M. Vona cippo n. 63- ll Piglioro cippo n. 67 e 68
near Vallecorsa, Lazio (Italia)
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Itinerary description
Il territorio della Provincia di Frosinone e della Provincia di Latina, prima che avvenisse l’Unità d’Italia, era attraversato da una significativa porzione del confine più antico e longevo d’Europa, il confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli o, anche, delle Due Sicilie.
Il suo sviluppo totale in linea d’aria era pari a 186 miglia napoletane, pari a circa 300 chilometri, ma sul terreno ne sviluppava circa il triplo.
Esso attraversava in senso orizzontale tutta l’Italia centrale con direzione est-nord-est, partendo dal Mar Tirreno alla foce del fiume Canneto, tra Fondi (Regno di Napoli) e Terracina (Stato Pontificio), saliva sui Monti Ausoni, scendeva quindi verso la valle del fiume Liri attraverso i territori dei comuni di Lenola, Pastena, S.Giovanni Incarico, Falvaterra, Vallecorsa, Castro dei Volsci. Giù in valle tra Arce e Ceprano seguiva il corso del fiume Liri fino a Castelliri e Monte S.Giovanni Campano da dove, prendendo per sud-ovest, saliva sui Monti Ernici tra Sora, Balsorano, Roccavivi, Rendinara, Morino, Veroli, Alatri, i Monti Cantari e Simbruini dove era situato il punto più alto con il Viglio (2158m), Civitella Valle Roveto, Canistro, Pescocanale, Capistrello, Castellafiume, Cappadocia, Guarcino, Filettino e Vallepietra. Scendeva poi in direzione nord verso il Turano e il Salto tra Rocca di Botte, Oricola, Poggio Ginolfo, Carsoli, Girgenti, Camerata, Cervara, Arsoli, Collalto Sabino, Nespolo, Ricetto, Marcetelli. Proseguiva sempre a nord attraversando il reatino tra Cittaducale, Cantalice, Leonessa e Poggio Bustone. Da qui prendeva una direzione est-nord-est fino alla Macera della Morte (2008m), a nord dei Monti della Laga, tra i territori di Città Reale, Accumoli, Monteleone, Città di Cascia, Nottole, Pescia, Arquata. Da qui scendeva verso l’Adriatico attraverso la Valle del Castellano e Vibrata seguendo il corso dei fiumi omonimi tra i territori di Valle Castellana, Civitella del Tronto, S.Egidio alla Vibrata, Montecalvo, Ascoli, Folignano, Maltignano fino a giungere al ponte di barche di Porto d’Ascoli.
Prima di arrivare al trattato sottoscritto a Roma il 26 Settembre 1840 e ratificato dopo diversi anni il 5 Aprile 1852, dove si delineava in maniera definitiva la frontiera tra i due Stati, numerosi furono i tentativi di fissarne in modo univoco i confini.
Il problema più grande da risolvere era quello di creare “gruppi di lavoro” super partes, ovvero che non avvantaggiassero ne gli uni ne gli altri nella formalizzazione dei limiti di Stato.
La necessità comunque di arrivare a una soluzione era dettata da vari motivi, non ultimo quello dei reati che quotidianamente si consumavano contro le persone, gli animali, e le proprietà in luoghi dove l’incertezza regnava sovrana.
Da ricerche di archivio, si ha notizia che nel solo biennio 1652-53 lungo la frontiera erano avvenuti 180 omicidi, 317 ricatti, 113 scaramucce e 30 incendi.
I CIPPI DI CONFINE
Elemento caratterizzante della formalizzazione del confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, sono i cippi, o colonnette, eretti dove non era possibile fare affidamento a elementi geografici certi come un fiume, una strada ecc. che potessero fare da indiscutibile spartiacque.
Il materiale da impiegare poteva essere di tre tipi: pietra calcarea, travertino o tufo.
Veniva preferito il tipo di pietra che si trovava il più vicino possibile al luogo di messa in opera della colonnetta, per evitare che il costo dell’opera lievitasse a causa soprattutto del trasporto.
La colonnetta era formata da un fusto o cilindro, da uno zoccolo o cornice di base e da un radicone o basamento.
Bisognava avere l’accortezza che le tre parti formassero un unico corpo ricavato da un unico masso di pietra.
Il masso generalmente veniva prelevato da un blocco di pietra che si trovava in prossimità del luogo di posa; altre volte, invece, si era costretti ad estrarlo da una cava quando mancava nei pressi la materia prima.
