Dolomiti d’Ampezzo: Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo da Cimabanche
near Cimabanche, Veneto (Italia)
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Itinerary description
Escursione sulla montagna “più colorata” delle Dolomiti con l’obiettivo di percorrere una difficile cengia che scorre sotto la parete che riassume tutti i colori del gruppo montuoso.
Scelta dell’itinerario
Siccome non conoscevo nessuno che era già stato su questa cengia, ho chiesto informazioni … ai tre libri-guida in mio possesso che la descrivono:
Il libro di Paolo Beltrame è praticamente il “censimento” di tutti gli itinerari escursionistici del gruppo (potrebbe fare da base per un vero “catasto”) divisi in segmenti da punto a punto, e dunque sono indicate tutte le vie possibili di accesso e uscita dalla cengia.
A fine libro, tuttavia, Beltrame propone una serie di itinerari completi da lui consigliati, e quello per la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo è esattamente quello che ho seguito ed è completamente diverso dagli altri due.
Ho seguito quello di Beltrame perché:
Conoscendo Beltrame dai suoi libri, mi aspettavo una giornata dai “colori forti” e dai “sentieri forti”, e così è stato.
Ci ho messo un sacco di tempo per godermi tutto e per valutare molto attentamente tutti i passaggi e le svolte, specialmente nella salita a Forcella Punta del Pin: qui un errore di percorso ti rovina la giornata.
Conoscendo il lato sud-est della montagna, a mio giudizio, si possono togliere tranquillamente due ore e mezza: una e mezza di percorrenza pura e fermate di orientamento, e almeno una … per qualche foto in meno (ne ho scattate più di 400!).
Tuttavia non credo esista una pellicola o un sensore che possano rendere tutte le SBALORDITIVE sfumature di colore che gli occhi registrano.
Salita da Cimabanche alla Forcella Punta del Pin per il Vallon di Colfiédo o Colfreddo
In tutta questa parte con il termine “guida” mi riferisco al libro di Paolo Beltrame.
La prima parte di salita è comune con la via normale per la Forcella Colfiedo, vale a dire la discesa proposta da Cammelli e Mason per questa escursione.
Le due vie hanno un facile punto di collegamento dopo il bivio che le divide – pertanto chi vuole evitare la parte più selvaggia della salita diretta a Forcella Punta del Pin, può continuare per Forcella Colfiedo e traversare da poco sotto quota 2280 circa: è leggermente più lunga come percorrenza lineare, ma sicuramente si fatica di meno.
Dal parcheggio a un centinaio di metri dallo Chalet Cimabanche, si segue sulla destra direzione salita il bordo di un canale cementato ex fossato anticarro della guerra.
Alla fine si arriva a lato dell’impluvio del Vallon di Colfiedo dove c’è una stradetta che continua a salire per poco in bassa pendenza con ampie curve.
La stradetta si esaurisce, com’era iniziata, esattamente sul bordo destro direzione salita dell’impluvio, e si iniziano a notare i primi ometti.
Si risale il facile impluvio seguendo gli ometti che un po’ alla volta portano in centro e poi a uscire verso sinistra.
Qui un ometto è piazzato all’inizio di un corridoio tra i mughi che procede vicino al torrente: non è un taglio di mughi, non si seguono rami tagliati ma semplicemente l’impronta a terra del passaggio.
Si arriva dove, sulla sinistra, si apre un ripido valloncello franoso e di fronte la buona traccia scompare: basta cercare 3/4 metri oltre e si ritrova un po’ meno marcata – da qui ogni tanto bisogna spostare con le mani qualche singolo ramo di mugo.
Si prosegue finché la traccia conduce sopra un ruscelletto secondario parallelo al torrente principale e poi, attraversandolo, scende fino all’impluvio principale dove ci sono gli ultimi due ometti (per questa versione di salita) di cui uno oggi aveva un paio di rami infilati in mezzo: è più o meno il punto in cui si dividono le vie per Forcella Colfiedo e Forcella Punta del Pin – se ho ben capito, il bivio vero è poco più sopra di dove sono risceso io nel torrente che in quel punto è ancora ben camminabile.
Ora si prosegue facilmente fin sotto l’inizio di una serie di cascate non superabili e che si aggirano sulla sinistra: è l’inizio della parte più selvaggia.
A pochi metri dalla prima cascatella, da sinistra proviene dal fitto del bosco un ruscello con buona portata d’acqua: bisogna salire sul bordo destro di questo ruscello dove si notano dei ciuffi d’erba affioranti che stabilizzano in parte (anche con qualche piccolo gradino) il pendio franoso.
Bisogna puntare a un torrioncino roccioso ben evidente dal punto di inizio risalita che si raggiunge, con le parole di Beltrame, «zigzagando tra i mughi» – con le mie parole c’è da spostare qualche ramo con le mani.
Poi si prosegue tra mughi che Beltrame definisce meno intricanti fino a un grosso masso con uno spiovente dal lato sinistro che può fare anche da riparo.
Qui, dopo i pochi metri diretti sulla crestina con mughi, ho notato più in basso un possibile corridoio, e sono sceso quasi all’impluvio del ruscello di prima, e da lì ho trovato una serie di larghi “corridoi animaleschi” che mi hanno portato al masso con lo spiovente: forse all’inizio conviene seguire l’impluvio del ruscello e tagliare in diagonale più in alto.
Dopo il masso, in pochi metri si arriva a un cucuzzolo dove iniziano le vere scelte.
C’è un catino ghiaioso sulla sinistra che porta a un RIPIDISSIMO canalino (sempre ghiaioso) che bisogna salire per superare la costa che dà accesso alla ridiscesa nell’impluvio principale.
