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Capo Gallo - Il Semaforo e l'Eremita

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Trail stats

Distance
4.99 mi
Elevation gain
1,821 ft
Technical difficulty
Moderate
Elevation loss
1,821 ft
Max elevation
1,679 ft
TrailRank 
76
Min elevation
454 ft
Trail type
Loop
Coordinates
954
Uploaded
September 26, 2020
Recorded
September 2020

near Partanna Mondello, Sicilia (Italia)

Viewed 8452 times, downloaded 165 times

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Itinerary description

Itinerario Anello
Partenza/arrivo N 38°12'34" - E 13°18'33”
Lunghezza km 8,08
Guadagno/perdita mt 705/-705
Pendenza media 15,8%
Elevazione min/max mt 130/526
Tipo di suolo strada forestale 31%, sentiero agevole 52%, terreno vegetale 17%
Difficoltà livello Medio

La Riserva di Capo Gallo si estende per una area di 586 ettari ed è costituita essenzialmente dal massiccio carsico di monte Gallo - formatosi decine di milioni di anni or sono - che termina con il promontorio di Capo Gallo, punto di separazione dei due golfi di Mondello e Sferracavallo. L’itinerario si sviluppa in buona parte nell’altura del Semaforo, la più a nord di monte Gallo.
Monte Gallo, escluso il versante meridionale, è cinto da ogni lato da falesie strapiombanti per centinaia di metri. Il lato costiero della Riserva si estende da Capo Gallo verso ovest fino a Punta Barcarello, mentre l’altura è divisa in quattro settori separati da tre valloni: Spina Santa, Pizzo della Sella e Bauso Rosso. Nel primo settore emergono le cime di Pizzo Impisu e Pizzo Vuletta; nel secondo il Monte Santa Margherita ed il Pizzo dell’Avvoltoio mt 512; in quello centrale il Primo Pizzo ed il Pizzo Sella m 562, la cima maggiore; il quarto settore culmina con il Semaforo m 527.
Della Riserva di Capo Gallo si conosce bene un versante, quello che evoca il mare siciliano da cartolina. Quello che molti non sanno è che Capo Gallo ha alle spalle un altro versante, quello delle contraddizioni.
Agli scorci panoramici di rara bellezza sul versante occidentale della Conca d’Oro ed orientale di Sferracavallo, al Semaforo Borbonico, una strategica postazione militare del XIX secolo oggi abitata dall’eremita Isravele, che l’ha trasformata in una grandiosa ed inaspettata manifestazione di Art Brut, si contrappone lo scempio edilizio degli anni ’70 di Pizzo Sella.
Pari interesse suscitano anche alcuni aspetti naturalistici tipici della Riserva, sia dal punito di vista geologico, sia per la flora e la fauna con caratteristici endemismi, ed il patrimonio archeologico che custodisce nelle sue numerose grotte abitate in epoca preistorica.
Il percorso non è particolarmente impegnativo ma richiede comunque una attenta programmazione, specie per le condizioni meteo che dovranno essere buone, con assenza di pioggia anche nei giorni precedenti l’escursione, per evitare il fango nei tratti di percorso con terreno vegetale e, possibilmente, con ottima visibilità per apprezzare i paesaggi. L’escursione è consigliata in tutte le stagioni, tranne quella estiva.
Si parte dal vallone Bauso Rosso, parcheggiando le auto in uno slargo (38°12’34” N - 13°18’34” E, m 132 slm) in uno dei primi tornanti della strada forestale che sale fino a Piano dello Stinco.
Il primo tratto del percorso è in ripida salita su strada forestale, prima asfaltata e poi acciottolata, fino al cancello d’ingresso della RNO. In questo primo tratto si osserva sul versante destro la falesia del Bauso Rosso e sul versante sinistro - unica nota dolente dell’escursione - lo sfregio della lottizzazione degli anni ’70 di Pizzo Sella. Superato il cancello d’ingresso della Riserva, il percorso continua in salita all’interno di un residuo di rimboschimento a conifere.
Al km 1,36 (m 380 slm) deviazione in direzione di Pizzo Sella verso Torre Amari (km 1,84 - mt 447 slm), su terreno naturale e roccette. Torre Amari (1) o Dammuso di Gallo è una torretta militare di avvistamento che ha funzionato per circa tre secoli a partire dal XV secolo, per il controllo delle navi pirata provenienti dall’area trapanese.
Si prosegue lungo la cresta verso Pizzo Sella per circa un centinaio di metri fino a raggiungere un punto panoramico (direzione W, km 1,95 - mt 467 slm) a picco sul Malpasso.
Si ripercorre quindi, in senso contrario, il tratto fuori pista fino a ritornare alla strada forestale.
Al km 2,63 deviazione verso il secondo punto panoramico con vista in direzione N (km 2,74 - m 386 slm).
Ritornati sulla strada forestale, si prosegue in salita verso Piano dello Stinco, un altopiano di meno di una decina di ettari coperto in parte da residui di forestazione a conifere, da rigogliose macchie di lentisco (stinco) e da qualche esemplare di olivo selvatico e carrubo, a testimonianza di antiche coltivazioni.
Al km 3,38 si devia sul sentiero che conduce sull’altura del Semaforo Borbonico (km 3,85 – m 527 slm).
Il Semaforo (2) era una postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica del Regno delle Due Sicilie.
La struttura esterna anche se malandata non è compromessa, anzi mantiene una sua solidità. La parte principale dell’edificio è a pianta quadrata, con stanze in successione. Al centro del quadrato si trova la scala di accesso all’ambiente superiore, l’elemento più interessante dell’edificio, la torre di avvistamento ottagonale. Sono interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane, ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia.
Il semaforo ha oggi un “ospite” fisso, l’eremita Nino, che ha trasformato l’edificio adornando tutte le pareti ed i tetti delle numerose stanze di mosaici a carattere sacro, realizzati con sassolini policromi e piccoli pezzetti di vetro levigati dal mare, facendolo diventare il suo un santuario.
Le decorazioni si estendono all’esterno del Semaforo ed anche al percorso che dall’ingresso della riserva porta al santuario, che ha ribattezzato “Via Santa”. Molte delle scene rappresentate si riferiscono al Giudizio Universale, con “tanti” angeli con la spada insanguinata. Sicuramente è una visita che lascia il segno, che non si dimentica.
Nino preferisce farsi chiamare “Isravele” (elevarsi letto al contrario). Vive senza luce elettrica e con una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. Ha un orto, il forno e la cucina, a volte scende in città per comprare i viveri ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere.
Nonostante Isravele sia poco conosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell’arte uno degli esponenti dell’Art Brut o Arte grezza. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell’arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato.
L’escursione prosegue alle spalle del Semaforo, su terreno vegetale, fino ad affacciarsi sulla Costa Mazzone (km 4,1 - m 483 slm), uno spettacolare e selvaggio anfiteatro roccioso racchiuso, superiormente ed inferiormente, da falesie a picco sul mare, dove sopravvive un lembo di lecceta, lentisco e altre specie della macchia, vestigia dell'antica foresta mediterranea sempreverde che un tempo dominava quest'area ed alcuni caratteristici endemismi erbacei.
Nella parete della Costa Mazzone si aprono due grotte, dove si è rinvenuto materiale archeologico di epoca preistorica. La grotta Mazzone è un’ampia caverna di mt.30 x mt 18, alta mediamente due metri, utilizzata a lungo come ovile; scavi all’interno della grotta hanno restituito alcune selci lavorate. Il riparo Mazzone è posto a poca distanza dall’omonima grotta ed ha un caratteristico aggetto di qualche metro, tale da permettere ad antiche popolazione di usarlo come luogo di sosta e per le quotidiane attività. Nel suo piccolo terrapieno sono stati individuati frammenti di selci e resti di pasto, ascrivibili al Paleolitico superiore.
L’itinerario continua su Piano dello Stinco fino ad un punto panoramico in direzione NE, sopra Capo Gallo. Sicuramente è il punto panoramico di maggiore ampiezza, tant’è che in loco sono visibili i resti della torre di avvistamento Mazzone, ancora più strategica della Torre Amari.
Tra le rupi di Piano dello Stinco si notano grappoli di fori circolari più o meno profondi. E' il risultato dell'azione di una chiocciola endemica siciliana, il Cornu Mazzullii. La conchiglia è lunga circa 3 centimetri ed ha una spira ben panciuta. L’area di distribuzione molto limitata (Monte Cofano, Monte Gallo, Pizzo Sella e Vuturo, Monte Pellegrino), la raccolta indiscriminata e gli incendi, hanno reso questa specie a rischio di estinzione.
Si prosegue quindi fino ad intercettare il sentiero che scende sul versante SE verso Mondello (km 4,75 - m 483 slm), che offre anch’esso superbi paesaggi verso Palermo e Mondello con il suo Stabilimento Balneare Liberty (3). Due deviazioni successive, rispettivamente al km 5,54 e km 5,73, intercettano due sentieri che chiudono l’anello passando sopra la falesia di Bauso Rosso.
Al km 6,66 si abbandona il sentiero che conduce al punto di partenza, in direzione di Bauso Rosso, una bellissima falesia utilizzata dalle scuole di free climbing di livello internazionale, che si percorre all’interno del “solco battente”.
Le oscillazioni del livello dei mari a livello globale (movimenti eustatici), causate dalle glaciazioni nel corso del Pleistocene (da 2,5 milioni a 12.000 anni fa), hanno generato una serie di terrazze di “solchi del battente”, a quote diverse rispetto al livello attuale del mare. Caratteristica di un “solco del battente” è un incavo più o meno profondo (anche oltre un metro) a sezione più o meno ellittica, più affusolata verso l’alto, alta anche parecchi metri. Talvolta il solco mostra perforazioni, a fascia o a grappolo, dovute ad organismi litofagi come i datteri di mare, da non confondere con l’erosione a nido d’ape della chiocciola Cornu Mazzullii.
Un cenno particolare merita una pianta avventizia molto diffusa, il Pennisetum setaceum, una graminacea nordafricana introdotta nell'Orto botanico di Palermo per essere sperimentata come pianta da foraggio, che oggi si è diffusa spontaneamente in gran parte della Sicilia, abbondantemente presente nei pressi della falesia di Bauso Rosso.
Il percorso si conclude a ritroso, fino al punto di partenza (km 8,06).