Le dimensioni del fusto erano:
colonnette grandi
altezza: palmi 6 e once 4 = cm 142
diametro: palmi 1 e once 9 = cm 45
colonnette piccole
altezza: palmi 4 e once 2 = cm 100
diametro: palmi 1 e once 6 = cm 40
Il radicone era la parte che andava sotterrata e ancorata al terreno, a forma di parallelepipedo irregolare solamente sgrossato.
Il sistema di misurazione lineare indicato, si riferisce all’identico sistema di misura adottato nel Regno di Napoli e nello Stato Pontificio, dove l’unità di misura era la canna, con sottomultipli il palmo e l’oncia:
una canna = 10 palmi = m 2,2342
un palmo = 12 once = m 0,2234 = cm 22,34
un’oncia = m 0,0186 = cm 1,86
Per quanto concerne il peso delle colonnette, esso risulta essere di circa 5-6 quintali per le piccole e 9-10 quintali per le grandi.
La costruzione della colonnetta iniziava con la sgrossatura del masso per la parte inferiore, il radicone, e la formazione del fusto con cornice per la parte superiore.
Una volta assunta la forma cilindrica il fusto veniva “bocciardato” , cioè veniva dato alla superficie il caratteristico aspetto a buccia di arancia; l’operazione veniva effettuata a mezzo della bocciarda, un arnese di ferro a forma di martello con la parte battente munita di cuspidi.
Venivano quindi incisi gli stemmi, il numero d’ordine e l’anno di posa, utilizzando uno stampo già predisposto; gli stemmi che venivano apposti erano il giglio borbonico per la parte che guardava verso il Regno di Napoli e le chiavi a croce di sant’Andrea, di S. Pietro per la parte che guardava verso lo Stato Pontificio.
C’è da rilevare che mentre lo stemma borbonico è pressoché sempre uguale, le chiavi decussate di S. Pietro sono alcune volte più stilizzate, altre più naturali.
Veniva infine scolpita sulla parte superiore del cilindro una linea indicante la direzione della colonnetta precedente e di quella successiva.
La linea spezzata formava un angolo con vertice al centro della sommità della colonna, la linea diventava retta quando la colonnetta si trovava con la precedente e la successiva sulla stessa direzione.
Per ricavare un cippo finito, lo scalpellino impiegava mediamente dai due ai tre giorni; per scolpire gli stemmi occorrevano due ore circa per quello pontificio e tre ore per il borbonico; il numero progressivo e l’anno di posa richiedevano invece mezz’ora.
Il suo sviluppo totale in linea d’aria era pari a 186 miglia napoletane, pari a circa 300 chilometri, ma sul terreno ne sviluppava circa il triplo.
Esso attraversava in senso orizzontale tutta l’Italia centrale con direzione est-nord-est, partendo dal Mar Tirreno alla foce del fiume Canneto, tra Fondi (Regno di Napoli) e Terracina (Stato Pontificio), saliva sui Monti Ausoni, scendeva quindi verso la valle del fiume Liri attraverso i territori dei comuni di Lenola, Pastena, S.Giovanni Incarico, Falvaterra, Vallecorsa, Castro dei Volsci. Giù in valle tra Arce e Ceprano seguiva il corso del fiume Liri fino a Castelliri e Monte S.Giovanni Campano da dove, prendendo per sud-ovest, saliva sui Monti Ernici tra Sora, Balsorano, Roccavivi, Rendinara, Morino, Veroli, Alatri, i Monti Cantari e Simbruini dove era situato il punto più alto con il Viglio (2158m), Civitella Valle Roveto, Canistro, Pescocanale, Capistrello, Castellafiume, Cappadocia, Guarcino, Filettino e Vallepietra. Scendeva poi in direzione nord verso il Turano e il Salto tra Rocca di Botte, Oricola, Poggio Ginolfo, Carsoli, Girgenti, Camerata, Cervara, Arsoli, Collalto Sabino, Nespolo, Ricetto, Marcetelli. Proseguiva sempre a nord attraversando il reatino tra Cittaducale, Cantalice, Leonessa e Poggio Bustone. Da qui prendeva una direzione est-nord-est fino alla Macera della Morte (2008m), a nord dei Monti della Laga, tra i territori di Città Reale, Accumoli, Monteleone, Città di Cascia, Nottole, Pescia, Arquata. Da qui scendeva verso l’Adriatico attraverso la Valle del Castellano e Vibrata seguendo il corso dei fiumi omonimi tra i territori di Valle Castellana, Civitella del Tronto, S.Egidio alla Vibrata, Montecalvo, Ascoli, Folignano, Maltignano fino a giungere al ponte di barche di Porto d’Ascoli.