Con questa “discesa avventurosa di pochi metri” si completa l’aggiramento di tutte le cascate e salti impraticabili: Beltrame scrive «questo è il tratto più difficile dell’intero percorso» (di salita alla Forcella Punta del Pin).
Il catino è impercorribile per la pendenza e la durezza delle ghiaie, e bisogna camminare sopra i bassi mughi del bordo: non difficile stando attenti a non inciampare e finire nel catino.
Però osservando il canalino da salire a fine catino, e valutandolo dello stesso tipo di pessime ghiaie indurite, mi è sembrato troppo ripido e pericoloso anche potendosi aiutare con i mughi laterali.
Tuttavia sopra la testata del canalino, sulla dorsale di sinistra, si notano dei tronchi di larici fulminati a cui arriva una “linea di abbassamento di mughi”: ho sperato che fosse una traccia di animali, sono sceso a sinistra con breve “ravanata” e in effetti c’era, e mi ha portato ai larici fulminati senza alcuna difficoltà.
Da questi sono sceso sopra la testata del canalino camminando per pochi metri sopra mughi molto bassi e “teneri” – e da qui si può scendere per completare l’aggiramento di salti e cascate.
Qui Beltrame indica che la discesa si fa per ghiaie meno ripide (rispetto al VERTICALISSIMO canalino che ho evitato) in diagonale in corrispondenza della confluenza di un altro canale: di diagonali di discesa ce ne sono tante tra le “pieghe e i fossati” del pendio ghiaioso, e sono tutte veramente MOLTO ripide.
Sono salito anche un po’ sopra i larici fino alla fine della traccia di animali, ma più salivo e più l’attacco delle diagonali di discesa era ripido.
Alla fine ho preso la prima diagonale sotto la testata del canalino perché si vedeva in basso un grosso tronco incastrato che poteva permettere un’assicurazione per l’ultimo saltino che non era possibile valutare da sopra.
Sono arrivato al tronco che effettivamente era ben incastrato, ed effettivamente il saltino finale non era fattibile con ragionevole sicurezza: ho tirato fuori la corda da 20 che avevo con me, e ho fatto una veloce calata passandola dietro la schiena.
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Se il tronco non fosse stato utilizzabile per la mini-calata, sarei risalito e avrei tentato una “super ravanata” per passare tutta la fascia di mughi sovrastante.
Poi, però, passando da sotto tutte le pieghe-fossati di discesa, ho notato che le due successive a quella del tronco finiscono nel canale con saltini meno alti.
Forse, se non piace la prima, conviene prendere una di queste due pieghe dall’inizio più verticale e fare la parte alta assicurandosi a un qualche mugo che sta sopra.
Credo che a ogni stagione, dopo il disgelo, si troverà tutto questo fianco franoso in una situazione diversa da quella dell’anno precedente, e pertanto bisogna essere pronti a utilizzare la corda in base a quanto si nota sul momento.
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Ora si risale per lungo tratto il facile impluvio sassoso e secco con qualche basso saltino aggirabile-superabile senza vere difficoltà.
L’impluvio finisce contro un salto verticale alla cui sinistra si apre un largo vallone-fossato ghiaioso che è esattamente quello che finisce alla Forcella Punta del Pin.
Qui ho sbagliato a insistere all’interno del fossato su ghiaie non ripide, per la pigrizia di non salire subito a sinistra per evitare qualche passo disagevole.
Le ghiaie non ripide sono comunque molto faticose, e il camminamento sopra il bordo sinistro del fossato è assai tranquillo seguendo le macchie d’erba “stabilizzatrici del fondo”: BISOGNA SALIRE SUL BORDO IL PRIMA POSSIBILE!
Da qui la vista si apre in modo spettacolare e, salendo, si nota a sinistra dall’altro lato del grande anfiteatro la linea di salita diretta per Forcella Colfiedo.
Si arriva sotto un pendio più inclinato (sia lateralmente che frontalmente) dove l’erba è fitta, e più o meno in questa zona è possibile (in più punti) fare il facile traverso di passaggio tra i due itinerari per le due forcelle.
Si risale il pendio erboso fin dove finisce sotto fascia rocciosa, e poi si riscende a destra verso il fondo del fossato-canale abbandonato più in basso (abbandonato … più in basso di quanto ho fatto io 😊): la Forcella Punta del Pin è ormai vicina e ben in vista.
Qui Beltrame scrive che si sale «sempre faticosamente», e se lo scrive lui …
Non è lunghissima, ma se si valuta bene metro per metro c’è da risparmiare fatica.
Io, dove era possibile, ho sfruttato le roccette di sinistra dove la fascia rocciosa lasciava uno zoccolo poco inclinato.
Poche decine di metri prima della Forcella Punta del Pin, si apre una spaccatura-intaglio (nella fascia rocciosa verticale di sinistra) che conduce direttamente alla forcelletta che sta appena sopra quella principale, e per cui bisogna passare per continuare l’itinerario verso la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo: ho seguito questa spaccatura-intaglio senza raggiungere la forcella principale, tanto non sarebbero mancate di certo le viste verso il Cadin di Croda Rossa che sta dall’altro lato.
Dalla Forcella Punta del Pin all’inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
Da qui e fino alla Forcella Colfiedo avevo in tasca le fotocopie di tutte e tre le guide.
Dalla forcelletta superiore di partenza, si segue una traccia di pochi metri che riporta verso l’esterno rimanendo nel versante di arrivo, e quasi subito si trova un grosso ometto.
All’ometto si svolta a destra e si inizia a traversare poche decine di metri (forse una trentina) per poi guadagnarne una ventina di dislivello fino a raggiungere un altro ometto.