1 - Torri di avvistamento
Il mare Mediterraneo, già dalla seconda metà del XV secolo, per la caduta rovinosa di Costantinopoli in mano ai Turchi Ottomani, è dominato dalle potenze navali turche, algerine e tunisine che compiono frequenti incursioni lungo tutte le coste siciliane razziando uomini, donne e bambini e tutto ciò che potesse essere di valore. Le navi corsare partivano dalle attrezzate basi della costa nord-africana di Algeri, Tunisi, Mahadia e Gerba e si muovevano velocemente nel Mediterraneo, creando il terrore per le loro scorrerie.
Fu necessario quindi fortificare le città portuali e perfezionare un sistema di torri allineate sui punti più alti delle alture costiere, per potere avvisare in tempo le città e le campagne, permettere l’evacuazione della popolazione e predisporre le difese necessarie per fronteggiare eventuali sbarchi nemici. Tutti i monti limitrofi alla città di Palermo ed in posizione strategica, compresi i borghi marinari dell’ampio golfo tra Capo Gallo e Capo Zafferano ed anche i piccoli villaggi e le campagne extra moenia della Conca d’Oro, furono muniti di postazioni e torri di vedetta.
In un primo tempo furono postazioni provvisorie, cioè senza alcun riparo per i guardiani e non presidiate costantemente. Nel secolo XVI, persistendo le incursioni piratesche che pregiudicavano tutte le attività economiche e commerciali dell’isola, nel volgere di pochi anni furono costruite lungo le coste siciliane centinaia di robuste e ben munite torri a pianta quadrata o circolare, che dovevano resistere oltre che ad eventuali arrembaggi, anche al cannoneggiamento delle nuove armi da fuoco. E’ in questo contesto storico che viene eretto il Dammuso di Gallo, intendendo proteggere così il fianco occidentale della città e l’ubertosa ed appetibile campagna dei Colli dalle incursioni dei pirati. Situato a breve distanza dalla borgata di Partanna, il Dammuso di Gallo è una torre di vedetta impiantata sin dal XV secolo, successivamente chiamata Torre Amari poiché dal 1721 tutto il promontorio e parte del ricco territorio limitrofo, con annesse le borgate di Tommaso Natale e Sferracavallo, appartenne al conte Amari.
La torre era presidiata da due guardiani che avevano il compito di vegliare sul traffico navale e mandare tempestivamente messaggi di fumo e fuoco (giorno e notte).
Il Dammuso di Gallo è posto a pochi metri dallo strapiombo di Malopasso, è a pianta pressoché quadrata di m 4,86 x m 4,58 con un unico ingresso rivolto a SO, con uno spessore di muri che variano da m. 0,60 a m. 0,80 che guarda verso la Piana dei Colli e la città di Palermo, un tetto a volta ed una cisterna scavata nella roccia per la raccolta dell’acqua piovana. La torre è stata edificata utilizzando pietre locali, fissate con malta. E’ posizionata in un pianoro con un dolce declivio a ridosso di una cortina di rocce che la preservavano dai fastidiosi venti di tramontana, ma che aveva probabilmente anche lo scopo di nasconderla alla vista di eventuali navi nemiche in avvicinamento.
La struttura si presenta armonica nelle sue linee essenziali, curata nella tecnica costruttiva, ricalcando lo schema tipico delle fabbriche a pianta quadrata coeve sparse lungo la costa palermitana.
A poca distanza il linea d’aria in direzione NE si trova la solitaria torre Mazzone, costruita nel punto più estremo del monte, più aspro e difficile da raggiungere, ma che era al contempo uno dei più favorevoli e strategici punti di osservazione di tutto il comprensorio palermitano.