Prima di arrivare al trattato sottoscritto a Roma il 26 Settembre 1840 e ratificato dopo diversi anni il 5 Aprile 1852, dove si delineava in maniera definitiva la frontiera tra i due Stati, numerosi furono i tentativi di fissarne in modo univoco i confini.
Il problema più grande da risolvere era quello di creare “gruppi di lavoro” super partes, ovvero che non avvantaggiassero ne gli uni ne gli altri nella formalizzazione dei limiti di Stato.
La necessità comunque di arrivare a una soluzione era dettata da vari motivi, non ultimo quello dei reati che quotidianamente si consumavano contro le persone, gli animali, e le proprietà in luoghi dove l’incertezza regnava sovrana.
Da ricerche di archivio, si ha notizia che nel solo biennio 1652-53 lungo la frontiera erano avvenuti 180 omicidi, 317 ricatti, 113 scaramucce e 30 incendi.
I CIPPI DI CONFINE
Elemento caratterizzante della formalizzazione del confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, sono i cippi, o colonnette, eretti dove non era possibile fare affidamento a elementi geografici certi come un fiume, una strada ecc. che potessero fare da indiscutibile spartiacque.
Il materiale da impiegare poteva essere di tre tipi: pietra calcarea, travertino o tufo.
Veniva preferito il tipo di pietra che si trovava il più vicino possibile al luogo di messa in opera della colonnetta, per evitare che il costo dell’opera lievitasse a causa soprattutto del trasporto.
La colonnetta era formata da un fusto o cilindro, da uno zoccolo o cornice di base e da un radicone o basamento.
Bisognava avere l’accortezza che le tre parti formassero un unico corpo ricavato da un unico masso di pietra.
Il masso generalmente veniva prelevato da un blocco di pietra che si trovava in prossimità del luogo di posa; altre volte, invece, si era costretti ad estrarlo da una cava quando mancava nei pressi la materia prima.
Le dimensioni del fusto erano:
colonnette grandi
altezza: palmi 6 e once 4 = cm 142
diametro: palmi 1 e once 9 = cm 45
colonnette piccole
altezza: palmi 4 e once 2 = cm 100
diametro: palmi 1 e once 6 = cm 40
Il radicone era la parte che andava sotterrata e ancorata al terreno, a forma di parallelepipedo irregolare solamente sgrossato.
Il sistema di misurazione lineare indicato, si riferisce all’identico sistema di misura adottato nel Regno di Napoli e nello Stato Pontificio, dove l’unità di misura era la canna, con sottomultipli il palmo e l’oncia:
una canna = 10 palmi = m 2,2342
un palmo = 12 once = m 0,2234 = cm 22,34
un’oncia = m 0,0186 = cm 1,86
Per quanto concerne il peso delle colonnette, esso risulta essere di circa 5-6 quintali per le piccole e 9-10 quintali per le grandi.
La costruzione della colonnetta iniziava con la sgrossatura del masso per la parte inferiore, il radicone, e la formazione del fusto con cornice per la parte superiore.
Una volta assunta la forma cilindrica il fusto veniva “bocciardato” , cioè veniva dato alla superficie il caratteristico aspetto a buccia di arancia; l’operazione veniva effettuata a mezzo della bocciarda, un arnese di ferro a forma di martello con la parte battente munita di cuspidi.
Venivano quindi incisi gli stemmi, il numero d’ordine e l’anno di posa, utilizzando uno stampo già predisposto; gli stemmi che venivano apposti erano il giglio borbonico per la parte che guardava verso il Regno di Napoli e le chiavi a croce di sant’Andrea, di S. Pietro per la parte che guardava verso lo Stato Pontificio.
C’è da rilevare che mentre lo stemma borbonico è pressoché sempre uguale, le chiavi decussate di S. Pietro sono alcune volte più stilizzate, altre più naturali.
Veniva infine scolpita sulla parte superiore del cilindro una linea indicante la direzione della colonnetta precedente e di quella successiva.
La linea spezzata formava un angolo con vertice al centro della sommità della colonna, la linea diventava retta quando la colonnetta si trovava con la precedente e la successiva sulla stessa direzione.
Per ricavare un cippo finito, lo scalpellino impiegava mediamente dai due ai tre giorni; per scolpire gli stemmi occorrevano due ore circa per quello pontificio e tre ore per il borbonico; il numero progressivo e l’anno di posa richiedevano invece mezz’ora.
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