Ora si traversa per più di 100 metri in linea d’aria su scarse tracce a terra: non ricordo quanti ometti ci sono in questo tratto, ma è poca roba.
Si arriva, sempre a distanza dalla cresta, all’aggiramento di una gobba del pendio principale che segna l’inizio di una salita diagonale (qualche tornantino) con miglior evidenza di traccia e di ometti – e si arriva sul filo di cresta con grande vista sul Cadin di Croda Rossa che sta dall’altro lato.
Ancora un po’ di salita diagonale e si arriva al bordo di una prima parete “molto colorata” da cui scendono le calate in doppia della Via Innerkofler.
Si traversa quasi sotto parete per tracce intuitive e si arriva a uno spigolo dove c’è una placchetta rocciosa che inizia a girarci intorno: è l’inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo, e arrivati in un attimo allo spigolo si apre una vista che …
Percorrenza della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
La buona notizia – a parte la RARA BELLEZZA del luogo – è che ci sono ometti ben visibili da lontano in tutti i punti di possibile dubbio.
La cattiva notizia è che se ci si trova con nuvole basse è un gran casino.
Il mio consiglio è di non andare via spediti subito nella prima parte, ma di osservare per bene tutta la media distanza fino alla fine del primo grandissimo anfiteatro, vedere gli ometti (si vedono) e memorizzare dove sono: poi sarà più facile andare avanti guardando dove si mettono mani e piedi senza preoccupazioni di orientamento generale.
In generale c’è esposizione anche nei punti più larghi, il posto per i piedi c’è, ma quasi sempre i “piedi tremano” facendo pressione a terra.
Come sempre, in queste situazioni, se si va piano funziona – c’è qualche breve settore in cui si può camminare spediti, ma poi servono dei “reset mentali istantanei” per non prendere troppo alla leggera i primi metri di quanto viene dopo.
In questo primo anfiteatro le guide segnalano una discesa per cambiare il livello di cengia e risalire piano-piano dopo su altra cornice: Mason indica 60 metri lineari e Cammelli 30 di dislivello.
Sono fortunatamente su una (relativamente al resto) larga diagonale un po’ esposta nel finale ma con un fondo che dà buona presa per le scarpe (sempre andando piano).
Si esce così dall’anfiteatro più colorato e si entra in un altro più piccolo e con percorso obbligato già a prima vista, ma comunque con molti ometti.
Aggirato lo spigolo lontano di questo (con ultima vista possibile su buona parte del precedente), c’è una bancata sempre ghiaiosa che porta al passaggio chiave e per il quale avevo con me la corda come suggerito dalle guide.
La cengia praticamente si interrompe lasciando il posto a circa 12 metri di traversata in ASSOLUTA ESPOSIZIONE su parte verticale con minimi appoggi (all’inizio un po’ discontinui) per i piedi.
Questo tratto è attrezzato con cordino ben teso, in condizioni discutibili secondo le guide, per cui è meglio avere la propria corda (con moschettoni e quant’altro) per assicurarsi ai chiodi presenti.
Onestamente non ho visto poi così male questo cordino … fino all’ultimo segmento dove c’è un punto assai “spelacchiato”.
In ogni caso si può passare senza attaccarsi “anima e corpo” ma appoggiandoci le mani sopra per essere pronti a una tenuta di emergenza: il posto per i piedi (un piede, mezzo piede, un terzo di piede …) c’è e il tutto è paragonabile a un “II° grado orizzontale”.
I primi passi sono quelli con gli appoggi più piccoli, mentre alla fine ho abbandonato la linea del cordino per stare su una listarella di roccia più larga e un po’ più bassa (proprio dove si trova il punto danneggiato, che ho visto solo dopo).
Fatto questo si supera (con più attenzione del primo colpo d’occhio) uno svasamento della bancata per salire poi 5 metri circa di roccette poco oltre il I° grado: qui c’è un’altra corda che da subito si vede che è messa male (non l’ho neanche toccata).
Dopo la corda messa male si aggira subito uno spigolo con evidentissimo ometto e ci si porta, sempre su cornice, in testata di un canaletto dopo aver superato un landro dai “colori esagerati”.
Si scende il centro canale per una decina di metri su gradoni non difficili come salti, ma friabili: qui a ogni passo ho buttato giù qualcosa.
Si esce a destra per cengetta con tratti instabili che si vedeva bene prima di arrivare al punto di discesa nel canale: consiglio di guardarci prima di arrivare al landro dai bei colori, così si capisce meglio cosa fare dopo.
La cengetta muore appena dietro uno spigolo dopo circa una ventina di metri in linea d’aria: poco prima dello spigolo c’è quella che tutte le guide definiscono una “svasatura rocciosa” che interrompe la verticalità della parete a fianco: qui si sale per 7/8 metri sul I° grado, con un po’ di ghiaino all’inizio ma sempre con prese solide – non ho visto un ometto alla base (ci starebbe bene), ma ce n’è uno evidentissimo verso la sinistra dell’uscita.
Tre passi dopo l’ometto di uscita si raggiunge il filo di cresta che divide il Vallon di Colfiedo dalle Grave di Valbones: SPETTACOLO PURO da qui!
Nessuna guida scrive chiaramente dove si deve intendere la fine della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo: io direi qui, perché da ora si sta nei pressi del filo di cresta con tendenza versante sud-ovest Valbones.
Breve discesa verso Forcella Colfiédo o Colfreddo dalla fine della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
Non è finita perché questa discesetta non è banale.
Dal bel pulpito di inizio discesa, bisogna prima raggiungere una forcelletta intermedia.