2 - Semaforo borbonico - La Telegrafia Visuale a servizio del Regno delle due Sicilie
Tra i lasciti del "decennio francese", il regno delle Due Sicilie poté avvalersi di un moderno ed efficiente sistema di telegrafia visuale collocato lungo la frontiera marittima dei domini.
L'origine di questa infrastruttura si fa risalire ai primi anni dell'Ottocento, quando lo scontro tra Inghilterra e Francia segnò l'apertura di un nuovo fronte, quello della guerra al commercio continentale.
All'assedio inglese dei porti dell'impero francese, Napoleone, con il decreto del 21 novembre 1806, rispose vietando ogni commercio da e per l'Inghilterra.
Per chiudere i porti alle navi che avessero toccato uno scalo considerato "inglese", lungo le coste del 'impero francese e dei paesi satelliti fu istituita una cintura di controllo del traffico marittimo attrezzata con un nuovo modello di telegrafo ottico: il Semaforo marittimo.
Il dispositivo fu progettato tra il 1801 ed il 1804 dall'ufficiale d'artiglieria Charles Depi, preoccupato di porre rimedio ai limiti imposti alla comunicazione militare costiera dall'uso delle bandiere, troppo vincolate al vento ed alle condizioni di visibilità. Depi risolse il problema proponendo un segnale digitale, visibile a distanza, trasmesso tramite la macchina di sua progettazione, di semplice costruzione e facile trasporto, destinata alle postazioni di vedetta costiere.
Il Semaforo semplificò la trasmissione e la ricezione di messaggi grazie alla facile leggibilità dei segnali di tre grandi "ali" ben distanziate tra loro. Le segnalazioni avevano luogo mediante il movimento delle tre ali, ciascuna delle quali poté assumere, oltre a quella di riposo orientata verso il basso, sei posizioni corrispondenti ad un identificativo numerico:
- ala superiore: numeri da 1 a 6,
- ala centrale: numeri multipli di 7 (7, 14,21, 28, 35, 42)
- ala inferiore: numeri multipli di 49 (49,98, 147, 196,245, 294).
Il Semaforo marittimo fu inserito in una catena di segnalazione costruita dislocando questi apparecchi lungo i litorali, ciascuno a portata visiva dell'altro.
L'uso di un linguaggio cifrato consentì di ricevere informazioni sulle unità in transito, di dare ordini alle stesse e di trasmettere alle autorità militari le notizie raccolte sul traffico marittimo. Stazioni e ripetitori visivi, collocati lungo la dorsale appenninica, integrarono la rete semaforica costiera stabilendo la comunicazione diretta tra i litorali adriatico e tirrenico.
Al completamento del circuito semaforico, che avvenne tra il 1810 e il 1812, i francesi ebbero a disposizione un sistema di comunicazione militare che passando per i litorali continentali delle due Sicilie, collegò, senza soluzione di continuità, Le coste Nord atlantiche a quelle dell'Italia peninsulare.

3- Stabilimento balneare di Mondello (fonte wikipedia)
Successivamente alla bonifica del “pantano” di Mondello, la zona suscitò un forte interesse. Nel 1906, Luigi Scaglia, un imprenditore milanese giunto a Palermo per seguire la Targa Florio, restò incantato dalla bellezza del luogo, vedendo in esso qualcosa di ben più importante dei primi stabilimenti balneari estivi costruiti in legno. Nel settembre dello stesso anno presentò al Comune di Palermo un progetto di sfruttamento della zona, accompagnando la relazione con una nota di entusiasmo:
Il fine precipuo, o Signori, che si propone di raggiungere la Società che io ho l’onore di rappresentare, è quello di exploiter Mondello. Chi ha veduto una volta sola questo lembo di paradiso non può non chiedersi meravigliato come mai esso non sia il ritrovo quotidiano di quanti cercano nella visione del Bello ristoro e conforto (…). Nessun pittore ebbe mai nella sua tavolozza tanta varietà di verde quanto ne offre all’occhio estasiato l’immenso bosco di agrumi, di ulivi, di carrubbi che circonda, digradante al mare, il bel golfo turchino, specchiantesi in un cielo più turchino, chiuso tra il superbo monte Gallo e il nostro Pellegrino, sacro al poeta».
Contemporaneamente, fu pubblicato su “La Sicile Illustrèe” (mensile venduto a Parigi, in lingua francese e italiana) un articolo dal titolo “Grandioso progetto per l’avvenire di Mondello”, in cui veniva illustrata la proposta della società milanese, presentando Mondello come un lido superiore alle più famose località europee e con un lungomare più bello della nota Promenade des anglais di Nizza.
Una società belga, “Les Tramways de Palerme” (costituita a Bruxelles nel 1909), con un atto di vendita del 1910, ottenne dal Demanio dello Stato la cessione di circa 280 ettari di terreno a fronte di una serie di servizi e strutture da approntare per la realizzazione di una stazione balneare di prim’ordine, nel rispetto di un compromesso con il Comune di Palermo del 1906.
La società si impegnò a versare la somma di lire 578.310,42 oltre alla realizzazione di un Grand Hotel, un Kursaal, una chiesa, uno stabilimento balneare costruito a palafitta sul mare, 300 villini, la rete idrica, la rete fognaria, un campo da golf a nove buche e alcune opere di arredo urbano (chioschi, illuminazione, giardini, etc.).
Lo Stabilimento Balneare venne progettato dall’architetto Rudolf Stualker, che disegnò un’ampia piattaforma su piloni immersi nell’acqua. Il lavoro era stato originariamente pensato per la città di Ostenda, ma venne spostato nella la località siciliana a causa della maggior bellezza del paesaggio di quest’ultima. La realizzazione fu affidata all’impresa di Giovanni Rutelli, figlio del noto scultore Mario Rutelli, che riuscì a costruire un edificio resistente all’azione corrosiva dell’acqua e della salsedine. La struttura venne decorata con volute, fregi, sculture, vetrate e colori vivaci, così da risultare elegante oltre che funzionale per i bagnanti. L’edificio, unico nel suo genere, rappresenta una delle opere architettoniche in stile Art Nouveau più belle d’Europa.
Nel 1933 la società ha cambiato nome in seguito alla cessione del ramo trasporti al Comune di Palermo e oggi è conosciuta come Mondello Immobiliare Italo Belga S.A. Ha in concessione la spiaggia di Mondello.
Durante la Seconda guerra mondiale, lo stabilimento fu utilizzato come quartier generale, prima dai fascisti e dall’esercito tedesco, e poi dalle forze alleate. Gli Alleati traslocarono la maggior parte del mobilio a Villa Igiea, prestigiosa residenza utilizzata dagli americani. Per mesi furono reclamati 1.693 pezzi di posateria di pregio, tutto il corredo di pentole e casseruole, tovaglie in lino, sedie, sgabelli e poltrone, oltre ai danni riportati da sovraporte, finestre e tavoli.
Nel 1995, la struttura fu restaurata sotto il lavoro dell’ingegnere Umberto Di Cristina con i fondi della Società Italo Belga, riuscendo a riportare tutto all’antico splendore e a riesaltare i colori, dal blu oceano al rosso ruggine.

