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785 BATTAGLIA DI MONTEAPERTI

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Trail stats

Distance
5.96 mi
Elevation gain
331 ft
Technical difficulty
Easy
Elevation loss
331 ft
Max elevation
866 ft
TrailRank 
78 4.7
Min elevation
447 ft
Trail type
Loop
Time
2 hours 33 minutes
Coordinates
863
Uploaded
March 18, 2024
Recorded
March 2024
  • Rating

  •   4.7 1 review

near Casetta, Toscana (Italia)

Viewed 207 times, downloaded 1 times

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Itinerary description

Oggi si lascia la macchina nel parcheggio della sorgente termale Acqua Borra. Si trova lungo la strada SS715 Siena-Arezzo, uscita Casetta Monteaperti, direzione Monteaperti, 200 metri e si trova il parcheggio subito sulla destra. Da qui a piedi si percorrono sentieri cai biancorossi, dapprima il 335, poi a sinistra sul 370 e aldilà del ponte subito a destra sul 334. Sbucati sulla strada giriamo in salita a sinistra, aggiriamo sulla destra il borgo ristrutturato che si trova in cima e continuiamo verso nordest seguendo la strada poderale. Il sentiero sempre ben segnato attraversa in più punti un fosso, facilmente attraversabile tranne forse dopo intense piogge. Si procede seguendo la segnaletica finchè sulla nostra destra troviamo il pannello didattico della battaglia di Monteaperti. Saliamo in cima al poggio per scattare due foto alla piramide/monumento. Ritorniamo quindi giù e andiamo diritti verso il ristorante Pietre vive. Infine girando a destra ci ricolleghiamo col sentiero 335 dell'andata per chiudere il percorso.

estratto da wikipedia
La battaglia di Montaperti fu combattuta a Montaperti, pochi chilometri a sud-est di Siena, il 4 settembre 1260, tra le truppe ghibelline capeggiate da Siena e quelle guelfe capeggiate da Firenze.

La vittoria dei Senesi e dei loro alleati segnò il dominio della fazione ghibellina sulla Toscana, con ripercussioni anche sui precari equilibri del resto d'Italia e d'Europa, segnando di fatto il ruolo predominante della Repubblica di Siena sullo scenario politico ed economico dell'epoca.
Indice

1 Antefatti
2 La battaglia
3 Conseguenze
4 Rievocazioni e commemorazioni contemporanee
5 Note
6 Bibliografia
7 Altri progetti
8 Collegamenti esterni

Antefatti

Dopo l'anno 1000, le città di Firenze e di Siena erano cresciute grazie alle attività mercantili e commerciali; i banchieri e i mercanti delle due città attraversavano l'Europa arricchendosi. Firenze era facilitata dalla via d'acqua dell'Arno, Siena dalla sua posizione lungo la via Francigena, percorsa dai numerosi pellegrini diretti a Roma o dai traffici che da questa si dirigevano verso il cuore del Sacro Romano Impero. Era lo sviluppo dell'era mercantile. Ovviamente, gli interessi delle due città erano da tempo in conflitto, sia per questioni economiche che di pura egemonia sul territorio. Nella prima metà del XIII secolo, i confini fiorentini si spingevano a sud fino a pochi chilometri da Siena. La rivalità economica si traduceva in una rivalità politica. A Firenze avevano la supremazia i guelfi, che sostenevano il primato papale, mentre a Siena il partito predominante era quello ghibellino, alleato dell'Imperatore, che in quel periodo era capeggiato dal re di Sicilia Manfredi di Svevia, figlio naturale di Federico II.

Nel 1251 i senesi si erano legati ai ghibellini di Firenze in un patto di reciproca assistenza. Nella guerra del 1255, Siena aveva avuto la peggio ed era stata spinta a sottoscrivere un impegno a non ospitare alcun esiliato dalle città di Firenze, Montepulciano e Montalcino. Il casus belli fu l'accoglienza data nel 1258 da Siena ai ghibellini di Firenze, esiliati dopo una tentata rivolta contro i guelfi al potere. A questo esilio era seguito l'assassinio di Tesauro Beccaria, abate di Vallombrosa, accusato di complottare con i ghibellini allo scopo di farli rientrare a Firenze.

All'inizio della nuova guerra, il teatro delle operazioni fu soprattutto la Maremma, dove i guelfi riuscirono a fomentare rivolte dei comuni di Grosseto, Montiano, Montemassi[1]. Nel 1259 Siena ottenne l'appoggio di re Manfredi, che fornì alcuni squadroni di cavalieri tedeschi comandati dal vicario regio, il conte Giordano d'Agliano, suo stesso cugino; l'offerta di cento cavalieri, inizialmente ritenuta non adeguata dagli ambasciatori senesi, fu poi accettata su consiglio di Farinata degli Uberti. L'idea era che, una volta che le bandiere di re Manfredi fossero state coinvolte nello scontro, questi sarebbe stato costretto a inviare ulteriori rinforzi.