Qui le guide danno versioni differenti sempre un po’ vaghe.
Cammelli è il più preciso e indica di scendere un breve canalino di I° e II°- friabile, e poi un altro dove si trova pure un libro delle firme della via.
Questi brevi canalini si notano bene guardando un po’ a sinistra in versante Valbones da appena sotto il pulpito, e passano tra due evidenti spuntoni rocciosi e il profilo principale della cresta.
Mason scrive «… si aggirano due spuntoni» senza aggiungere altro.
Beltrame indica genericamente di scendere tra ghiaie e rocce marce di I°.
Dopo aver memorizzato la situazione a sinistra tra i due spuntoni, ho tagliato a destra qualche metro perché non si poteva aggirarli scendendo diritti.
Qui c’è una traccia di camosci comoda che va in parete aperta sopra una diagonale che rientra verso sinistra: il camminamento, tra un piccolo saltino e l’altro, mi è sembrato fattibile seppur molto sporco di ghiaie.
Alla fine ho fatto questo con aggiramento completo degli spuntoni.
Ho visto un “quasi ometto” sul camminamento di camosci e un piccolo “bollino rosso umano” su una pietra un po’ nascosta da un’altra sovrastante: però qui vien giù di tutto da tutte le parti, c’è un’alta parete verticale dietro, e dunque non si sa.
Anche questa versione è delicata, ma andando pianissimo ritengo di non aver corso rischi – per fare equilibrio bisogna evitare di attaccarsi con troppa forza agli appigli (spuntoni di pietra) altrimenti vengono via, bisogna sempre "essere dolci”.
Arrivati alla forcelletta superiore, si aggira facilmente un torrione sempre in versante Valbones e si plana su Forcella Colfiedo.
FINE DELLE DIFFICOLTÀ.
Rientro a Cimabanche da Forcella Colfiédo o Colfreddo per le Grave di Valbónes
Come detto all’inizio, la discesa per Valbones è una mia scelta, non è la più corta.
Mi ha MOLTO POSITIVAMENTE sorpreso il fondo del vallone che scende da Forcella Colfiedo: soffice al punto giusto per una camminata rilassante, e soffice al punto giusto in rapporto alla pendenza assolutamente non proibitiva.
A parte che è tutto intuitivo, ma all’inizio sono stato sulle “terre rosse”, poi più vicino al bordo sinistro del fossato che sta in centro vallone, e alla fine un po’ più a sinistra.
Dal gran pianoro alla base delle Grave di Valbones sono sceso un po’ seguendo gli ometti e un po’ no: avevo fretta di arrivare al primo ruscello con acqua “sufficientemente potabile”.
All’immissione nella stradetta che da Forcella Lerosa scende sulla SS 51 di Alemagna ultime foto con il sole che illuminava ancora la parete sud-ovest della Croda Rossa d’Ampezzo.
Infine circa 1 km di pista ciclabile per rientrare a Cimabanche.
“United Colors of Croda Rossa d’Ampezzo”
Per principio, dalle montagne, non porto mai a casa nulla (fiori, pietre, ecc.).
Qui però la tentazione è forte.
Lungo la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo si trovano delle scaglie di tutte le dimensioni con dei colori che, all’interno delle Dolomiti, ci sono solo qui.
A parte i rossi e gialli super saturi che ci si aspetta perché già colpiscono … dalla Strada Statale 51 di Alemagna, ho trovato incredibile tutta la gamma dei grigio-cenere, dai chiari con evidentissime sfumature azzurro-avio fino a quelli più scuri quasi neri.
Poi si trovano anche scaglie che tendono un po’ al verde o al ciclamino-fuxia e simili.
Io sono arrivato in cengia a metà giornata con le tipiche condizioni di “luce dura”, e immagino che con luce “più calda” la “tavolozza di colori” sia ancora più sorprendente.
Le foto non possono rendere, solo con la “telepatia” si potrebbe far capire quello che si è visto.
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Secondo i dati del GPS, il dislivello reale dell’escursione dovrebbe essere di circa 150 metri in meno di quanto indicato nei dati di riepilogo Wikiloc, ma non è facile stimare un dislivello esatto per un itinerario di questo tipo.
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Scelta dell’itinerario
Siccome non conoscevo nessuno che era già stato su questa cengia, ho chiesto informazioni … ai tre libri-guida in mio possesso che la descrivono:
- Dolomiti Croda Rossa d’Ampezzo – di Paolo Beltrame
- Guida alle vie ferrate e ai percorsi in cengia di Cortina d’Ampezzo e dintorni – di Fabio Cammelli (la foto di copertina di questo libro ritrae proprio il passaggio chiave della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo)
- Il Libro delle Cenge – di Vittorino Mason
Il libro di Paolo Beltrame è praticamente il “censimento” di tutti gli itinerari escursionistici del gruppo (potrebbe fare da base per un vero “catasto”) divisi in segmenti da punto a punto, e dunque sono indicate tutte le vie possibili di accesso e uscita dalla cengia.
A fine libro, tuttavia, Beltrame propone una serie di itinerari completi da lui consigliati, e quello per la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo è esattamente quello che ho seguito ed è completamente diverso dagli altri due.
Ho seguito quello di Beltrame perché:
- È sempre al sole
- Si può AMMIRARE la parete sud-est obiettivo per tutta la durata della salita
- Volevo scendere per il versante Valbones per guardarmi al sole anche la parete sud-ovest, che avevo salito all’ombra del mattino (senza … facoltà di scelta) per andare in vetta alla Croda Rossa d’Ampezzo (vedi → Croda Rossa d'Ampezzo - Hohe Gaisl: Via Normale Sud-Ovest dalle Grave di Valbónes e discesa per la Via Grohmann)
Conoscendo Beltrame dai suoi libri, mi aspettavo una giornata dai “colori forti” e dai “sentieri forti”, e così è stato.
