciato: asfalto, sterrato, pietrisco di lava, sabbia
il tratto più acclive è quello iniziale, raggiunto il calcello di Milia poi la saòlita è molto più leggera, il ritorno è ovviamente tutto in discesa. a tratti si vedono i crateri sommitali, i rifugi che si incontrano sono fra i più belli dell'etna.
pagghiari dell'etna (fonte lafrecciaerde.it)
I pagghiari dell’Etna, rifugi temporanei di pastori e contadini, costruiti interamente in pietrame a secco, s’innalzano, spesso, su una pianta circolare, con una sola apertura d’accesso, che culmina in una copertura a cupola, fatta di pietre disposte a cerchi concentrici, ricordando la forma a tholos delle antiche costruzioni preistoriche. Il materiale, direttamente ricavato dall’habitat naturale come la sciara lavica, veniva adattato al tipo di costruzione da realizzare. Qualche volta il pietrame a secco, frutto di lavori di dissodamento del terreno, era utilizzato per la tipica casotta rettangolare, che sostituiva, quasi in una sorta di rustica evoluzione, l’antico pagliaio. A Bordonaro (ME) il giorno dell’Epifania si celebrava la festa del pagghiaru, che si concludeva con la realizzazione di un grande albero della cuccagna
I pagliai della piana avevano, invece, il tetto di canne come nella storica immagine, in bianco e nero, del 1910, riprodotta dal Nicolosi in Vecchie foto di Sicilia, che presenta dei contadini intorno ad un pagghiaru di contrada Pero di Paternò. Erano delle antiche capanne a pavimento nudo, come le preistoriche abitazioni sicule, con muri a secco rinforzati con fango, da cui si alzavano pali di legno che si incrociavano fino a costituire l’ossatura del tetto a forma conica. I modesti ricoveri, poi, venivano coperti con frasche, strame e ginestre. Accanto ai pagliai, a volte, erano costruite delle stalle a cielo aperto, dette mànniri (mandre o mandrie), con pietrame lavico e palizzate di legno e canne. Nel periodo neolitico esse avevano diversi recinti e meandri, quasi dei labirinti che definivano un singolo settore, funzionali all’allevamento e alla domesticazione delle varie specie di animali, riprodotti, poi, nei disegni a spirale dei graffiti preistorici.
percorso molto eterogeneo.
nella vegetazione: castagni, faggi, pini, roverelle, ginestre, maggiociondoli.
nel selciato: asfalto, sterrato, pietrisco di lava, sabbia
il tratto più acclive è quello iniziale, raggiunto il calcello di Milia poi la saòlita è molto più leggera, il ritorno è ovviamente tutto in discesa. a tratti si vedono i crateri sommitali, i rifugi che si incontrano sono fra i più belli dell'etna.
pagghiari dell'etna (fonte lafrecciaerde.it)
I pagghiari dell’Etna, rifugi temporanei di pastori e contadini, costruiti interamente in pietrame a secco, s’innalzano, spesso, su una pianta circolare, con una sola apertura d’accesso, che culmina in una copertura a cupola, fatta di pietre disposte a cerchi concentrici, ricordando la forma a tholos delle antiche costruzioni preistoriche. Il materiale, direttamente ricavato dall’habitat naturale come la sciara lavica, veniva adattato al tipo di costruzione da realizzare. Qualche volta il pietrame a secco, frutto di lavori di dissodamento del terreno, era utilizzato per la tipica casotta rettangolare, che sostituiva, quasi in una sorta di rustica evoluzione, l’antico pagliaio. A Bordonaro (ME) il giorno dell’Epifania si celebrava la festa del pagghiaru, che si concludeva con la realizzazione di un grande albero della cuccagna
I pagliai della piana avevano, invece, il tetto di canne come nella storica immagine, in bianco e nero, del 1910, riprodotta dal Nicolosi in Vecchie foto di Sicilia, che presenta dei contadini intorno ad un pagghiaru di contrada Pero di Paternò. Erano delle antiche capanne a pavimento nudo, come le preistoriche abitazioni sicule, con muri a secco rinforzati con fango, da cui si alzavano pali di legno che si incrociavano fino a costituire l’ossatura del tetto a forma conica. I modesti ricoveri, poi, venivano coperti con frasche, strame e ginestre. Accanto ai pagliai, a volte, erano costruite delle stalle a cielo aperto, dette mànniri (mandre o mandrie), con pietrame lavico e palizzate di legno e canne. Nel periodo neolitico esse avevano diversi recinti e meandri, quasi dei labirinti che definivano un singolo settore, funzionali all’allevamento e alla domesticazione delle varie specie di animali, riprodotti, poi, nei disegni a spirale dei graffiti preistorici.
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