Nei primi mesi del 1260 le truppe tedesche piegarono la resistenza dei comuni maremmani. Questo suscitò la reazione della lega guelfa, guidata da Firenze, che, nonostante i richiami alla prudenza di alcuni membri importanti come Cece Gherardini (successivamente uno dei dodici capitani dell'esercito a Montaperti), fece muovere un esercito di circa trentacinquemila uomini a difesa dei comuni riconquistati dai ghibellini senesi. L'esercito guelfo si accampò alle porte di Siena, nei pressi di Santa Petronilla, nella zona nord vicina a Porta Camollia, attuando un assedio il 18 maggio. I cavalieri tedeschi e quelli senesi attaccarono l'accampamento nello stesso giorno e le operazioni si protrassero per i successivi due giorni. I cronisti delle due parti descrissero in modo diametralmente opposto l'esito dei combattimenti, a seconda dello schieramento per cui parteggiavano. Il 20 maggio i guelfi interruppero l'assedio e, mentre una piccola parte proseguì il cammino verso la Maremma, il restante dell'esercito fece ritorno a Firenze. Durante le operazioni del 18 maggio, alcuni cavalieri tedeschi furono feriti, ma l'attacco ebbe l'effetto di far togliere il campo ai Fiorentini. Questo spinse re Manfredi ad inviare in luglio ulteriori e più consistenti aiuti a Siena, nel numero di ottocento cavalieri. Altri aiuti arrivarono da Pisa e dagli altri ghibellini toscani. Questo diede ulteriore respiro ai senesi, che riconquistarono Montepulciano e Montalcino, stazione strategica a sud, sulla via Francigena.
La battaglia

Il primo a morire in questa battaglia fu Soldano Soldani.
La piramide commemorativa

La lega guelfa comprendeva, oltre a Firenze, Bologna, Prato, Lucca, Orvieto, Perugia, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle di Val d'Elsa. Il suo esercito si mosse di nuovo verso Siena, con la giustificazione della necessità di riconquistare Montepulciano e Montalcino. Per quanto consigliati altrimenti da Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, i comandanti fecero passare l'esercito alle porte di Siena, anche perché desiderosi di rivalsa dopo la scaramuccia di maggio, e si accamparono nelle vicinanze del torrente Arbia, a Montaperti, il 2 settembre 1260. In tale giorno, gli ambasciatori guelfi consegnarono un ultimatum al Consiglio dei Ventiquattro, il governo di Siena, che fu respinto, seppure con qualche incertezza di una parte favorevole alla trattativa.

Per meglio motivare i cavalieri tedeschi, fu deliberato di corrispondere loro una doppia paga grazie ai fondi forniti da Salimbene de' Salimbeni. Le cronache indicano in trentamila fanti e tremila cavalieri le forze della lega guelfa.
Insegne del libero Comune di Terni portate a Montaperti.

Le forze ghibelline ammontavano a ventimila unità, composte da ottomila fanti senesi, tremila pisani e duemila fanti e ottocento cavalieri germanici di re Manfredi di Sicilia. A loro, si aggiungeva la storica e più accanita città ghibellina umbra: Terni (premiata da poco più di un ventennio da Federico II con l'aquila nera in campo oro nel proprio gonfalone cittadino: «per la fedeltà e la gagliardia dei suoi uomini» e comandata da un'antica, solida e orgogliosa aristocrazia di origine germanica, la famiglia Castelli in primis, discendente dalla stirpe di un principe franco di Terni, ma anche quella dei Camporeali, dei Cittadini).[senza fonte] A questa si aggiungevano altre città e fazioni toscane: la Repubblica di Massa[2], i fuorusciti fiorentini, Asciano, Santa Fiora e i bonizzesi - nonostante in quel momento Poggiobonizio (la futura "Poggibonsi") fosse occupata dai fiorentini.

Nello stesso giorno, la città, in solenne processione guidata da Buonaguida Lucari, fu dedicata alla Madonna in cambio della sua protezione durante la battaglia. A quel tempo, nella Cattedrale di Siena era conservata sull'altare maggiore la Madonna dagli Occhi Grossi, attualmente esposta presso il Museo dell'Opera del Duomo a Siena.

Il 3 settembre l'esercito senese-ghibellino guidato da Provenzano Salvani uscì da Porta Pispini, diretto al Poggio delle Ropole (l'odierno paese di Taverne d'Arbia), in prossimità dell'accampamento guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine, da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. Una leggenda narra che i senesi fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti all'esercito guelfo, cambiando ogni volta i vestiti con i colori dei Terzi di Siena, cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quanto lo fossero in realtà.

La mattina del 4 settembre l'esercito ghibellino, superato il fiume Arbia, si preparò alla battaglia. Era formato da quattro divisioni, che si posizionarono sul campo di battaglia così da tentare una manovra d'accerchiamento.