Ci ho messo un sacco di tempo per godermi tutto e per valutare molto attentamente tutti i passaggi e le svolte, specialmente nella salita a Forcella Punta del Pin: qui un errore di percorso ti rovina la giornata.
Conoscendo il lato sud-est della montagna, a mio giudizio, si possono togliere tranquillamente due ore e mezza: una e mezza di percorrenza pura e fermate di orientamento, e almeno una … per qualche foto in meno (ne ho scattate più di 400!).
Tuttavia non credo esista una pellicola o un sensore che possano rendere tutte le SBALORDITIVE sfumature di colore che gli occhi registrano.
Salita da Cimabanche alla Forcella Punta del Pin per il Vallon di Colfiédo o Colfreddo
In tutta questa parte con il termine “guida” mi riferisco al libro di Paolo Beltrame.
La prima parte di salita è comune con la via normale per la Forcella Colfiedo, vale a dire la discesa proposta da Cammelli e Mason per questa escursione.
Le due vie hanno un facile punto di collegamento dopo il bivio che le divide – pertanto chi vuole evitare la parte più selvaggia della salita diretta a Forcella Punta del Pin, può continuare per Forcella Colfiedo e traversare da poco sotto quota 2280 circa: è leggermente più lunga come percorrenza lineare, ma sicuramente si fatica di meno.
Dal parcheggio a un centinaio di metri dallo Chalet Cimabanche, si segue sulla destra direzione salita il bordo di un canale cementato ex fossato anticarro della guerra.
Alla fine si arriva a lato dell’impluvio del Vallon di Colfiedo dove c’è una stradetta che continua a salire per poco in bassa pendenza con ampie curve.
La stradetta si esaurisce, com’era iniziata, esattamente sul bordo destro direzione salita dell’impluvio, e si iniziano a notare i primi ometti.
Si risale il facile impluvio seguendo gli ometti che un po’ alla volta portano in centro e poi a uscire verso sinistra.
Qui un ometto è piazzato all’inizio di un corridoio tra i mughi che procede vicino al torrente: non è un taglio di mughi, non si seguono rami tagliati ma semplicemente l’impronta a terra del passaggio.
Si arriva dove, sulla sinistra, si apre un ripido valloncello franoso e di fronte la buona traccia scompare: basta cercare 3/4 metri oltre e si ritrova un po’ meno marcata – da qui ogni tanto bisogna spostare con le mani qualche singolo ramo di mugo.
Si prosegue finché la traccia conduce sopra un ruscelletto secondario parallelo al torrente principale e poi, attraversandolo, scende fino all’impluvio principale dove ci sono gli ultimi due ometti (per questa versione di salita) di cui uno oggi aveva un paio di rami infilati in mezzo: è più o meno il punto in cui si dividono le vie per Forcella Colfiedo e Forcella Punta del Pin – se ho ben capito, il bivio vero è poco più sopra di dove sono risceso io nel torrente che in quel punto è ancora ben camminabile.
Ora si prosegue facilmente fin sotto l’inizio di una serie di cascate non superabili e che si aggirano sulla sinistra: è l’inizio della parte più selvaggia.
A pochi metri dalla prima cascatella, da sinistra proviene dal fitto del bosco un ruscello con buona portata d’acqua: bisogna salire sul bordo destro di questo ruscello dove si notano dei ciuffi d’erba affioranti che stabilizzano in parte (anche con qualche piccolo gradino) il pendio franoso.
Bisogna puntare a un torrioncino roccioso ben evidente dal punto di inizio risalita che si raggiunge, con le parole di Beltrame, «zigzagando tra i mughi» – con le mie parole c’è da spostare qualche ramo con le mani.
Poi si prosegue tra mughi che Beltrame definisce meno intricanti fino a un grosso masso con uno spiovente dal lato sinistro che può fare anche da riparo.
Qui, dopo i pochi metri diretti sulla crestina con mughi, ho notato più in basso un possibile corridoio, e sono sceso quasi all’impluvio del ruscello di prima, e da lì ho trovato una serie di larghi “corridoi animaleschi” che mi hanno portato al masso con lo spiovente: forse all’inizio conviene seguire l’impluvio del ruscello e tagliare in diagonale più in alto.
Dopo il masso, in pochi metri si arriva a un cucuzzolo dove iniziano le vere scelte.
C’è un catino ghiaioso sulla sinistra che porta a un RIPIDISSIMO canalino (sempre ghiaioso) che bisogna salire per superare la costa che dà accesso alla ridiscesa nell’impluvio principale.
Con questa “discesa avventurosa di pochi metri” si completa l’aggiramento di tutte le cascate e salti impraticabili: Beltrame scrive «questo è il tratto più difficile dell’intero percorso» (di salita alla Forcella Punta del Pin).
Il catino è impercorribile per la pendenza e la durezza delle ghiaie, e bisogna camminare sopra i bassi mughi del bordo: non difficile stando attenti a non inciampare e finire nel catino.
Però osservando il canalino da salire a fine catino, e valutandolo dello stesso tipo di pessime ghiaie indurite, mi è sembrato troppo ripido e pericoloso anche potendosi aiutare con i mughi laterali.
Tuttavia sopra la testata del canalino, sulla dorsale di sinistra, si notano dei tronchi di larici fulminati a cui arriva una “linea di abbassamento di mughi”: ho sperato che fosse una traccia di animali, sono sceso a sinistra con breve “ravanata” e in effetti c’era, e mi ha portato ai larici fulminati senza alcuna difficoltà.
