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Da Cappadocia a Subiaco parte 01/10

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Trail stats

Distance
1.48 mi
Elevation gain
1,020 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
3 ft
Max elevation
4,654 ft
TrailRank 
29
Min elevation
4,654 ft
Trail type
One Way
Time
one hour 3 minutes
Coordinates
350
Uploaded
September 9, 2012
Recorded
September 2012
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near Cappadocia, Abruzzo (Italia)

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Itinerary description

Da Cappadocia a Subiaco. Ho diviso il percorso in dieci parti per facilitare la ricerca dei sentieri su Google Earth.
Con la corriera dell’Arpa sono arrivato a Cappadocia di seguito riporto gli indirizzi per gli orari delle partenze http://www.arpaonline.it/ http://ro.autobus.it/ro/asp/RicercaOrari.asp?User=arpa

Subito dopo il rifornimento dell’acqua,la fontana si trova di fronte al Municipio mi sono avviato per giungere al primo punto del percorso il Valico della Serra seguendo i segnali del sentiero 10.
Informazioni utili

http://www.comune.cappadocia.aq.it/
http://www.cappadociaweb.it/
http://www.tuttitalia.it/abruzzo/40-cappadocia/
http://it.wikipedia.org/wiki/Cappadocia_%28Italia%29
Cappadocia (Cappadoza in abruzzese[2]) è un comune italiano di circa 500 abitanti della provincia de L'Aquila in Abruzzo. Fa parte della Comunità montana Marsica 1. Si estende lungo il confine tra Abruzzo e Lazio, nel pieno dell'Appennino centrale sul versante nord-orientale aquilano dei Monti Simbruini. Il territorio, particolarmente montuoso, ha da sempre condizionato l'economia della zona, dedita per lo più all'allevamento, al commercio del legname e al turismo, sviluppatosi negli ultimi anni. Nel comune sono comprese le frazioni di Petrella Liri, Camporotondo sede dell'omonima stazione sciistica e Verrecchie.

