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Ortigia

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Trail stats

Distance
4.24 mi
Elevation gain
217 ft
Technical difficulty
Moderate
Elevation loss
217 ft
Max elevation
105 ft
TrailRank 
29
Min elevation
4 ft
Trail type
Loop
Moving time
one hour 33 minutes
Time
one hour 53 minutes
Coordinates
1039
Uploaded
September 22, 2019
Recorded
September 2019
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near Siracusa, Sicilia (Italia)

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Itinerary description

Ortigia
Ortigia è il toponimo dell'isola che costituisce la parte più antica della città di Siracusa.

La sua estensione è di circa 1 km² e la sua popolazione ammonta a 3889 abitanti (2020).[1]

È affiancata a est da alcuni scogli, tra cui uno più largo ma quasi interamente sommerso storicamente conosciuto come l'isola dei cani.[2]
L'isola di Ortigia è geologicamente parte dei monti Iblei[3]. Sotto la sua roccia calcarea scorre l'acqua dolce, alimentata da una profonda falda freatica iblea.

La costa ortigiana di ponente forma l'entrata naturale di un grande golfo o baia, che costituisce il porto Grande di Siracusa, la cui altra estremità è data dalla costa della penisola della Maddalena.

Ortigia, in tempi antichi, doveva avere una costa più prolungata, infatti dai vari studi archeologici effettuati presso il Lakkios (detto anche porto Piccolo di Siracusa), risulta visibile sott'acqua parte della banchina marmorea che contraddistingueva l'approdo siracusano.[4]


Sabbia nei pressi della fonte Aretusa
La tipologia di costa è rocciosa e frastagliata, nella sua maggior parte, eccetto qualche golfetto di sabbia.

La sua vegetazione non è estesa, poiché l'isola nel corso dei millenni è stata densamente popolata ed edificata. La flora ortigiana è composta dalle piante tipiche del clima mediterraneo, quindi soprattutto palme e ficus. Inoltre attira curiosità la presenza della pianta del Cyperus papyrus (la medesima pianta dalla quale è possibile ricavare i fogli di papiro), che cresce all'interno della fonte Aretusa.

La sua fauna, composta essenzialmente da numerose specie marine, annovera anche delle anatre e dei pesci d'acqua dolce, entrambi abitanti esclusivi della fonte Aretusa e per questo parte della cultura paesaggistica.

Etimologia

Lo stesso argomento in dettaglio: Ortigia (mitologia) § Etimologia.
Il toponimo Ortigia trae origine dalla lingua greca antica, Ὀρτυγία, e significa quaglia (ὄρτυξ, ortyx). Nell'antichità vi erano diverse località del bacino del Mediterraneo che si chiamavano Ortigia.

Dato all'isola di Siracusa dai primi coloni greci, questo termine recava con sé un significato religioso: esso appare difatti legato alla divinità olimpica Artemide (corrispondente alla dea romana Diana), dea della Luna e gemella del dio del Sole Apollo, poiché, secondo l'Inno ad Apollo (14-16), in Ortigia la titanide Leto partorì la dea. Ortigia divenne allora il suo luogo sacro.

Omero, che rappresenta la più antica fonte che parla del legame tra Ortigia e Artemide, nel poema epico l'Odissea, colloca in un'imprecisata Ortigia l'aureo trono della dea della Luna.[5]


Diana (Artemide), dea della Luna; da lei l'isola di Ortigia ha tratto il proprio nome
Alcuni autori classici specificano che l'isola siracusana fu così chiamata proprio in onore di Artemide: Diodoro Siculo afferma che furono gli uomini e gli oracoli a darle il nome di Ortigia dopo che seppero della sua consacrazione alla divinità lunare;[6] mentre Ovidio, nel trattare il mito di Alfeo e Aretusa, fa dire alla ninfa nereide che l'isola di Siracusa si era chiamata Ortigia per via della sua dea, Artemide.[7]

Pindaro definisce l'Ortigia siciliana «culla di Artemide» e sede dell'Alfeioa o Alpheiaia,[8] ovvero l'Artemide Potamia, fluviale, connessa al fiume Alfeo: il poeta tebano si sofferma sulla relazione che correva tra l'Alfeo e l'Ortigia siciliana; egli nella Nemea I chiama l'isola «sacro respiro di Alfeo» (Ἄμπνευμα σεμνὸν Ἀλφεοῦ), che secondo l'antico mito giungeva in maniera carsica dal Peloponneso all'isola di Ortigia.