Da questi sono sceso sopra la testata del canalino camminando per pochi metri sopra mughi molto bassi e “teneri” – e da qui si può scendere per completare l’aggiramento di salti e cascate.
Qui Beltrame indica che la discesa si fa per ghiaie meno ripide (rispetto al VERTICALISSIMO canalino che ho evitato) in diagonale in corrispondenza della confluenza di un altro canale: di diagonali di discesa ce ne sono tante tra le “pieghe e i fossati” del pendio ghiaioso, e sono tutte veramente MOLTO ripide.
Sono salito anche un po’ sopra i larici fino alla fine della traccia di animali, ma più salivo e più l’attacco delle diagonali di discesa era ripido.
Alla fine ho preso la prima diagonale sotto la testata del canalino perché si vedeva in basso un grosso tronco incastrato che poteva permettere un’assicurazione per l’ultimo saltino che non era possibile valutare da sopra.
Sono arrivato al tronco che effettivamente era ben incastrato, ed effettivamente il saltino finale non era fattibile con ragionevole sicurezza: ho tirato fuori la corda da 20 che avevo con me, e ho fatto una veloce calata passandola dietro la schiena.
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Se il tronco non fosse stato utilizzabile per la mini-calata, sarei risalito e avrei tentato una “super ravanata” per passare tutta la fascia di mughi sovrastante.
Poi, però, passando da sotto tutte le pieghe-fossati di discesa, ho notato che le due successive a quella del tronco finiscono nel canale con saltini meno alti.
Forse, se non piace la prima, conviene prendere una di queste due pieghe dall’inizio più verticale e fare la parte alta assicurandosi a un qualche mugo che sta sopra.
Credo che a ogni stagione, dopo il disgelo, si troverà tutto questo fianco franoso in una situazione diversa da quella dell’anno precedente, e pertanto bisogna essere pronti a utilizzare la corda in base a quanto si nota sul momento.
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Ora si risale per lungo tratto il facile impluvio sassoso e secco con qualche basso saltino aggirabile-superabile senza vere difficoltà.
L’impluvio finisce contro un salto verticale alla cui sinistra si apre un largo vallone-fossato ghiaioso che è esattamente quello che finisce alla Forcella Punta del Pin.
Qui ho sbagliato a insistere all’interno del fossato su ghiaie non ripide, per la pigrizia di non salire subito a sinistra per evitare qualche passo disagevole.
Le ghiaie non ripide sono comunque molto faticose, e il camminamento sopra il bordo sinistro del fossato è assai tranquillo seguendo le macchie d’erba “stabilizzatrici del fondo”: BISOGNA SALIRE SUL BORDO IL PRIMA POSSIBILE!
Da qui la vista si apre in modo spettacolare e, salendo, si nota a sinistra dall’altro lato del grande anfiteatro la linea di salita diretta per Forcella Colfiedo.
Si arriva sotto un pendio più inclinato (sia lateralmente che frontalmente) dove l’erba è fitta, e più o meno in questa zona è possibile (in più punti) fare il facile traverso di passaggio tra i due itinerari per le due forcelle.
Si risale il pendio erboso fin dove finisce sotto fascia rocciosa, e poi si riscende a destra verso il fondo del fossato-canale abbandonato più in basso (abbandonato … più in basso di quanto ho fatto io 😊): la Forcella Punta del Pin è ormai vicina e ben in vista.
Qui Beltrame scrive che si sale «sempre faticosamente», e se lo scrive lui …
Non è lunghissima, ma se si valuta bene metro per metro c’è da risparmiare fatica.
Io, dove era possibile, ho sfruttato le roccette di sinistra dove la fascia rocciosa lasciava uno zoccolo poco inclinato.
Poche decine di metri prima della Forcella Punta del Pin, si apre una spaccatura-intaglio (nella fascia rocciosa verticale di sinistra) che conduce direttamente alla forcelletta che sta appena sopra quella principale, e per cui bisogna passare per continuare l’itinerario verso la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo: ho seguito questa spaccatura-intaglio senza raggiungere la forcella principale, tanto non sarebbero mancate di certo le viste verso il Cadin di Croda Rossa che sta dall’altro lato.
Dalla Forcella Punta del Pin all’inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
Da qui e fino alla Forcella Colfiedo avevo in tasca le fotocopie di tutte e tre le guide.
Dalla forcelletta superiore di partenza, si segue una traccia di pochi metri che riporta verso l’esterno rimanendo nel versante di arrivo, e quasi subito si trova un grosso ometto.
All’ometto si svolta a destra e si inizia a traversare poche decine di metri (forse una trentina) per poi guadagnarne una ventina di dislivello fino a raggiungere un altro ometto.
Ora si traversa per più di 100 metri in linea d’aria su scarse tracce a terra: non ricordo quanti ometti ci sono in questo tratto, ma è poca roba.
Si arriva, sempre a distanza dalla cresta, all’aggiramento di una gobba del pendio principale che segna l’inizio di una salita diagonale (qualche tornantino) con miglior evidenza di traccia e di ometti – e si arriva sul filo di cresta con grande vista sul Cadin di Croda Rossa che sta dall’altro lato.
Ancora un po’ di salita diagonale e si arriva al bordo di una prima parete “molto colorata” da cui scendono le calate in doppia della Via Innerkofler.
Si traversa quasi sotto parete per tracce intuitive e si arriva a uno spigolo dove c’è una placchetta rocciosa che inizia a girarci intorno: è l’inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo, e arrivati in un attimo allo spigolo si apre una vista che …
Percorrenza della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
La buona notizia – a parte la RARA BELLEZZA del luogo – è che ci sono ometti ben visibili da lontano in tutti i punti di possibile dubbio.