La prima divisione, guidata dal conte d'Arras, doveva attaccare i guelfi alle spalle al grido d'invocazione di San Giorgio. La seconda, composta da 800 cavalieri tedeschi e 6 000 fanti, guidata dal conte Giordano d'Agliano, e la terza, composta da 4 000 fanti senesi e guidata da Ildebrandino X Aldobrandeschi da Santa Fiora, dovevano impegnare frontalmente l'esercito guelfo, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno. La quarta, composta da 200 cavalieri e comandata da Niccolò da Bigozzi, era posta a guardia del carroccio senese.[3]

Un'altra delle leggende relative alla battaglia ricorda la figura del cavaliere tedesco Gualtieri d'Astimbergh, il quale, avendo il privilegio di attaccare per primo, dopo essersi avvicinato lentamente ai nemici, caricò lancia in resta il capitano dei lucchesi, che fu trapassato da parte a parte. Dopo aver recuperato la lancia, uccise altri due cavalieri e poi, persa l'arma, si fece largo tra i nemici con la spada. Nelle prime fasi della battaglia, non solo i fanti guelfi ressero ai primi attacchi dei ghibellini, ma contrattaccarono a loro volta. Questo spinse la quarta divisione di Niccolò da Bigozzi a contravvenire agli ordini e intervenire lasciando la difesa del carroccio senese.

Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio partì un contrattacco dei ghibellino-senesi.

È in questa fase che si verificò l'episodio del tradimento di Bocca degli Abati. Questi, seppure al fianco dei guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era in realtà di parte ghibellina e, alla vista del contrattacco senese, si avvicinò al portastendardo fiorentino Jacopo de' Pazzi e gli tranciò di netto la mano che reggeva l'insegna. Secondo Marietta de Ricci, invece, Bocca degli Abati avrebbe tradito in quanto semplicemente geloso dell'amore tra Cecilia, figlia di Cece Gherardini, e Jacopo de' Pazzi. Ad ogni modo, l'episodio causò un notevole sconcerto tra le file guelfe.

Oltre al tradimento di Bocca degli Abati, in questa fase dalle file ghibelline si alzò l'invocazione a San Giorgio, segnale per la prima divisione, quella del conte d'Arras, che attaccò i fiorentini alle spalle con la cavalleria tedesca. Il conte stesso uccise il comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena, episodio che causò l'inizio della rotta dei guelfo-fiorentini. I ghibellini si lanciarono all'inseguimento e iniziarono "lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso" (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto X, 85) durato fino a notte. Si calcola che le perdite siano ammontate a diecimila morti e quindicimila prigionieri guelfi (solo i fiorentini ebbero 2 500 caduti e 1 500 furono catturati) e a 600 morti e 400 feriti ghibellini.

Al calar della notte i comandanti ghibellini diedero l'ordine di salvare chi si fosse arreso e uccidere comunque i fiorentini catturati. Questi, uditi i comandi, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono agli alleati per salvarsi.

Si racconta della vivandiera Usilia che da sola avrebbe catturato 36 fiorentini, salvandoli. Il sacco al campo guelfo permise ai ghibellini di catturare quasi diciottomila tra cavalli, buoi e animali da soma.

Le bandiere e gli stendardi dei fiorentini furono presi e il gonfalone di Firenze fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.

«Lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso,

tal orazion fa far nel nostro tempio.»

(Inferno X, 85)

Tra il bottino che i senesi catturarono dopo la battaglia vi è anche il noto "Libro di Montaperti", un documento unico per l'intero medioevo europeo, dato che in esso furono trascritte da decine di notai che accompagnavano l'esercito guelfo tutte le scritture sulla mobilitazione, amministrazione e governo dell'esercito fiorentino durante la marcia verso il territorio nemico. Il "Libro di Montaperti" fu custodito nell'archivio di Siena fino al 1570, quando il conte Federico da Monteacuto, per ingraziarsi il granduca Cosimo I, lo portò a Firenze, dove lo si conserva presso l'Archivio di Stato, [4].
Conseguenze
«Se tu non vieni a crescer la vendetta di Montaperti perché mi moleste?»

(Inferno XXXII, 80-81)

Il 13 settembre del 1260 i guelfi fiorentini abbandonarono la loro città e si rifugiarono a Bologna e a Lucca, considerando di non potersi più trattenere a Firenze per paura delle rappresaglie dei ghibellini. A Lucca si rifugiarono anche i guelfi delle altre città partecipanti alla lega sconfitta.

Waypoints

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Lago

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PictographWaypoint Altitude 858 ft
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PictographWaypoint Altitude 833 ft
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Monumento

PictographWaypoint Altitude 668 ft
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011

Comments  (3)

  • giovanna vellani Mar 18, 2024

    Percorso carino e non troppo impegnativo per una principiante come me ! Indicazioni precise. Grazie Luca , alla prossima !

  • Photo of luca berni
    luca berni Mar 19, 2024

    Grazie della recensione. A presto 👋

  • Photo of leogas
    leogas Mar 23, 2024

    I have followed this trail  View more

    Un rilassante giro nelle campagne chiantigiane

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