Per Pindaro, inoltre, Ortigia è sorella di Delo (Nemea I), l'isola sacra delle Cicladi, dove la tradizione greca finì per collocare sia la nascita di Apollo che quella di Artemide: in origine, narra il mito, anche Delo si chiamava Ortigia.

Storia
Epoca antica
L'epoca greca
La colonizzazione greca di Siracusa, avvenuta nell'VIII secolo a.C., è partita da Ortigia: è Tucidide che informa come l'isola fosse a quel tempo già abitata dal popolo dei Siculi e che questi infine dovettero cederne il controllo alla spedizione corinzia comandata dall'eraclide e bacchiade Archia.[9]

Il mito fondativo, reso noto da Pausania, parla di un responso di Apollo, il quale rivelò all'ecista Archia, recatosi presso l'oracolo di Delfi, l'esatto luogo dove doveva avvenire la sua ktisis, ovvero la fondazione di una polis:


Apollo con la Nike sovrastano l'onfalo, la pietra oracolare di Delfi (museo del Louvre)
(GRC)
«Ὀρτυγίη τις κεῖται ἐν ἠεροειδέι πόντῳ,
Θρινακίης καθύπερθεν,
ἵν᾽ Ἀλφειοῦ στόμα βλύζει.
μισγόμενον πηγαῖσιν ἐυρρείτης Ἀρεθούσης.»

(IT)
«Un'isola Ortigia, giace sull'oceano nebbioso
Di contro a Trinacria, dove la bocca di Alfeo
Gorgoglia mescolandosi con le fonti della vasta Aretusa.»

(Pausania, Periegesi della Grecia, V, 7.[10])

Con l'arrivo dei Dori Ortigia viene unita tramite un terrapieno litico all'Acradina, sorta all'interno dell'antico insediamento siculo di Syraka (secondo lo scolio a Callimaco: Συρακώ e Συρακούς[11]).

Del terrapieno litico, divenuto in seguito un vero e proprio ponte, ne danno notizia uno scoliasta di Pindaro sulla prima Nemea[12] e un canto - del quale parla anche Strabone[13] - del poeta lirico di VI secolo a.C. Ibico di Reggio.[14]

L'isola diviene presto il centro religioso e politico dei nuovi coloni: nella sesta Olimpica Pindaro narra che alla fondazione della polis avevano partecipato anche dei sacerdoti giunti da Olimpia; stirpe di indovini che si diceva discendente di Iamo (il figlio di Apollo nato sulle sponde dell'Alfeo o sul monte Cillene, culla del dio Hermes); alcuni autori odierni sostengono che furono gli Iamidi di Olimpia, che presero dimora in Ortigia, a introdurvi il culto di Alfeo e Aretusa.[15] Secondo il filologo classico Luigi Lehnus, invece, Pindaro avrebbe potuto voler fare riferimento a una collaborazione tra gli Iamidi e Gelone, nel momento in cui la casata rodio-cretese dei Dinomenidi, giunta da Gela, instaura a Siracusa il suo duraturo governo.[16]


Ortigia, colonne superstiti del tempio di Apollo (VI secolo a.C.)

La fonte Aretusa, che sgorga nell'isola di Ortigia
I coloni greci edificano in Ortigia alcuni dei loro templi più importanti, ma l'identificazione della divinità alla quale essi scelgono di consacrarli è rimasta per gli studiosi per diverso tempo incerta. Il tempio greco più arcaico sorge sulla parte più alta dell'isola, nell'attuale piazza del Duomo, individuato all'inizio del XX secolo dall'archeologo Paolo Orsi; costui, sceso nelle fondamenta del palazzo del Vermexio, osservando i resti del tempio che vi trovò, lo definì come «decorato secondo il gusto ionico».[17]

La presenza di un tempio ionico (uno dei rari esempi nell'Occidente greco) in una colonia di Dori ha destato curiosità, ponendo diversi interrogativi (si è supposto l'arrivo di maestranze dall'Asia Minore[N 1]). Odiernamente lo si considera un Artemísion e lo si data al VI secolo a.C.[17] In passato anche il tempio sorto nei pressi dell'entrata di terra dell'isola, stavolta eretto in stile dorico, è stato attribuito alla dea della Luna, ma il ritrovamento successivo di un'epigrafe arcaica, scolpita nei suoi gradini, ha fatto propendere per un'attribuzione al suo gemello, il dio Apollo (la parte leggibile della scritta parla di Kleomenes, che ha lavorato per Apollo).[22] L'Apollonion è datato anch'esso al VI secolo a.C. ed è il più antico tempio periptero innalzato dai Dori in Sicilia: una particolarità che ne denota l'arcaicità sono le sue colonne monolitiche.[23]