Waypoints

PictographCar park Altitude 453 ft

Partenza

Si parte dal vallone Bauso Rosso, parcheggiando le auto in uno slargo (38°12’34” N - 13°18’34” E, m 132 slm) in uno dei primi tornanti della strada forestale che sale fino a Piano dello Stinco. Il primo tratto del percorso è in ripida salita su strada forestale, prima asfaltata e poi acciottolata, fino al cancello d’ingresso della RNO. In questo primo tratto si osserva sul versante destro la falesia del Bauso Rosso e sul versante sinistro - unica nota dolente dell’escursione - lo sfregio della lottizzazione degli anni ’70 di Pizzo Sella. Superato il cancello d’ingresso della Riserva, il percorso continua in salita all’interno di un residuo di rimboschimento a conifere.

PictographIntersection Altitude 1,255 ft

Deviazione

Al km 1,36 (m 380 slm) deviazione in direzione di Pizzo Sella verso Torre Amari (km 1,84 - mt 447 slm), su terreno naturale e roccette.

PictographMonument Altitude 1,471 ft
Photo ofTorre Amari Photo ofTorre Amari Photo ofTorre Amari

Torre Amari

Torre Amari o Dammuso di Gallo è una torretta militare di avvistamento che ha funzionato per circa tre secoli a partire dal XV secolo, per il controllo delle navi pirata provenienti dall’area trapanese. Il mare Mediterraneo, già dalla seconda metà del XV secolo, per la caduta rovinosa di Costantinopoli in mano ai Turchi Ottomani, è dominato dalle potenze navali turche, algerine e tunisine che compiono frequenti incursioni lungo tutte le coste siciliane razziando uomini, donne e bambini e tutto ciò che potesse essere di valore. Le navi corsare partivano dalle munite basi della costa nord-africana di Algeri, Tunisi, Mahadia e Gerba e si muovevano velocemente nel Mediterraneo, creando il terrore per le loro scorrerie. Fu necessario quindi fortificare le città portuali e perfezionare un sistema di torri allineate sui punti più alti delle alture costiere, per potere avvisare in tempo le città e le campagne, permettere l’evacuazione della popolazione e predisporre le difese necessarie per fronteggiare eventuali sbarchi nemici. Tutti i monti limitrofi alla città di Palermo ed in posizione strategica, compresi i borghi marinari dell’ampio golfo tra Capo Gallo e Capo Zafferano ed anche i piccoli villaggi e le campagne extra moenia della Conca d’Oro, furono muniti di postazioni e torri di vedetta. In un primo tempo furono postazioni provvisorie, cioè senza alcun riparo per i guardiani e non presidiate costantemente. Nel secolo XVI, persistendo le incursioni piratesche che pregiudicavano tutte le attività economiche e commerciali dell’isola, nel volgere di pochi anni furono costruite lungo le coste siciliane centinaia di robuste e ben munite torri a pianta quadrata o circolare, che dovevano resistere oltre che ad eventuali arrembaggi, anche al cannoneggiamento delle nuove armi da fuoco. E’ in questo contesto storico che viene eretto il Dammuso di Gallo, intendendo proteggere così il fianco occidentale della città e l’ubertosa ed appetibile campagna dei Colli dalle incursioni dei pirati. Situato a breve distanza dalla borgata di Partanna, il Dammuso di Gallo è una torre di vedetta impiantata sin dal XV secolo, successivamente chiamata Amari poiché nel 1721 tutto il promontorio e parte del ricco territorio limitrofo, con annesse le borgate di Tommaso Natale e Sferracavallo, apparteneva al conte Amari. La torre era presidiata da due guardiani che avevano il compito di vegliare sul traffico navale e mandare tempestivamente messaggi di fumo e fuoco (giorno e notte). Il Dammuso di Gallo è posto a pochi metri dallo strapiombo di Malopasso, è a pianta pressoché quadrata di m 4,86 x m 4,58 con un unico ingresso rivolto a SO, con uno spessore di muri che variano da m. 0,60 a m. 0,80 che guarda la Piana dei Collie la città di Palermo, un tetto a volta ed una cisterna scavata nella roccia per la raccolta dell’acqua piovana. La torre è stata edificata utilizzando pietre locali, fissate con malta. E’ posizionata in un pianoro con un dolce declivio a ridosso di una cortina di rocce che la preservavano dai fastidiosi venti di tramontana, ma che aveva probabilmente anche lo scopo di nasconderla alla vista di eventuali navi nemiche in avvicinamento. La struttura si presenta armonica nelle sue linee essenziali, curata nella tecnica costruttiva, ricalcando lo schema tipico delle fabbriche a pianta quadrata coeve sparse lungo la costa palermitana. A poca distanza il linea d’aria in direzione NE si trova la solitaria torre Mazzone, costruita nel punto più estremo del monte, più aspro e difficile da raggiungere, ma che era al contempo uno dei più favorevoli e strategici punti di osservazione di tutto il comprensorio palermitano.