Storia
Dal neolitico al medioevo
Questa area risulta essere stata insediata dall’uomo fin dall’Età Neolitica, come testimoniano i reperti archeologici che, numerosi, (stoviglie di creta, armi di selce, ed un osso occipitale umano probabilmente usato come lisciatoio, oltre ad ossa e denti dell’Ursus spelaeus, l’estinto orso delle caverne) sono stati indagati da Giustiniano Nicolucci nel 1877, e rinvenuti all’interno della Grotta "Cola", nei pressi di Petrella Liri (G. Nicolucci, La grotta Cola presso Petrella di Cappadocia, Napoli, 1877). Altri e più recenti ritrovamenti relativi a reperti dell’Età del Bronzo, sono stati rinvenuti all’interno delle Grotte di Beatrice Cenci, e nella Grotta “La Dama”, sita al di sopra delle Sorgenti del Liri. La zona era frequentata anche in epoca romana, e probabilmente si trovava in territorio “Equo” e poi nell’Ager Albenses. Presso Petrella Liri, nelle zone di San Pietro e Fonte Nina, ci sono tracce di insediamenti romani, costituite da mura, resti di ville rustiche o fattorie, oltre a numerosi laterizi ed elementi fittili. Inoltre oggi è accertata la presenza di una struttura romana, un invaso sul fiume Liri, all’altezza dell’ex officina. Di questo invaso o sbarramento è tuttora ben visibile il muro in “Opus Cementitium”, con i contrafforti e la chiusa sul fiume con grossi blocchi squadrati, scanalati verso la parte esterna. Rimane ancora il mistero della necessità dell’opera, delle finalità e di chi la utilizzasse. Inoltre, dalla presenza di altri blocchi e resti, si presume la presenza di un ponte sul Liri. Sin da epoca romana la nostra è stata terra di transumanza orizzontale verso la Campagna Romana. Questa la si raggiungeva attraverso la vicina via Tiburtina-Valeria, e dal diverticolo della via Traiana che metteva in comunicazione Subiaco con Marruvium, attraversando l'alta valle dell'Aniene, il Monte Autore (Petra Imperatoris), il Santuario della SS. Trinità, Cappadocia, Monte Girifalco e scendendo poi per i Piani Palentini, ed Alba Fucens. Su questo tracciato è ubicato, inoltre, l'antico insediamento di Morbano che potrebbe rivelarsi un insediamento medievale su un primo “Ocres” Equo. Il territorio di Cappadocia e le sue sorgenti del Liri potrebbero, per la presenza di acqua e per la loro natura geografica di area di passaggio sulla direttrice Cassino - Valle Roveto – Carsolano, rivelare dei cenobi Benedettini legati al passaggio di Monaci Basiliani, che interessò soprattutto l’Italia meridionale durante l’VIII secolo d.C., a seguito dell’invasione araba e della persecuzione iconoclasta che imperversava nell’Impero Bizantino. Infatti i toponimi Cappadocia - San Biagio - Santa Margherita - San Tommaso sono tutti di origine Orientale e una cella dedicata a San Biagio è certa nel territorio di Castellafiume. Tutta la toponomastica di Cappadocia sembra rimandare alla più nota Cappadocia anatolica. Gli stessi San Biagio e Santa Margherita, i santi protettori del paese, nacquero, vissero e consumarono il loro martirio nella citata regione orientale (nell’odierna Turchia). Probabilmente i lontani fondatori di Cappadocia portarono con loro, esuli in territorio abruzzese, il culto dei santi martiri venerati nella loro terra d’origine, la Cappadocia dell’Asia minore. Persino nei nomi propri di persona sembrano cogliersi gli echi di questa lontana origine e provenienza. Piuttosto comuni sono nomi propri quali Basilio, come il fondatore dell’ordine dei monaci basiliani, padre e dottore della chiesa e patriarca del monachesimo orientale, e cioè Basilio il Grande (Cesarea di Cappadocia 329 circa- 379) o Basilio di Cappadocia, oppure più comunemente noto come San Basilio. E non mancano nomi propri di persona quali Armenio, Armenia e persino Anatolia. Non si hanno, comunque, notizie documentate relative al borgo di Cappadocia fino al 1187 circa, quando nella Bolla inviata dal Papa Clemente III ad Eliano, Vescovo dei Marsi, viene citata la Chiesa di San Biagio e Santa Margherita in Cappadocia: “Sancti Blasii. Sanctae Margheritae in Cappadocia” e nell’Elenco: “Ab Ecclesia Sancti Blasii, grani cuppas sex; Ab Ecclesia Sanctae Margheritae, grani cuppas sex”. Nella stessa Bolla di Clemente III vengono anche nominate Sant'Angelo e San Giovanni in Petrella. In un altro elenco di edifici di culto, addirittura precedente, viene citata una Chiesa di San Germano in