Infine si sa molto poco dell'altro tempio arcaico dorico, che sorgeva di fianco a quello ionico e che nel V secolo a.C. è stato sostituito dal tempio di Atena:[24] Gelone avrebbe fatto erigere quest'ultimo tempio nel 480 a.C. per celebrare la vittoria della battaglia di Himera: ciò segna anche il principio del plurisecolare conflitto - guerre greco-puniche - tra Cartagine (capitale fenicia che da tempo controllava la parte occidentale della Sicilia) e Syrakousai (la cui egemonia cominciava a crescere nella parte orientale dell'isola).

I due approdi danno a Ortigia un ruolo molto importante nella difesa della polis, difatti è nei pressi del suo porto Grande che nel 413 a.C., durante la spedizione ateniese in Sicilia (nel contesto della guerra del Peloponneso), avviene la battaglia navale tra i soldati di Atene e quelli di Siracusa: una prima battaglia vinta dagli Ateniesi e una seconda battaglia, decisiva, vinta dai Siracusani.

Ed è sempre dal porto Grande di Ortigia che il 15 agosto del 310 a.C. (la data esatta la si apprende da un'eclissi solare descritta dalle cronache) Agatocle, futuro basileus di Sicilia, forza il blocco imposto dalle navi di Cartagine - la quale assedia Siracusa dal 311 a.C. al 309 a.C. - e come diversivo strategico conduce una spedizione siracusana in Africa, che diventa la prima ad aver attaccato sul suolo natio i domini cartaginesi, facendo vacillare la potenza imperiale della capitale fenicia.


Aretusa, simbolo di Ortigia, su una moneta siracusana coniata da Dionisio I: egli fece spostare la zecca della polis nella rocca ortigiana (Euainetos, IV secolo a.C.)
Ortigia diventa la dimora dei tiranni di Siracusa, incominciando da Dionisio I, che ne fa evacuare la popolazione, permettendo di dimorarvi solo alla sua corte e alla sua guardia del corpo, composta da numerosi mercenari dell'esercito siracusano.[25][26] Particolarmente imponente doveva essere la rocca dello stratēgos autokratōr che diede l'avvio all'età dionigiana. La costruzione (chiamata in diversi modi: Diodoro e Plutarco la definiscono tyranneia di Ortigia[27][26], ma è nota anche come cittadella e acropoli[28]) sorgeva su di un luogo alto e ben protetto da mura e da torri, piena di giardini; in una di queste aree verdi, nel 361 a.C. vi era l'abitazione del filosofo ateniese Platone,[29] il quale, nei suoi viaggi in Sicilia, frequentava assiduamente la corte dionisiana, avendo per discepolo il regnante Dionisio II.

Nella rocca, al cui interno era stata trasferita anche la zecca di Siracusa, c'era un portico adorno di statue; tra queste - in tal caso a narrare è Diogene Laerzio, che riporta un frammento di Timeo di Tauromenio - si trovava quella di Hermes (Mercurio per i Romani): sul capo che rappresentava il dio del logos, il discepolo di Platone Senocrate (futuro scolarca dell'Accademia di Atene), pose una corona d'oro che gli era stata donata da Dionisio II, avendola vinta in un gioco di corte.[30]

L'intera rocca, assaltata da Dione - zio di Dionisio II e anch'egli discepolo di Platone - nel corso della guerra civile di Siracusa del 357 a.C., viene infine rasa al suolo durante il governo del corinzio Timoleonte. Sulle ceneri della reggia dionisiana, il dinomenide Gerone II costruisce il suo palazzo.

L'epoca romana
Nel 215 a.C., nel corso delle guerre puniche, Siracusa si allea con Cartagine per cercare di contrastare la potenza della Roma repubblicana, che con i suoi eserciti era ormai giunta a controllare buona parte della Sicilia.

La mossa degli ultimi discendenti dei Dinomenidi rompe la pluridecennale pace che era stata mantenuta tra Siracusa e Roma per volere del basileus Gerone II (dopo che questi aveva avuto un iniziale scontro con i Romani, poi fatto cessare quando la polis si era vista assediata anche dalle città sicule, divenute alleate dell'urbe).