PictographPanorama Altitude 1,536 ft
Photo ofPanorama W Photo ofPanorama W

Panorama W

Si prosegue lungo la cresta verso Pizzo Sella per circa un centinaio di metri fino a raggiungere un punto panoramico (direzione W, km 1,95 - mt 467 slm) a picco sul Malpasso.

PictographTree Altitude 683 ft

Il Malpasso

Il Malpasso

PictographSummit Altitude 1,798 ft

Pizzo della Sella

m 562

PictographPanorama Altitude 1,324 ft
Photo ofPanorama N

Panorama N

Al km 2,63 deviazione verso il secondo punto panoramico con vista in direzione N (km 2,74 - m 386 slm).

PictographFauna Altitude 1,569 ft
Photo ofErosione a grappolo da Cornu Mazzulli Photo ofErosione a grappolo da Cornu Mazzulli Photo ofErosione a grappolo da Cornu Mazzulli

Erosione a grappolo da Cornu Mazzulli

“Vidi chi dannu ca fannu i babbaluci, ca cu li corna ammuttano i balati” Tra le rupi delle alture della Sicilia nord occidentale si possono notare grappoli di fori circolari più o meno profondi. E' il risultato dell'azione di una chiocciola endemica siciliana, il Cornu Mazzullii (Erctella mazzullii). È una chiocciola lunga 3-5 cm, con conchiglia a spira panciuta ed angolo apicale retto. L’area di distribuzione molto limitata (Monte Cofano, Monte Gallo e Monte Pellegrino), la raccolta indiscriminata e gli incendi hanno reso questa specie a forte rischio di estinzione. Nei giorni umidi e piovosi o di notte, le chiocciole sono in movimento sul terreno alla ricerca dei vegetali di cui si nutrono, mentre nelle giornate asciutte si rifugiano tra le pietre o sui tronchi degli alberi. Il rifugio del Cornu Mazzullii è particolare perché costituito da una serie di fori a grappolo, scavati nella roccia, di diverso diametro e profondità. Questo mollusco, quando si ripara negli anfratti della roccia, ha la peculiarità di secernere una bava acida di colore giallo-verdiccio, quasi fluorescente. La funzione di questa bava è quella di creare, all’interno del riparo, un ambiente umido, protetto dall’esterno dallo stesso guscio che aderisce ermeticamente al fondo del foro (vedi foto). In questo particolare ambiente si sviluppa una alga verde (Chlorophyta=“lippo”) di cui la lumaca si nutre. L’ambiente acido favorisce a sua volta lo scioglimento di un sottile strato di calcare in carbonato di calcio. Per alimentarsi la lumaca asporta con la radula, la sua lingua munita di tanti denti microscopici con cui grattugia il cibo prima di ingoiarlo, uno strato di alga e con essa anche uno strato di carbonato di calcio, levigando il fondo del foro ed aumentandone progressivamente la profondità. Negli anni, forse centinaia o migliaia, il foro tende ad essere sempre più grande e profondo. La vicinanza e la numerosità dei fori, nonché la progressiva frantumazione delle pareti tra i fori, hanno creato nelle rocce zone di profonda erosione. Le erosioni più antiche hanno formato nelle rocce vistosi fori passanti, poi abrasi dall’erosione delle acque piovane, senza lasciare traccia degli originari fori a grappolo. I fori sono utilizzati come riparo anche da altre specie di chiocciole, ma è solo il Cornu Mazzullii ad averli creati. Se si osservano con attenzione la successione di queste erosioni sulla roccia, si può notare che hanno un fattore comune. Sono prevalentemente esposte a sud. La roccia esposta a sud è illuminata dai raggi solari ed ha una temperatura superficiale superiore rispetto alle altre esposizioni anche di diversi gradi, favorendo così lo sviluppo dell’alga, nutriente del Cornu Mazzullii.

PictographIntersection Altitude 1,516 ft
Photo ofDeviazione Photo ofDeviazione

Deviazione

Al km 3,38 si devia sul sentiero che conduce sull’altura del Semaforo Borbonico (km 3,85 – m 527 slm).

PictographMonument Altitude 1,667 ft
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Semaforo esterni

Il Semaforo era una postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica del Regno delle Due Sicilie. La posizione strategica su Monte Gallo permetteva la vista di tutta la costa, a ovest fino a San Vito Lo Capo e ad est di tutto il Golfo di Palermo fin quasi a Cefalù. A differenza del faro, che è un punto di riferimento per la navigazione, il Semaforo è dotato anche di apparecchiature atte alla trasmissione di ordini ai vascelli di passaggio, regolando il traffico verso il porto di Palermo. La struttura esterna anche se malandata non è compromessa, anzi mantiene una sua solidità. La parte principale dell’edificio è a pianta quadrata, con stanze in successione. Al centro del quadrato si trova la scala di accesso all’ambiente superiore, l’elemento più interessante dell’edificio, la torre di avvistamento ottagonale. Sono interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane, ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia. Il semaforo ha oggi un “ospite” fisso, l’eremita Nino, che ha trasformato l’edificio adornando tutte le pareti ed i tetti delle numerose stanze di mosaici a carattere sacro, realizzati con sassolini policromi e piccoli pezzetti di vetro levigati dal mare, facendolo diventare il suo un santuario. Le decorazioni si estendono all’esterno del Semaforo ed anche al percorso che dall’ingresso della riserva porta al santuario, che ha ribattezzato “Via Santa”. Molte delle scene rappresentate si riferiscono al Giudizio Universale, con “tanti” angeli con la spada insanguinata. Sicuramente è una visita che lascia il segno, che non si dimentica. Nino preferisce farsi chiamare Isravele (elevarsi letto al contrario). Vive senza luce elettrica e con una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. Ha un orto, il forno e la cucina, a volte scende in città per comprare i viveri ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere. Nonostante Isravele sia poco conosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell’arte uno degli esponenti dell’Art Brut o Arte grezza. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell’arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato.