Petrella Romani. Segue il testo: “l’Abate Aligerno di Montecassino concede a livello al conte dei Marsi Rainaldo il Monastero di Santa Maria di Luco con tutti i suoi possedimenti tra cui: “…Sancti Germani in Petrella Romani. Omnes istae ecclesia, cum universis possessionibus et pertinetiis earum mobilibus et immobilibus precito monasterio antiquitus pertinuerunt…”, nonché la Chiesa di San Pietro in Petrella. L’Abate Umberto acquista una chiesa nella valle di Nerfa presso la Rocca di Petrella: ”Acquisivit in valle nerfa ecclesiam unam, vocabolo sancti Petri, positam iuxta roccam que Petrella vocatur, cum casis, terris, vineis, libris, paraturis, animalibus et cum omnibus bonis suis….” E di cui è noto il sito e sono evidenti tratti di murature. L’alta Valle del Liri è sempre stata, per i sovrani, una zona di particolare importanza, essendo di confine con lo Stato Pontificio. Infatti nei testi e negli studi sui siti fortificati e sui castrum di epoca medievale relativi a questa località, vengono riportati ben quattro centri fortificati, tutt’oggi evidenti: Castello della Ceria, Rocca di Petrella-Verrecchie e Girifalco presso Pagliara. Altro sito fortificato anche se non riportato nei testi, ma tutt’ora evidente, è quello di Rocca Morbano, del tutto simile al Castello della Ceria. Nel Medioevo l’abitato di Cappadocia si è sviluppato su un piano naturale alle falde di Colle Secco, intorno al Castello, che benché non più visibile, catastalmente è ancora evidente nella sua posizione. “Castrum Cappadoci”, nel 1271 è citato nell’elenco dei castelli di confine più importanti da riparare, che fece redigere Carlo I D’Angiò (che a Cappadocia vi fosse veramente un castello non è comunque certo. Infatti nell’epoca in cui fu redatto l’elenco angioino, si era soliti designare con il termine castrum, non soltanto una Rocca o un castello vero e proprio, ma ogni abitato che fosse circondato da mura. Comunque a Cappadocia c’è una via del Castello, nei pressi della Chiesa di San Biagio). Successivamente la storia del borgo, durante il Medioevo, è correlata a quella delle più potenti famiglie aristocratiche dell’area Marsicana. Cappadocia ha infatti seguito le vicende della Contea dei Marsi e del Ducato di Albe e Tagliacozzo, appartenuto alle famiglie DE PONTIBUS, agli ORSINI, ed infine ai COLONNA. Mle vicende salienti che segnarono il periodo del passaggio del Ducato di Tagliacozzo dagli Orsini ai Colonna: attorno al 1489, Tagliacozzo e il suo ducato erano stati assegnati ai Colonna da Renato d’Angiò. Intanto gli Orsini, nell’intento di recuperare il vecchio possedimento, strinsero alleanza con Alfonso II, figlio di Ferdinando I d’Aragona. Alfonso riuscì a conciliare le suddette famiglie, e si giunse alla restituzione del Ducato di Tagliacozzo a Virginio Orsini. Ma la pace, ed il ritrovato possesso del ducato durarono ben poco. Infatti Papa Alessandro VI, avverso ad Alfonso II, chiamo Carlo VIII di Francia, il quale fu sollecito a varcare le Alpi e scendere in Italia. Il Papa pentitosi nel frattempo dell’invito al Re francese e nel tentativo di porre un argine all’invasore, si pacificò con Alfonso II. Questi però intimorito dall’avvicinarsi dei francesi in Napoli, si ritirò in convento a Messina, ove poco dopo morì, il 19 novembre 1495. Carlo VIII fece quindi il suo ingresso vittorioso in Roma, e fu a questo punto che Virginio Orsini, tradendo l’alleanza con Alfonso II e con il Papa, passò alla sua dipendenza. Ma la fortuna non arrise ai francesi, e Carlo VIII, abbandonato dal Papa, dai Principi che lo avevano accolto, e da Ludovico il Moro che lo aveva spalleggiato, fu cacciato e costretto a tornare in Francia. Fu a questo punto che Alessandro VI non volle passare sopra l'infedeltà di Virginio Orsini. E se nel 1503 il ducato di Tagliacozzo era ancora posseduto dalla famiglia Orsini, fu allora che Alessandro VI, di concerto con Federigo d’Aragona, ne dettero l’investitura ad Odoardo Colonna, al quale poco dopo successe Fabrizio Colonna. Come riporta il libro “Storia di Tagliacozzo”, di G.Gattinara, riproponendo un testo del ‘600: “Questi [Fabrizio Colonna] vinse gli Orsini d’intorno a Tagliacozzo, dove con la strage di molti Cavalieri e di otto Capitani, restò preso Paolo Vitelli di Giacomo con ottanta cavalli, ed inalberate in tutti i luoghi della Provi

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