Archimede concentrato sui suoi studi, mentre il soldato romano gli impone di seguirlo (dipinto di Domenico Udine Nani, tratto dalla nota leggenda sulla morte di Archimede di Siracusa)
Roma, che dapprima rispetta i confini di quello che era stato il Regno di Gerone II, quando sa di questa alleanza manda il console Marco Claudio Marcello a conquistare la pentapoli. L'assedio per i Romani si rivela molto complesso, per via dell'operato di Archimede: lo scienziato siracusano - che in tempo di pace aveva vissuto alla corte di Gerone II, mettendo al servizio di costui la propria genialità - decide in tempo di guerra di condurre la difesa aretusea, dirigendo dalle mura di Ortigia incredibili macchine: tra tutte si ricordano specialmente gli specchi ustori, con i quali fa bruciare le navi romane che assediano il porto.

Rifornita di cibo dalla flotta di Cartagine e con le macchine di Archimede che non permettono ai Romani di avvicinarsi alle mura, Ortigia resiste a oltranza. Tuttavia, un comandante iberico di nome Merico, custode della porta della fonte Aretusa, alleatosi segretamente con il console Marcello, spalanca quell'ingresso alle legioni romane. È l'effetto sorpresa a determinare la caduta dell'isola nel 212 a.C.

Terminata la conquista (l'ultima parte della pentapoli ad arrendersi è l'Acradina, che si consegna a Marcello dopo aver saputo della caduta di Ortigia), il console porta le ricchezze di Siracusa a Roma (Tito Livio dirà che queste erano così tante che avrebbero trovato eguali solo se si fosse conquistata all'epoca Cartagine[31]).

Con i Romani l'isola viene nuovamente evacuata: solo il pretore romano può risiedervi.[32]


Ortigia: sui muri dell'antica cella del tempio di Atena, divenuto cattedrale cristiana, viene incisa la scritta che attesta le origini petrine della chiesa siracusana[N 2]
L'Ortigia al tempo dell'Impero romano viene descritta da fonti tardive (risalenti all'epoca successiva alla caduta dell'Impero). Sull'isola si insedia una comunità ebraica: secondo l'agiografia di Marciano di Siracusa, essa è già presente nel I secolo, quando giunge il protovescovo da Antiochia di Siria, mandato dall'apostolo Pietro. Ciononostante, la collocazione di Marciano (o Marziano)[N 3] in tempi apostolici è di per sé argomento dibattuto (sulla presenza apostolica a Siracusa parla un passo della Bibbia, Nuovo Testamento, dove si afferma che nell'anno 61 l'apostolo Paolo si ferma per tre giorni in città[36]).

La comunità giudaica di Ortigia, probabilmente, si sviluppa dopo il III-IV secolo, poiché fino ad allora essa è archeologicamente attestata all'Acradina[N 4] (quartiere che in quel periodo vede inoltre il martirio di Lucia da Siracusa, nel contesto delle persecuzioni dei cristiani nell'Impero romano).

L'epoca bizantina e araba
In epoca bizantina Ortigia diventa la sede della chiesa siracusana: artefice del mutamento ecclesiastico è il vescovo Zosimo (che fu custode della tomba di santa Lucia), il quale, nel VII secolo, ne fa spostare la cattedrale dall'Acradina, sita nella chiesa di San Giovanni alle catacombe (dove la tradizione cristiana aretusea pone il martirio e la tomba del protovescovo Marciano), all'isola di Ortigia, nel tempio pagano dell'Athenaion, che con l'affermarsi della nuova fede i bizantini di Siracusa trasformano in basilica paleocristiana.[39] Zosimo dedica la nuova cattedrale alla Madre di Dio.[40]


La parte orientale di piazza del Duomo di Ortigia vista dall'alto
Durante le guerre arabo-bizantine l'imperatore Costante II sposta la capitale dell'Impero romano d'Oriente da Costantinopoli a Siracusa, e sebbene sia lecito supporre che la ex-pentapoli attirasse le mire imperialistiche dei Greci del Bosforo, il reale motivo di questo cambio di potere rimane incompreso e dura poco (dal 663 al 668), difatti, una congiura elimina Costante II, mentre il figlio di costui, Costantino IV, nel 669 irrompe a Siracusa con le truppe imperiali e ristabilisce la capitale nella futura Istanbul.[41]