PictographMonument Altitude 1,675 ft
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Semaforo interni

Il Semaforo era una postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica del Regno delle Due Sicilie. La posizione strategica su Monte Gallo permetteva la vista di tutta la costa, a ovest fino a San Vito Lo Capo e ad est di tutto il Golfo di Palermo fin quasi a Cefalù. A differenza del faro, che è un punto di riferimento per la navigazione, il Semaforo è dotato anche di apparecchiature atte alla trasmissione di ordini ai vascelli di passaggio, regolando il traffico verso il porto di Palermo. La struttura esterna anche se malandata non è compromessa, anzi mantiene una sua solidità. La parte principale dell’edificio è a pianta quadrata, con stanze in successione. Al centro del quadrato si trova la scala di accesso all’ambiente superiore, l’elemento più interessante dell’edificio, la torre di avvistamento ottagonale. Sono interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane, ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia. Il semaforo ha oggi un “ospite” fisso, l’eremita Nino, che ha trasformato l’edificio adornando tutte le pareti ed i tetti delle numerose stanze di mosaici a carattere sacro, realizzati con sassolini policromi e piccoli pezzetti di vetro levigati dal mare, facendolo diventare il suo un santuario. Le decorazioni si estendono all’esterno del Semaforo ed anche al percorso che dall’ingresso della riserva porta al santuario, che ha ribattezzato “Via Santa”. Molte delle scene rappresentate si riferiscono al Giudizio Universale, con “tanti” angeli con la spada insanguinata. Sicuramente è una visita che lascia il segno, che non si dimentica. Nino preferisce farsi chiamare Isravele (elevarsi letto al contrario). Vive senza luce elettrica e con una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. Ha un orto, il forno e la cucina, a volte scende in città per comprare i viveri ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere. Nonostante Isravele sia poco conosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell’arte uno degli esponenti dell’Art Brut o Arte grezza. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell’arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato.

PictographMonument Altitude 1,677 ft
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Torre del Semaforo

Il Semaforo era una postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica del Regno delle Due Sicilie. La posizione strategica su Monte Gallo permetteva la vista di tutta la costa, a ovest fino a San Vito Lo Capo e ad est di tutto il Golfo di Palermo fin quasi a Cefalù. A differenza del faro, che è un punto di riferimento per la navigazione, il Semaforo è dotato anche di apparecchiature atte alla trasmissione di ordini ai vascelli di passaggio, regolando il traffico verso il porto di Palermo. La struttura esterna anche se malandata non è compromessa, anzi mantiene una sua solidità. La parte principale dell’edificio è a pianta quadrata, con stanze in successione. Al centro del quadrato si trova la scala di accesso all’ambiente superiore, l’elemento più interessante dell’edificio, la torre di avvistamento ottagonale. Sono interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane, ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia. Il semaforo ha oggi un “ospite” fisso, l’eremita Nino, che ha trasformato l’edificio adornando tutte le pareti ed i tetti delle numerose stanze di mosaici a carattere sacro, realizzati con sassolini policromi e piccoli pezzetti di vetro levigati dal mare, facendolo diventare il suo un santuario. Le decorazioni si estendono all’esterno del Semaforo ed anche al percorso che dall’ingresso della riserva porta al santuario, che ha ribattezzato “Via Santa”. Molte delle scene rappresentate si riferiscono al Giudizio Universale, con “tanti” angeli con la spada insanguinata. Sicuramente è una visita che lascia il segno, che non si dimentica. Nino preferisce farsi chiamare Isravele (elevarsi letto al contrario). Vive senza luce elettrica e con una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. Ha un orto, il forno e la cucina, a volte scende in città per comprare i viveri ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere. Nonostante Isravele sia poco conosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell’arte uno degli esponenti dell’Art Brut o Arte grezza. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell’arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato.

PictographMonument Altitude 1,675 ft
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Laboratorio

Il Semaforo era una postazione di vedetta della Reale Marina Militare Borbonica del Regno delle Due Sicilie. La posizione strategica su Monte Gallo permetteva la vista di tutta la costa, a ovest fino a San Vito Lo Capo e ad est di tutto il Golfo di Palermo fin quasi a Cefalù. A differenza del faro, che è un punto di riferimento per la navigazione, il Semaforo è dotato anche di apparecchiature atte alla trasmissione di ordini ai vascelli di passaggio, regolando il traffico verso il porto di Palermo. La struttura esterna anche se malandata non è compromessa, anzi mantiene una sua solidità. La parte principale dell’edificio è a pianta quadrata, con stanze in successione. Al centro del quadrato si trova la scala di accesso all’ambiente superiore, l’elemento più interessante dell’edificio, la torre di avvistamento ottagonale. Sono interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane, ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia. Il semaforo ha oggi un “ospite” fisso, l’eremita Nino, che ha trasformato l’edificio adornando tutte le pareti ed i tetti delle numerose stanze di mosaici a carattere sacro, realizzati con sassolini policromi e piccoli pezzetti di vetro levigati dal mare, facendolo diventare il suo un santuario. Le decorazioni si estendono all’esterno del Semaforo ed anche al percorso che dall’ingresso della riserva porta al santuario, che ha ribattezzato “Via Santa”. Molte delle scene rappresentate si riferiscono al Giudizio Universale, con “tanti” angeli con la spada insanguinata. Sicuramente è una visita che lascia il segno, che non si dimentica. Nino preferisce farsi chiamare Isravele (elevarsi letto al contrario). Vive senza luce elettrica e con una radio a batterie, sintonizzata costantemente su Radio Maria. Ha un orto, il forno e la cucina, a volte scende in città per comprare i viveri ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere. Nonostante Isravele sia poco conosciuto alla maggioranza dei palermitani, è considerato dagli studiosi di storia dell’arte uno degli esponenti dell’Art Brut o Arte grezza. Il concetto di “arte grezza” indica le produzioni realizzate da non professionisti che operano al di fuori del sistema convenzionale dell’arte, in modo del tutto inconsapevole e disinteressato.

PictographTree Altitude 1,441 ft
Photo ofCosta Mazzone

Costa Mazzone

L’escursione prosegue alle spalle del Semaforo, su terreno vegetale, fino ad affacciarsi sulla Costa Mazzone (km 4,1 - m 483 slm), uno spettacolare e selvaggio anfiteatro roccioso racchiuso, superiormente ed inferiormente, da falesie a picco sul mare, dove sopravvive un lembo di lecceta, lentisco e altre specie della macchia, vestigia dell'antica foresta mediterranea sempreverde che un tempo dominava quest'area. Sulle pareti a strapiombo si trovano alcuni endemismi come la Centaurea ucriae, la Glandora rosmarinifolia, la Genista gasparrini ed il Delphinium emarginatum. Da segnalare poi alcuni rari endemismi puntiformi quali la camomilla del Monte Gallo Anthemis ismelia, lo sparviere del Monte Gallo Hieracium lucidum e l'orchidea Ophrys sphegodes panormitana. Nella parete della Costa Mazzone si aprono due grotte, dove si è rinvenuto materiale archeologico di epoca preistorica. La grotta Mazzone è un’ampia caverna di mt.30 x mt 18, alta mediamente due metri, utilizzata a lungo come ovile, ha restituito alcune selci lavorate. Il riparo Mazzone è posto a poca distanza dall’omonima grotta ed ha un caratteristico aggetto di qualche metro, tale da permettere ad antiche popolazione di usarlo come luogo di sosta e per le quotidiane attività. Nel suo piccolo talus sono stati individuati frammenti di selci e resti di pasto, ascrivibili al Paleolitico superiore.