La cattiva notizia è che se ci si trova con nuvole basse è un gran casino.
Il mio consiglio è di non andare via spediti subito nella prima parte, ma di osservare per bene tutta la media distanza fino alla fine del primo grandissimo anfiteatro, vedere gli ometti (si vedono) e memorizzare dove sono: poi sarà più facile andare avanti guardando dove si mettono mani e piedi senza preoccupazioni di orientamento generale.
In generale c’è esposizione anche nei punti più larghi, il posto per i piedi c’è, ma quasi sempre i “piedi tremano” facendo pressione a terra.
Come sempre, in queste situazioni, se si va piano funziona – c’è qualche breve settore in cui si può camminare spediti, ma poi servono dei “reset mentali istantanei” per non prendere troppo alla leggera i primi metri di quanto viene dopo.
In questo primo anfiteatro le guide segnalano una discesa per cambiare il livello di cengia e risalire piano-piano dopo su altra cornice: Mason indica 60 metri lineari e Cammelli 30 di dislivello.
Sono fortunatamente su una (relativamente al resto) larga diagonale un po’ esposta nel finale ma con un fondo che dà buona presa per le scarpe (sempre andando piano).
Si esce così dall’anfiteatro più colorato e si entra in un altro più piccolo e con percorso obbligato già a prima vista, ma comunque con molti ometti.
Aggirato lo spigolo lontano di questo (con ultima vista possibile su buona parte del precedente), c’è una bancata sempre ghiaiosa che porta al passaggio chiave e per il quale avevo con me la corda come suggerito dalle guide.
La cengia praticamente si interrompe lasciando il posto a circa 12 metri di traversata in ASSOLUTA ESPOSIZIONE su parte verticale con minimi appoggi (all’inizio un po’ discontinui) per i piedi.
Questo tratto è attrezzato con cordino ben teso, in condizioni discutibili secondo le guide, per cui è meglio avere la propria corda (con moschettoni e quant’altro) per assicurarsi ai chiodi presenti.
Onestamente non ho visto poi così male questo cordino … fino all’ultimo segmento dove c’è un punto assai “spelacchiato”.
In ogni caso si può passare senza attaccarsi “anima e corpo” ma appoggiandoci le mani sopra per essere pronti a una tenuta di emergenza: il posto per i piedi (un piede, mezzo piede, un terzo di piede …) c’è e il tutto è paragonabile a un “II° grado orizzontale”.
I primi passi sono quelli con gli appoggi più piccoli, mentre alla fine ho abbandonato la linea del cordino per stare su una listarella di roccia più larga e un po’ più bassa (proprio dove si trova il punto danneggiato, che ho visto solo dopo).
Fatto questo si supera (con più attenzione del primo colpo d’occhio) uno svasamento della bancata per salire poi 5 metri circa di roccette poco oltre il I° grado: qui c’è un’altra corda che da subito si vede che è messa male (non l’ho neanche toccata).
Dopo la corda messa male si aggira subito uno spigolo con evidentissimo ometto e ci si porta, sempre su cornice, in testata di un canaletto dopo aver superato un landro dai “colori esagerati”.
Si scende il centro canale per una decina di metri su gradoni non difficili come salti, ma friabili: qui a ogni passo ho buttato giù qualcosa.
Si esce a destra per cengetta con tratti instabili che si vedeva bene prima di arrivare al punto di discesa nel canale: consiglio di guardarci prima di arrivare al landro dai bei colori, così si capisce meglio cosa fare dopo.
La cengetta muore appena dietro uno spigolo dopo circa una ventina di metri in linea d’aria: poco prima dello spigolo c’è quella che tutte le guide definiscono una “svasatura rocciosa” che interrompe la verticalità della parete a fianco: qui si sale per 7/8 metri sul I° grado, con un po’ di ghiaino all’inizio ma sempre con prese solide – non ho visto un ometto alla base (ci starebbe bene), ma ce n’è uno evidentissimo verso la sinistra dell’uscita.
Tre passi dopo l’ometto di uscita si raggiunge il filo di cresta che divide il Vallon di Colfiedo dalle Grave di Valbones: SPETTACOLO PURO da qui!
Nessuna guida scrive chiaramente dove si deve intendere la fine della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo: io direi qui, perché da ora si sta nei pressi del filo di cresta con tendenza versante sud-ovest Valbones.
Breve discesa verso Forcella Colfiédo o Colfreddo dalla fine della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo
Non è finita perché questa discesetta non è banale.
Dal bel pulpito di inizio discesa, bisogna prima raggiungere una forcelletta intermedia.
Qui le guide danno versioni differenti sempre un po’ vaghe.
Cammelli è il più preciso e indica di scendere un breve canalino di I° e II°- friabile, e poi un altro dove si trova pure un libro delle firme della via.
Questi brevi canalini si notano bene guardando un po’ a sinistra in versante Valbones da appena sotto il pulpito, e passano tra due evidenti spuntoni rocciosi e il profilo principale della cresta.
Mason scrive «… si aggirano due spuntoni» senza aggiungere altro.
Beltrame indica genericamente di scendere tra ghiaie e rocce marce di I°.
Dopo aver memorizzato la situazione a sinistra tra i due spuntoni, ho tagliato a destra qualche metro perché non si poteva aggirarli scendendo diritti.
Qui c’è una traccia di camosci comoda che va in parete aperta sopra una diagonale che rientra verso sinistra: il camminamento, tra un piccolo saltino e l’altro, mi è sembrato fattibile seppur molto sporco di ghiaie.
Alla fine ho fatto questo con aggiramento completo degli spuntoni.