Sempre nel 669 Siracusa subisce una prima occupazione araba; giunge da Alessandria d'Egitto, ma è comandata dal siriaco califfato omayyade (i primi prigionieri siciliani sono condotti a Damasco già nel 665).[42] Seguono altre incursioni,[43] fino ad arrivare al decisivo assedio dell'878, stavolta condotto dall'emirato degli Aghlabidi, insediatosi in Tunisia (dove un tempo sorgeva l'impero di Cartagine). È il governatore della Palermo islamica, Giafar ibn Muhammad, a espugnare Siracusa, il mercoledì 21 maggio, dopo 9 mesi di duro assedio, durante i quali il porto di Ortigia rimane bloccato, di conseguenza la popolazione patisce la fame, impossibilitata a procurarsi il cibo sia per terra che per mare (gli assedianti, dice l'arabista Michele Amari, erano stanchi d'essere trattenuti da una legione di spettri[44]). Infine una breccia nelle mura si rivela fatale (nessun aiuto giunse da Costantinopoli[N 5]).

In maniera analoga a quanto accaduto con l'espugnazione romana di Siracusa, anche le cronache arabe si meravigliano per le ricchezze trovate all'interno della città; il cronista mesopotamico Ali Ibn al-Athir afferma: «non essersi mai fatta sì ricca preda in altra metropoli di Cristianità».[47]

Epoca medievale
Dall'epoca normanna all'epoca aragonese
La presa araba, a differenza di quella romana, ha come conseguenze l'eccidio della popolazione, la deportazione in schiavitù dei superstiti e l'incendio dato a quella che fino all'878 era stata la capitale della Sicilia. Questo è l'evento che per Ortigia segna una svolta epocale: il nucleo abitativo di Siracusa si concentra adesso solo sull'isola.[48][N 6]



Tra i vicoli di Ortigia: in foto, sotto, il portone del palazzo medievale della Camera delle regine di Sicilia
Nel 1040 approda il generale bizantino Giorgio Maniace, accompagnato da soldati Vichinghi, la cui fazione normanna finisce con il prendere il sopravvento sui Bizantini e sfida in solitaria gli Arabi di Sicilia: è nel porto Grande ortigiano che nel maggio del 1086 avviene lo scontro navale notturno tra l'ultimo emiro siciliano, Benavert, e il normanno Ruggero I di Sicilia.[52] La vittoria normanna segna anche per Siracusa la fine della dominazione islamica, della quale Ortigia non conserva le vestigia. Le moschee vengono riconvertite in chiese cristiane: l'ultima moschea a essere abolita è l'Apollonion (così come la cattedrale, anche l'antico tempio di Apollo era divenuto sede del culto islamico).[53]

Nonostante Costantinopoli abbia sempre continuato a considerare esistente la chiesa siracusana,[54] la data ufficiale del suo ripristino è il 1093.[55]

Nel luglio 1127, mentre Ruggero II mira a conquistare il Nord Africa,[N 7] in Ortigia si verifica l'ultimo assalto arabo: la popolazione riesce solo in parte a rifugiarsi sui monti Iblei, il resto di essa viene trucidato, la città è nuovamente predata e data alle fiamme.[56] Ciò sancisce, secondo diversi storici, la decisione dei Normanni di stringere alleanza con i papi e entrare a far parte delle Crociate[57] (altra conseguenza diretta è l'invasione normanna di Malta, anch'essa risalente al luglio 1127[58]).

L'isola di Ortigia, che durante il Regno di Sicilia normanno è descritta dal geografo arabo Idrisi con termini entusiastici (è definita come una ricca fortezza mercantile[N 8]), viene contesa al principio dell'epoca sveva dalle repubbliche marinare di Genova e di Pisa: i genovesi nel 1205 vincono i toscani e staccano Ortigia dalla corona siciliana, governandola come un loro feudo per più di un decennio.[60] Il predominio ligure si verifica durante l'infanzia del re siciliano Federico II di Hohenstaufen, fino al 1221, quando il sovrano svevo viene a reclamare la città, appena eletto imperatore del Sacro romano impero, e la reintegra nella corona di Sicilia.[61]


Il castello Maniace d'Ortigia, edificato nel XIII secolo da Federico II di Svevia (in seguito divenne anche sede della Camera reginale)
Nel 1232 Federico edifica il castello Maniace, sull'estrema punta dell'isola di Ortigia, e lo intitola allo strategos che aveva guidato la prima spedizione greca e che aveva condotto i Normanni sull'isola.

Seguono interi decenni di guerre siciliane, note come le guerre del Vespro, sorte quando la casa imperiale germanica degli Hohenstaufen viene osteggiata dal papato, il quale agli eredi del Sacro romano impero preferisce sul trono di Sicilia il principe francese Carlo I d'Angiò, ma costui non è accettato dai siciliani. La lotta di successione si protrae fino alla metà del XIV secolo, quando il neo Regno di Trinacria entra a far parte dell'iberica corona d'Aragona.