PictographCave Altitude 1,595 ft
Photo ofGrotta Preistorica Photo ofGrotta Preistorica

Grotta Preistorica

Nella parete della Costa Mazzone si aprono due grotte, dove si è rinvenuto materiale archeologico di epoca preistorica. La grotta Mazzone è un’ampia caverna di mt.30 x mt 18, alta mediamente due metri, utilizzata a lungo come ovile, ha restituito alcune selci lavorate. Il riparo Mazzone è posto a poca distanza dall’omonima grotta ed ha un caratteristico aggetto di qualche metro, tale da permettere ad antiche popolazione di usarlo come luogo di sosta e per le quotidiane attività. Nel suo piccolo talus sono stati individuati frammenti di selci e resti di pasto, ascrivibili al Paleolitico superiore.

PictographPanorama Altitude 1,589 ft

Panorama NE

L’itinerario continua su Piano dello Stinco fino ad un punto panoramico in direzione NE, sopra Capo Gallo. Sicuramente è il punto panoramico di maggiore ampiezza, tant’è che in loco sono visibili i resti della torre di avvistamento Mazzone, ancora più strategica della Torre Amari.

PictographRuins Altitude 1,448 ft

Torre Mazzone

L’itinerario continua su Piano dello Stinco fino ad un punto panoramico in direzione NE, sopra Capo Gallo. Sicuramente è il punto panoramico di maggiore ampiezza, tant’è che in loco sono visibili i resti della torre di avvistamento Mazzone, ancora più strategica della Torre Amari. Il mare Mediterraneo, già dalla seconda metà del XV secolo, per la caduta rovinosa di Costantinopoli in mano ai Turchi Ottomani, è dominato dalle potenze navali turche, algerine e tunisine che compiono frequenti incursioni lungo tutte le coste siciliane razziando uomini, donne e bambini e tutto ciò che potesse essere di valore. Le navi corsare partivano dalle munite basi della costa nord-africana di Algeri, Tunisi, Mahadia e Gerba e si muovevano velocemente nel Mediterraneo, creando il terrore per le loro scorrerie. Fu necessario quindi fortificare le città portuali e perfezionare un sistema di torri allineate sui punti più alti delle alture costiere, per potere avvisare in tempo le città e le campagne, permettere l’evacuazione della popolazione e predisporre le difese necessarie per fronteggiare eventuali sbarchi nemici. Tutti i monti limitrofi alla città di Palermo ed in posizione strategica, compresi i borghi marinari dell’ampio golfo tra Capo Gallo e Capo Zafferano ed anche i piccoli villaggi e le campagne extra moenia della Conca d’Oro, furono muniti di postazioni e torri di vedetta. In un primo tempo furono postazioni provvisorie, cioè senza alcun riparo per i guardiani e non presidiate costantemente. Nel secolo XVI, persistendo le incursioni piratesche che pregiudicavano tutte le attività economiche e commerciali dell’isola, nel volgere di pochi anni furono costruite lungo le coste siciliane centinaia di robuste e ben munite torri a pianta quadrata o circolare, che dovevano resistere oltre che ad eventuali arrembaggi, anche al cannoneggiamento delle nuove armi da fuoco. E’ in questo contesto storico che viene eretto il Dammuso di Gallo, intendendo proteggere così il fianco occidentale della città e l’ubertosa ed appetibile campagna dei Colli dalle incursioni dei pirati. Situato a breve distanza dalla borgata di Partanna, il Dammuso di Gallo è una torre di vedetta impiantata sin dal XV secolo, successivamente chiamata Amari poiché nel 1721 tutto il promontorio e parte del ricco territorio limitrofo, con annesse le borgate di Tommaso Natale e Sferracavallo, apparteneva al conte Amari. La torre era presidiata da due guardiani che avevano il compito di vegliare sul traffico navale e mandare tempestivamente messaggi di fumo e fuoco (giorno e notte). Il Dammuso di Gallo è posto a pochi metri dallo strapiombo di Malopasso, è a pianta pressoché quadrata di m 4,86 x m 4,58 con un unico ingresso rivolto a SO, con uno spessore di muri che variano da m. 0,60 a m. 0,80 che guarda la Piana dei Collie la città di Palermo, un tetto a volta ed una cisterna scavata nella roccia per la raccolta dell’acqua piovana. La torre è stata edificata utilizzando pietre locali, fissate con malta. E’ posizionata in un pianoro con un dolce declivio a ridosso di una cortina di rocce che la preservavano dai fastidiosi venti di tramontana, ma che aveva probabilmente anche lo scopo di nasconderla alla vista di eventuali navi nemiche in avvicinamento. La struttura si presenta armonica nelle sue linee essenziali, curata nella tecnica costruttiva, ricalcando lo schema tipico delle fabbriche a pianta quadrata coeve sparse lungo la costa palermitana. A poca distanza il linea d’aria in direzione NE si trova la solitaria torre Mazzone, costruita nel punto più estremo del monte, più aspro e difficile da raggiungere, ma che era al contempo uno dei più favorevoli e strategici punti di osservazione di tutto il comprensorio palermitano.