Ho visto un “quasi ometto” sul camminamento di camosci e un piccolo “bollino rosso umano” su una pietra un po’ nascosta da un’altra sovrastante: però qui vien giù di tutto da tutte le parti, c’è un’alta parete verticale dietro, e dunque non si sa.
Anche questa versione è delicata, ma andando pianissimo ritengo di non aver corso rischi – per fare equilibrio bisogna evitare di attaccarsi con troppa forza agli appigli (spuntoni di pietra) altrimenti vengono via, bisogna sempre "essere dolci”.
Arrivati alla forcelletta superiore, si aggira facilmente un torrione sempre in versante Valbones e si plana su Forcella Colfiedo.
FINE DELLE DIFFICOLTÀ.
Rientro a Cimabanche da Forcella Colfiédo o Colfreddo per le Grave di Valbónes
Come detto all’inizio, la discesa per Valbones è una mia scelta, non è la più corta.
Mi ha MOLTO POSITIVAMENTE sorpreso il fondo del vallone che scende da Forcella Colfiedo: soffice al punto giusto per una camminata rilassante, e soffice al punto giusto in rapporto alla pendenza assolutamente non proibitiva.
A parte che è tutto intuitivo, ma all’inizio sono stato sulle “terre rosse”, poi più vicino al bordo sinistro del fossato che sta in centro vallone, e alla fine un po’ più a sinistra.
Dal gran pianoro alla base delle Grave di Valbones sono sceso un po’ seguendo gli ometti e un po’ no: avevo fretta di arrivare al primo ruscello con acqua “sufficientemente potabile”.
All’immissione nella stradetta che da Forcella Lerosa scende sulla SS 51 di Alemagna ultime foto con il sole che illuminava ancora la parete sud-ovest della Croda Rossa d’Ampezzo.
Infine circa 1 km di pista ciclabile per rientrare a Cimabanche.
“United Colors of Croda Rossa d’Ampezzo”
Per principio, dalle montagne, non porto mai a casa nulla (fiori, pietre, ecc.).
Qui però la tentazione è forte.
Lungo la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d’Ampezzo si trovano delle scaglie di tutte le dimensioni con dei colori che, all’interno delle Dolomiti, ci sono solo qui.
A parte i rossi e gialli super saturi che ci si aspetta perché già colpiscono … dalla Strada Statale 51 di Alemagna, ho trovato incredibile tutta la gamma dei grigio-cenere, dai chiari con evidentissime sfumature azzurro-avio fino a quelli più scuri quasi neri.
Poi si trovano anche scaglie che tendono un po’ al verde o al ciclamino-fuxia e simili.
Io sono arrivato in cengia a metà giornata con le tipiche condizioni di “luce dura”, e immagino che con luce “più calda” la “tavolozza di colori” sia ancora più sorprendente.
Le foto non possono rendere, solo con la “telepatia” si potrebbe far capire quello che si è visto.
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Secondo i dati del GPS, il dislivello reale dell’escursione dovrebbe essere di circa 150 metri in meno di quanto indicato nei dati di riepilogo Wikiloc, ma non è facile stimare un dislivello esatto per un itinerario di questo tipo.
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Waypoints
Waypoint
5,022 ft
01 - Parcheggio a circa 100 metri dallo Chalet Cimabanche in direzione Cortina d'Ampezzo
Waypoint
5,955 ft
05 - Uscita dall'impluvio del Torrente Colfiedo per rampa a fianco di un ruscello laterale
Waypoint
6,377 ft
09 - Punto foto sopra i larici fulminati per valutare la discesa nell'impluvio del canale
Waypoint
6,273 ft
10 - Inizio discesa nell'impluvio canale in testata del canalino evitato in salita
Waypoint
6,848 ft
13 - Fine canale a fondo pietraia contro un salto e inizio a sinistra vallone-fossato ghiaioso
Waypoint
7,873 ft
16 - Fine pendio erboso sotto roccia e inizio discesa nel canale finale per Forcella Punta del Pin
Waypoint
8,222 ft
18 - Stretto canalino roccioso (verso sinistra) praticabile poco prima di Forcella Punta del Pin
Waypoint
8,344 ft
20 - Punto foto tra Forcella Punta del Pin e l'inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,401 ft
21 - Punto foto tra Forcella Punta del Pin e l'inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,477 ft
22 - Punto foto tra Forcella Punta del Pin e l'inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,701 ft
24 - Ingresso nell'ultimo traverso prima dell'inizio della Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,869 ft
32 - Arrivo all'interruzione con cordino lungo la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,898 ft
34 - Testata canalino da scendere lungo la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,863 ft
35 - Inizio cengetta detritica di collegamento lungo la Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo
Waypoint
8,891 ft
37 - Fine Cengia Sud-Est della Croda Rossa d'Ampezzo sulla cresta tra Vallon di Colfiedo e Valbones
Waypoint
6,680 ft
44 - Immissione nella stradetta CAI num. 8 che scende da Forcella Lerosa al Lago Bianco
Comments (4)
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Wow, che viaggio! Bellissima relazione.
Bella escursione
Ciao. Generalmente non si trovano giri molto interessanti ma questo è' eccezionale e molto originale. Complimenti pure per la relazione. Me lo metto in cantiere
Grazie a tutti per aver apprezzato l’escursione.
Per chi ci vuol provare, ripeto solo un consiglio: scegliete una giornata di METEO PERFETTO, sia per la sicurezza che per la GRANDE BELLEZZA.
Poi la realtà supererà la fantasia, veramente.
Questo giro è nella mia Top 10 di tutti i tempi.
Buon cammino a tutti. 😊