Fin dal 1302 l'isola di Ortigia (formalmente Siracusa) diventa sede della Camera reginale, istituita dal re barcellonese Federico III come dono di nozze per la regina consorte Eleonora d'Angiò (la Camera è una vera e propria dote[62] ed è un retaggio catalano, sostiene lo storico di diritto Giuseppe Salvioli[63]). Divenuta feudo delle regine siciliane e capoluogo di diverse altre città, appartenenti alla Camera, Siracusa si avvale di una larga autonomia e poiché la sua posizione giuridico-politica diventa sfuggente, gli storici odierni la definiscono come «uno stato dentro un altro stato».[64]

Epoca moderna
L'Impero spagnolo

Mappa dell'isola di Ortigia: come appariva dopo il complesso sistema fortificato voluto dagli Asburgo di Spagna
Nel 1506 Germana de Foix, sposa di Ferdinando II d'Aragona, eredita la Camera reginale, diventandone la decima e ultima regina: alla morte del re aragonese, nel 1516, subentra sul trono di Sicilia (su cui siede ormai da tempo un viceré) il primo re di Spagna e imperatore del Sacro romano impero Carlo V d'Asburgo. Nonostante i tumulti siciliani dovuti al nuovo cambio di potere, Germana rimane la regina dei siracusani. Tuttavia, stanche di essere parte di questo particolare sistema feudale, le città reginali ne chiedono l'abolizione.

L'imperatore germanico vede nell'isola di Ortigia un importante baluardo per i confini orientali dell'Impero spagnolo (la considera la chiave levantina del Regno di Sicilia[65]), ne dispone quindi una monumentale opera di fortificazione.

Carlo V, inoltre, demolisce il collegamento artificiale che fin dai tempi greci univa Ortigia alla Sicilia e ne fa scavare l'ingresso, rendendolo molto articolato.[66][67] Il risultato è notevole e l'isola di Ortigia, nel tempo, si guadagna la fama di impenetrabile fortezza; ciò, però, a discapito della libertà (il porto Piccolo viene fatto guastare, per non offrire ripari al nemico,[68] e il porto Grande diventa così privo di commercio che alcune fonti, erroneamente, sostengono che l'imperatore abbia fatto distruggere pure quello[69][70]).

Il ripristino delle fortificazioni aretusee è dovuto agli attacchi della Sublime porta di Istanbul, nel contesto delle guerre ottomano-asburgiche, che coinvolgono il Mediterraneo[71] (più volte le mura di Ortigia arriveranno a essere minacciate dai corsari del sultano Solimano il Magnifico[N 9] ). Quando l'Impero ottomano fa cadere l'isola di Rodi, i cavalieri giovanniti, nel 1529, trovano rifugio all'interno dell'isola di Ortigia (da qui, nel 1530, diventano signori dell'arcipelago maltese, il quale viene definitivamente staccato dal Regno di Sicilia).[77]


Ortigia dal suo lato di ponente (la marina e il porto)
Durante l'epoca spagnola Ortigia è colpita da diverse calamità naturali: tra gli eventi più distruttivi vi è il terremoto del 1542 (una magnitudo 7.0 che dirocca gli edifici ortigiani e forma delle «tempeste di mare» che costringono gli abitanti a cercare rifugio sulle barche[78]).

Nel 1563 dentro Ortigia si fabbrica il quartiere militare spagnolo, il quale comprende il tempio di Apollo, che viene trasformato dai soldati iberici nella loro unica e centrale dimora (è in tale occasione che l'arcaico edificio, un tempo consacrato al culto solare, subisce i maggiori danni).[79] I rapporti tra la milicia española e gli ortigiani sono spesso burrascosi.[N 10]

Nel 1608, mentre fugge dai cavalieri di Malta, approda nella fortezza il pittore milanese Caravaggio; durante la sua permanenza dipinge per il senato siracusano la tela intitolata Seppellimento di santa Lucia.

Nel 1646 il popolo di Ortigia, afflitto da grave carestia, prega santa Lucia nella cattedrale affinché la penuria di cibo finisca; il volo di una colomba all'interno della chiesa, il 13 maggio, precede l'ingresso nel porto di navi cariche di grano (l'evento è alla base della festa ortigiana odierna nota come «santa Lucia delle quaglie»).[82]

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