PictographMonument Altitude 133 ft
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Faro Capo Gallo

Faro Capo Gallo

PictographPanorama Altitude 1,413 ft
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Panorama E

Si prosegue quindi fino ad intercettare il sentiero che scende sul versante SE verso Mondello (km 4,75 - m 483 slm), che offre anch’esso superbi paesaggi. Stabilimento balneare di Mondello (fonte wikipedia) Successivamente alla bonifica del “pantano” di Mondello, la zona suscitò un forte interesse. Nel 1906, Luigi Scaglia, un imprenditore milanese giunto a Palermo per seguire la Targa Florio, restò incantato dalla bellezza del luogo, vedendo in esso qualcosa di ben più importante dei primi stabilimenti balneari estivi costruiti in legno. Nel settembre dello stesso anno presentò al Comune di Palermo un progetto di sfruttamento della zona, accompagnando la relazione con una nota di entusiasmo: Il fine precipuo, o Signori, che si propone di raggiungere la Società che io ho l’onore di rappresentare, è quello di exploiter Mondello. Chi ha veduto una volta sola questo lembo di paradiso non può non chiedersi meravigliato come mai esso non sia il ritrovo quotidiano di quanti cercano nella visione del Bello ristoro e conforto (…). Nessun pittore ebbe mai nella sua tavolozza tanta varietà di verde quanto ne offre all’occhio estasiato l’immenso bosco di agrumi, di ulivi, di carrubbi che circonda, digradante al mare, il bel golfo turchino, specchiantesi in un cielo più turchino, chiuso tra il superbo monte Gallo e il nostro Pellegrino, sacro al poeta». Contemporaneamente, fu pubblicato su “La Sicile Illustrèe” (mensile venduto a Parigi, in lingua francese e italiana) un articolo dal titolo “Grandioso progetto per l’avvenire di Mondello”, in cui veniva illustrata la proposta della società milanese, presentando Mondello come un lido superiore alle più famose località europee e con un lungomare più bello della nota Promenade des anglais di Nizza. Una società belga, “Les Tramways de Palerme” (costituita a Bruxelles nel 1909), con un atto di vendita del 1910, ottenne dal Demanio dello Stato la cessione di circa 280 ettari di terreno a fronte di una serie di servizi e strutture da approntare per la realizzazione di una stazione balneare di prim’ordine, nel rispetto di un compromesso con il Comune di Palermo del 1906. La società si impegnò a versare la somma di lire 578.310,42 oltre alla realizzazione di un Grand Hotel, un Kursaal, una chiesa, uno stabilimento balneare costruito a palafitta sul mare, 300 villini, la rete idrica, la rete fognaria, un campo da golf a nove buche e alcune opere di arredo urbano (chioschi, illuminazione, giardini, etc.). Lo Stabilimento Balneare venne progettato dall’architetto Rudolf Stualker, che disegnò un’ampia piattaforma su piloni immersi nell’acqua. Il lavoro era stato originariamente pensato per la città di Ostenda, ma venne spostato nella la località siciliana a causa della maggior bellezza del paesaggio di quest’ultima. La realizzazione fu affidata all’impresa di Giovanni Rutelli, figlio del noto scultore Mario Rutelli, che riuscì a costruire un edificio resistente all’azione corrosiva dell’acqua e della salsedine. La struttura venne decorata con volute, fregi, sculture, vetrate e colori vivaci, così da risultare elegante oltre che funzionale per i bagnanti. L’edificio, unico nel suo genere, rappresenta una delle opere architettoniche in stile Art Nouveau più belle d’Europa. Nel 1933 la società ha cambiato nome in seguito alla cessione del ramo trasporti al Comune di Palermo e oggi è conosciuta come Mondello Immobiliare Italo Belga S.A. Ha in concessione la spiaggia di Mondello. Durante la Seconda guerra mondiale, lo stabilimento fu utilizzato come quartier generale, prima dai fascisti e dall’esercito tedesco, e poi dalle forze alleate. Gli Alleati traslocarono la maggior parte del mobilio a Villa Igiea, prestigiosa residenza utilizzata dagli americani. Per mesi furono reclamati 1.693 pezzi di posateria di pregio, tutto il corredo di pentole e casseruole, tovaglie in lino, sedie, sgabelli e poltrone, oltre ai danni riportati da sovraporte, finestre e tavoli. Nel 1995, la struttura fu restaurata sotto il lavoro dell’ingegnere Umberto Di Cristina con i fondi della Società Italo Belga, riuscendo a riportare tutto all’antico splendore e a riesaltare i colori, dal blu oceano al rosso ruggine.

PictographIntersection Altitude 1,194 ft

Deviazione

Due deviazioni successive, rispettivamente al km 5,54 e km 5,73, intercettano due sentieri che chiudono l’anello passando sopra la falesia di Bauso Rosso.

PictographIntersection Altitude 1,076 ft

Deviazione

Due deviazioni successive, rispettivamente al km 5,54 e km 5,73, intercettano due sentieri che chiudono l’anello passando sopra la falesia di Bauso Rosso.

PictographPhoto Altitude 1,031 ft
Photo ofFoto - La collina del disonore

Foto - La collina del disonore

Lo scempio edilizio degli anni ’70 di Pizzo Sella

PictographIntersection Altitude 750 ft

Deviazione

Deviazione

PictographCave Altitude 843 ft
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Bauso Rosso

Al km 6,66 si abbandona il sentiero che conduce al punto di partenza, in direzione di Bauso Rosso, una bellissima falesia utilizzata dalle scuole di free climbing di livello internazionale, che si percorre all’interno del “solco battente”. Le oscillazioni del livello dei mari a livello globale (movimenti eustatici), causate dalle glaciazioni nel corso del Pleistocene (da 2,5 milioni a 12.000 anni fa), hanno generato una serie di terrazze di “solchi del battente”, a quote diverse rispetto al livello attuale del mare. Caratteristica di un “solco del battente” è un incavo più o meno profondo (anche oltre un metro) a sezione più o meno ellittica, più affusolata verso l’alto, alta anche parecchi metri. Talvolta il solco mostra perforazioni, a fascia o a grappolo, dovute ad organismi litofagi come i datteri di mare, da non confondere con l’erosione a nido d’ape della chiocciola Cornu Mazzullii. Un cenno particolare merita una pianta avventizia molto diffusa, il Pennisetum setaceum, una graminacea nordafricana introdotta nell'Orto botanico di Palermo per essere sperimentata come pianta da foraggio, che oggi si è diffusa spontaneamente in gran parte della Sicilia, abbondantemente presente nei pressi della falesia di Bauso Rosso.

PictographCave Altitude 849 ft
Photo ofGrotta Bauso Rosso

Grotta Bauso Rosso

Grotta Bauso Rosso

Comments  (2)

  • Veronica Rossin Mar 30, 2022

    buongiorno!
    quanto tempo ci vuole per completare questo anello? grazie!

  • Photo of mimmo valenti
    mimmo valenti Mar 30, 2022

    Il percorso è di 8 km, con un dislivello di circa 500 mt.
    Il primo tratto è in forte pendenza. Con andatura media 4 ore per il percorso più 1 ora di necessaria sosta in cima nell'eremo.
    Buona escursione.

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